CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 giugno 2021, n. 15619
Tributi – Accertamento – Studi di settore – Rideterminazione dei ricavi – Legittimità – Contraddittorio con il contribuente – Presunzioni dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza
Rilevato che
l’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale III di Roma, notificò: 1) ad A.D.A. & C. s.n.c., un avviso di accertamento con il quale, sulla base dell’applicazione degli studi di settore di cui all’art. 62-bis del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 1993, n. 427, accertò, con riferimento al periodo d’imposta 2005, maggiori ricavi per € 100.168,00 (€ 1.604.281,00 a fronte dei dichiarati € 1.504.113,00), con i conseguenti maggiore reddito – da imputare ai soci ai sensi dell’art. 5 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 – maggiore valore della produzione netta, con la relativa IRAP, e maggiori operazioni imponibili, con la relativa IVA, oltre agli interessi e alle sanzioni; 2) ad A.D. e a G.D. – soci, al 50% ciascuno, della suddetta A.D.A. & C. s.n.c. – due avvisi di accertamento, sempre per il periodo d’imposta 2005, con i quali, ai sensi del citato art. 5 del d.P.R. n. 917 del 1986, imputò loro, in proporzione all’indicata quota di partecipazione agli utili della società, il maggior reddito accertato in capo alla stessa con l’avviso di accertamento indicato sub 1), con le conseguenti maggiori IRPEF e Addizionali regionale e comunale all’IRPEF, oltre agli interessi e alle sanzioni; A.D.A. & C. s.n.c., A.D. e G.D. impugnarono gli avvisi di accertamento davanti alla Commissione tributaria provinciale di Roma (hinc anche: «CTP»), che, con le sentenze, rispettivamente, n. 3/57/12, n. 2/57/12 e n. 1/57/12, tutte depositate il 9 ottobre 2012 e di analogo contenuto, accolse i ricorsi dei contribuenti;
avverso tali pronunce, l’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale III di Roma, propose appello alla Commissione tributaria regionale del Lazio (hinc anche: «CTR») e A.D.A. & C. s.n.c., A.D. e G.D. proposero appello incidentale (avverso la parte delle sentenze della CTP con cui era stata disposta la compensazione delle spese);
con le sentenze, rispettivamente, n. 402/04/2013, n. 404/04/2013 e n. 403/04/2013, tutte depositate il 28 ottobre 2013, la CTR accolse gli appelli principali dell’amministrazione finanziaria e rigettò gli appelli incidentali dei contribuenti con l’identica motivazione che «[g]li studi di settore e/o dei parametri hanno natura di presunzione semplice che acquista i caratteri di gravità, precisione e concordanza nel momento in cui vengono adeguati alla realtà economica del contribuente. Tale processo di adeguamento deve passare attraverso il contraddittorio con il contribuente e delle cui risultanze l’ufficio deve tenerne conto in sede di motivazione della rettifica. Tutto ciò è avvenuto nel caso in esame: l’ufficio ha regolarmente invitato il contribuente in contraddittorio spiegando anche le ragioni per cui non riteneva attendibili le giustificazioni avanzate dal contribuente. In primo luogo, oltre alla non congruità dei ricavi il contribuente non risulta coerente con la percentuale di ricarico emergente nel settore. In particolare la percentuale di ricarico del contribuente è del 12% la minima riscontrata nel settore di appartenenza è del 17% con una media di settore pari ad un ricarico del 26%. In secondo luogo, la società ha dichiarato un reddito modesto rispetto al volume di affari. Infatti, a fronte di un volume di affari di oltre 1.500.000,00 euro è stato dichiarato un reddito di poco superiore ad euro 59.000,00 con una percentuale di redditività di appena il 3,90%. In pratica i due soci della società hanno dichiarato un reddito inferiore a quello percepito dai propri dipendenti. In terzo luogo, anche la considerazione della vita dell’azienda in un arco temporale più ampio avvalora le presunzioni su cui si è fondato l’ufficio.
Infatti per tutti gli anni dal 2003 al 2007 la società non risulta congrua con gli studi di settore ma ciononostante l’azienda appare in crescita con il costante incremento degli investimenti e del personale. In particolare il valore dei beni strumentali passa da euro 71.325,00 del 2003 ad euro 80.130,00 del 2007 ed il personale dipendente passa da 3,92 unità alle 6,63 unità del 2007. Tutto ciò a fronte di una redditività assai bassa nel tempo pari nel 2003 al 3,9%; nel 2004 al 3,7%; nel 2005 al 3,9%; nel 2006 al 3,6% e nel 2007 al 3,6% nonostante in quest’ultimo anno i ricavi dichiarati siano stati superiori di euro 200.000,00 a quelli del 2005. In pratica, secondo quanto dichiarato dalla società, più aumentano i ricavi e gli investimenti in termini di capitale umano e materiale e meno è la redditività dell’impresa.
Tutto ciò è in evidente contrasto con i normali canoni di funzionamento di un’attività economica.
