CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 giugno 2018, n. 14275
Tributi – Ipotesi di reato previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000 – Raddoppio dei termini di accertamento – Sufficiente l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato
Fatti e ragioni della decisione
C.G. e C.M. hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, contro l’Agenzia delle Entrate, impugnando la sentenza resa dalla CTR Umbria indicata in epigrafe. I giudici di appello, previa riunione dei ricorsi proposti nell’interesse della società C.G. & C. s.n.c. e dei soci relativi alla ripresa a tassazione dell’anno 2005, dichiaravano la nullità dell’atto notificato alla società C.G. & C. S.n.c. relativo a IRAP e IVA per gli anni d’imposta dal 2005 al 28.12.2011 – data della cancellazione della società, respingendo l’appello proposto dai soci della società C. e C. avverso la decisione di primo grado che aveva disatteso i ricorsi dai medesimi proposti contro gli atti di accertamento ai medesimi notificati per la ripresa di IRPEF e addizionale comunale.
L’Agenzia delle Entrate ha depositato controricorso.
Il procedimento può essere definito con motivazione semplificata.
Con il primo motivo i ricorrenti prospettano la violazione dell’art. 43 dPR n. 600/73, rilevando che per gli avvisi relativi ai periodi di imposta precedenti al 2016 il raddoppio dei termini non opera qualora la denuncia sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini.
La censura è infondata.
Ed invero, occorre rammentare che l’art. 37 d.l. 223/2006, al comma 24, ha modificato l’art. 43 d.p.r. 600/1973, in base alla previsione che “in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti [cioè gli ordinari termini di decadenza per l’accertamento] sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione”.
Richiamato quanto precisato dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 247/2011, nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità del combinato disposto dell’art. 57, terzo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 37, comma 26, del d.l. n. 223 del 2006 (convertito nella legge n. 248 del 2006), è stato ritenuto da questa Corte che, ai fini del solo raddoppio dei termini per l’esercizio dell’azione accertatrice, rileva l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato e non rileva né l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’articolo 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, atteso anche il regime di «doppio binario» tra giudizio penale e procedimento e processo tributario (Cass. 9974/2015; Cass. 20043/2015; Cass. nn. 7805, 9725, 9727, 11181 e 27392 del 2016).
Questa Corte, inoltre, ha di recente precisato, esaminando il tema della portata dei successivi interventi legislativi di cui al d.lgs. 128/2015 ed alla I. 208/2015, che “In tema di termini per l’accertamento tributario stabiliti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 (per le imposte sui redditi) e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 (per l’IVA): a) il regime transitorio introdotto dal comma 3 dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015 (in vigore dal 2 settembre 2015) non è abrogato dal successivo regime transitorio previsto dal comma 132 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015 (in vigore dal 1 gennaio 2016); b) il primo regime transitorio (d.lgs. n. 128 del 2015) stabilisce che i commi 1 e 2 dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015 non si applicano né in relazione agli avvisi di accertamento, ai provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie ed agli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data del 2 settembre 2015, né in relazione agli inviti a comparire di cui all’articolo 5 del d.lgs. n. 218 del 1997, notificati alla data del 2 settembre 2015, né in relazione ai processi verbali di constatazione redatti ai sensi dell’art. 24 della legge n. 4 del 1929, dei quali il contribuente abbia avuto formale conoscenza entro 11 settembre 2015, sempre che i relativi atti recanti la pretesa impositiva o sanzionatoria siano notificati entro il 31 dicembre 2015; e) il secondo regime transitorio (legge n. 208 del 2015) disciplina diversamente il regime ordinario del raddoppio dei termini di accertamento previsto dai commi 1 e 2 dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, disponendo che i commi 130 e 131 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015 non si applicano agli avvisi relativi ai periodi d’imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2016 e introducendo per tali periodi d’imposta anteriori una specifica normativa transitoria per le sole ipotesi in cui a detti periodi non sia applicabile il precedente regime transitorio dettato dal d.lgs. n. 128 del 2015″ – Cass. n. 26037/2016.
Orbene, nella specie, il giudice d’appello, ritenendo che il raddoppio dei termini trovasse applicazione per l’anno di imposta 2006, a nulla rilevando l’inoltro della denunzia anteriormente allo scadere del termine di decadenza del potere d’accertamento si è pienamente conformato ai superiori principi.
Con il secondo motivo si prospetta la violazione dell’art.7 I.n. 212/2000 e dell’art. 42 dPR n. 600/73. La CTR avrebbe errato nell’affermare che l’atto di accertamento notificato alla società potesse costituire valido presupposto logico-giuridico di quelli notificati ai soci, essendo lo stesso inesistente.