Ad avviso del collegio l’atto di accertamento impugnato non è consistito in una mera ed acritica trasposizione di un calcolo in base agli studi di settore senza l’ulteriore riscontro probatorio dei dati messi a disposizione del contribuente. Infatti, l’accertamento, oltre che sulle conclusioni derivanti dall’utilizzo degli studi di settore, è basato anche su concreti elementi di maggiore redditività riscontrati in capo alla società che, a sua volta, non è stata in grado di contrastare ed inficiare con argomentazioni valide»;
avverso tali decisioni – depositate in segreteria il 28 ottobre 2013 e non notificate – ricorrono per cassazione A.D.A. & C. s.n.c., A.D. e G.D., i quali affidano i propri ricorsi, notificati il 25 marzo 2014, a quattro motivi;
l’Agenzia delle entrate resiste con controricorsi, notificati il 5/7 maggio 2014;
A.D.A. & C. s.n.c., A.D. e G.D. hanno depositato memorie.
Considerato che
va preliminarmente disposta, ai sensi dell’art. 274 cod. proc. civ., la riunione dei ricorsi R.G.N. 8442/2014 e R.G.N. 8443/2014 al ricorso, di più risalente iscrizione, R.G.N. 7972/2014, ricorrendo nella fattispecie – in ragione dell’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi della società di persone e dei suoi soci, cui i redditi societari sono automaticamente imputati, a norma dell’art. 5 del d.P.R. n. 917 del 1986 – un’ipotesi di litisconsorzio necessario tra la società e i suoi due soci ricorrenti;
si deve infatti fare qui applicazione del temperamento, individuato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, qualora gli avvisi di accertamento siano stati impugnati autonomamente dalla società di persone e da tutti i soci e, nei gradi di merito, i relativi giudizi, celebrati separatamente, siano stati però esaminati dallo stesso giudice in maniera strettamente coordinata e decisi con un’identica motivazione, così da poter escludere ogni rischio di contrasto tra giudicati, la Corte di cassazione può disporre la riunione dei procedimenti per connessione oggettiva, ai sensi dell’art. 274 cod. proc. civ., anziché annullare le sentenze di merito, in quanto si deve ritenere rispettata la ratio del litisconsorzio necessario (tra le tante, Cass., 10/02/2010, n. 2907, 10/11/2017, n. 26648);
i motivi dei tre ricorsi sono sostanzialmente analoghi;
con il primo motivo, i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 53, comma 1, 10 e 11 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, dell’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, e dell’art. 42 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nonché, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., «violazione […] dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia su censure in appello», per avere la CTR omesso di pronunciare sulle eccezioni di inammissibilità dei ricorsi in appello dell’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale III di Roma, perché sottoscritti da un soggetto non legittimato – in particolare, «da tale V.M., cosiddetta coordinatore del team legale, con firma su delega del Direttore provinciale (M.P.)» (senza che tale delega fosse stata depositata in giudizio e dovendosi altresì escludere che la M. fosse «la responsabile dell’Ufficio legale») – e per avere conseguentemente omesso di dichiarare detta inammissibilità;
con il secondo motivo, i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 dello stesso codice per avere la CTR omesso di pronunciare sulle eccezioni di inammissibilità dei ricorsi in appello dell’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale III di Roma, perché non contenenti i motivi specifici dell’impugnazione, a norma dell’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992;
con il terzo motivo, i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione dell’art. 62-sexies del d.l. n. 331 del 1993, dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 «e ss modifiche della normativa su richiamata», in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 dello stesso codice, e in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., l’omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, in quanto: a) «[i]nnazitutto, si prendono in esame, per determinare l’anno di imposta del 2005, i ricavi, il personale ed il capitale impiegato negli anni successivi […] e cioè 2006, 2007 e 2008. Il che è ovviamente e palesemente una chiarissima illogicità della motivazione»; b) premesso che l’art. 62-sexies del d.l. n. 331 del 1993 postula l’esistenza di «gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli […] desumibili [..] dagli studi di settore» (comma 3) e che tali gravi incongruenze «devono riferirsi alle caratteristiche e alle condizioni di esercizio della specifica attività svolta», «non è sufficiente affermare, come fa la sentenza gravata, che una volta notificato l’avviso di accertamento e sviluppatosi il contraddittorio con il contribuente, automaticamente gli studi di settore acquistano valore di presunzione legale, e non più semplice, e su questi può fondarsi la pretesa dell’amministrazione finanziaria», atteso che, invece, «eseguito il contraddittorio, come nel caso di specie, allorché il contribuente in quella sede ha contestato la incoerenza di quanto derivava dall’elaborazione dello studio di settore», la CTR «avrebbe dovuto motivare il percorso logico-giuridico che l’aveva determinata a superare le emergenze difensive evidenziate dal contribuente e oggetto di discussione tra le parti», mentre, «[i]n buona sostanza, le circostanze che il contribuente ha versato in contraddittorio non sono state minimamente oggetto di valutazione, limitandosi, la sentenza, ad una mera trascrizione dei motivi di appello dell’Ufficio» ed essendosi la stessa «rifugia[ta] in una accettazione sostanziale degli studi di settore, che restano a questo punto una mera presunzione semplice, senza requisiti di gravità, o comunque senza una motivazione circa un riconoscimento di condizioni gravi, precise e concordanti, per la loro applicazione»;
con il quarto motivo, i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., la «violazione [..] dell’art. 116 cpc per omessa valutazione su un punto decisivo della controversia ai sensi degli artt. 115 e 116 cpc», con riguardo all’affermazione della CTR secondo cui «la società ha dichiarato un reddito modesto rispetto al volume di affari. Infatti, a fronte di un volume di affari di oltre 1.500.000,00 euro è stato dichiarato un reddito di poco superiore ad euro 59.000,00 con una percentuale di redditività di appena il 3,90%.