La censura è manifestamente infondata.
Ed invero, la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel senso che in tema di imposte sui redditi, l’obbligo di motivazione degli atti tributari, come disciplinato dall’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, e dall’art. 42 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, è soddisfatto dall’avviso di accertamento dei redditi del socio che rinvii “per relationem” a quello riguardante i redditi della società, ancorché solo a quest’ultima notificato, giacché il socio, ex art. 2261 cod. civ., ha il potere di consultare la documentazione relativa alla società e, quindi, di prendere visione dell’accertamento presupposto e dei suoi documenti giustificativi – cfr.Cass. n. 25296/2014, Cass. n. 16914/2017, Cass. n. 16917/2017, Cass. n. 16906/17, Cass. n. 16915/2017, Cass. n. 16913/17, Cass. n. 15578/17, cass. n. 12125/2017, Cass. n. 13904/17, Cass. n. 7850/2017, Cass.n. 6078/17, Cass. n. 3760/2017, Cass. n. 25468/2015, Cass. n. 5389/15, Cass.n.16914/2017 ha poi precisato che il socio contribuente, nella sua qualità, è abilitato all’accesso a tutti i documenti amministrativi della società, ex art. 2261 c.c., specificando, ancora, che l’obbligo di porre il contribuente in condizione di conoscere le ragioni dalle quali deriva la pretesa fiscale, D.P.R. n. 600 cit., ex art. 42, è oggetto di un giudizio “in concreto” a posteriori, nel quale verificare se il socio avesse avuto la possibilità concreta, al momento della notifica dell’atto impositivo a lui rivolto, di conoscere le ragioni dell’accertamento propedeutico nei confronti della società di cui era socio, in virtù della sua qualità di socio che gli consentiva di accedere agli atti amministrativi sociali. Circostanza che la CTR ha concretamente verificato nel caso qui in esame, rilevando che l’atto emesso a carico della società era stato impugnato dai soci, i quali avevano preso diretta conoscenza del suo contenuto, richiamato per relationem nell’avviso ai medesimi notificato personalmente.
Risultano, conseguentemente, del tutto irrilevanti, ai fini del rispetto dell’onere motivazionale, le vicende relative alla validità dell’atto notificato alla società che non riguardano l’avviso al quale si riferisce l’atto notificato al socio, attenendo al rispetto dell’onere motivazionale che deve, per le considerazioni svolte, ritenersi pienamente e validamente assolto.
Con il terzo motivo si prospetta il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, non avendo la CTR considerato il contenuto delle dichiarazioni rese per iscritto dal consulente commerciale della società e dallo stesso emittente le fatture ritenute inesistenti.
La censura è infondata.
Ed invero, a prescindere da ogni considerazione in ordine all’inammissibilità del vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza successivamente alla novella del comma 1 n.5 dell’art. 360 c.p.c. (Cass. S.U. n. 8053/2014) e, parimenti, di ogni questione in ordine all’inammissibilità della censura, se interpretata come riferibile al vizio di omesso esame di un fatto controverso fra le parti in relazione alla previsione di cui all’art. 348 ter c.p.c. comma 5, c.p.c. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012, qual è quello qui in esame)- cfr. Cass. 26774/2016- non può revocarsi in dubbio che la CTR ha fondato la ritenuta inesistenza delle operazioni fatturate dal B. sull’assenza di strutture produttive del suddetto. Ha poi valorizzato altresì la circostanza che il venditore/prestatore d’opera era risultato avere lavorato 12 ore al giorno simultaneamente per più ditte, in tal modo rendendo prive del carattere di decisività, al cui vaglio è tenuta questa Corte-cfr. Cass. n. 4980/2014- le generiche dichiarazioni rese dal consulente della società e dallo stesso B..
Se, infatti, il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento – cfr. Cass. n. 19150/2016 – i ricorrenti non hanno offerto alcun elemento idoneo per ritenere che, sulla base di una valutazione ex ante, gli elementi assertivamente non valutati avrebbero potuto condurre ad un giudizio diverso dal quale è pervenuta la CTR.
Sulla base di tali considerazioni il ricorso va rigettato. Segue la condanna alle spese dei ricorrenti, dando atto, ai sensi dell’art. 13 c. 1 quater DPR n. 115/2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dell’art. 13 comma 1 quater DPR n. 115/2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio che liquida in favore dell’Agenzia delle Entrate in euro 3.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13 c. 1 quater DPR n. 115/2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dell’art. 13 comma 1 quater DPR n. 115/2002.
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