In pratica i due soci della società hanno dichiarato un reddito inferiore a quello percepito dai propri dipendenti», atteso che: a) tale affermazione «viene riportata integralmente ed acriticamente» dal ricorso in appello dell’Agenzia delle entrate, «MI tutto sfornito di qualsiasi prova documentale e di qualsiasi elemento indiziario», sicché «la mera deduzione dell’Ufficio, passata al vaglio della prova con i criteri di prudenza imposti dall’art. 116 cpc, avrebbe dovuto comportare un diverso orientamento dei Giudici di secondo grado che invece, al contrario, si espongono ad una censura di errore nel procedimento sanzionato dal n. 4 dell’art. 360 cpc»; b) premesso che, «in ordine a tali deduzioni di controparte, già avanzate in primo grado, aveva controdedotto in maniera analitica», «[a]avverso tale contestazione deve applicarsi la norma contenuta nell’art. 115 cpc, allorché si specifica che il Giudice deve porre a fondamento della decisione […] i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita.
Evenienza che nel caso di specie si è assolutamente verificata, avendo provveduto […] il contribuente [..] ad una precisa contestazione delle avverse deduzioni che, pertanto, non possono trovare ingresso nella motivazione della sentenza gravata, non risultando superate da alcuna attività probatoria di controparte»;
prima di scrutinare tali motivi, si deve peraltro esaminare l’eccezione di inammissibilità dei ricorsi sollevata dall’Agenzia delle entrate sull’assunto che «l’esposizione dei fatti di causa ivi contenuta si esaurisce [..] nella pedissequa riproduzione di tutti gli atti processuali, con conseguente assenza del “lavoro di sintesi e di selezione dei profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice in un’ottica di economia processuale che evidenzi i profili rilevanti ai fini della formulazione dei motivi di ricorso” (ex m ultis, Cass. 23/6/2010 n. 15180)»;
l’eccezione è fondata;
l’art. 366, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., stabilisce che il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, «l’esposizione sommaria dei fatti della causa»;
la modalità con la quale i ricorrenti hanno inteso adempiere tale requisito di ammissibilità del ricorso non è idonea allo scopo; dopo una prima pagina e la prima riga della seconda – nelle quali sono indicate le parti, il ministero del difensore e la sentenza impugnata (con la precisazione che essa aveva accolto l’appello principale dell’Agenzia delle entrate, rigettato l’appello incidentale del contribuente e dichiarato legittimo l’avviso di accertamento impugnato), nelle successive 90 pagine, intestate “Fatto”, il ricorso di A.D.A. & C. s.n.c. è così strutturato: a) previa indicazione, in altre 11 righe della pag. 2, che l’Agenzia delle entrate aveva notificato un avviso di accertamento con cui, sulla base dell’applicazione degli studi di settore di cui all’art. 62-bis del d.l. n. 331 del 1993, aveva accertato, con riferimento al periodo d’imposta 2005, maggiori ricavi per € 100.168,00 – con i conseguenti maggiori reddito (da imputare ai soci), IRAP e IVA, oltre agli interessi e alle sanzioni – e, in ulteriori tre righe della stessa pagina, che, a seguito di un invito a comparire, aveva depositato una memoria presso l’Agenzia delle entrate, dalle ultime sei righe della pag. 2 fino alla diciottesima riga della pag. 9 è testualmente e integralmente riprodotto il contenuto di tale memoria; b) previa indicazione, nelle successive quattro righe della pag. 9, della notificazione dell’avviso di accertamento e della proposizione del ricorso alla CTP, dalla penultima riga della pag. 9 fino alla nona riga della pag. 50 è testualmente e integralmente riprodotto il contenuto di tale ricorso; c) dopo l’indicazione, nella successiva riga della pag. 50, della costituzione in giudizio dell’Ufficio e, in ulteriori due righe, del fatto di avere depositato una memoria, dalle ultime 10 righe della pag. 50 e fino alla sestultima riga della pag. 58 è testualmente e integralmente riprodotto il contenuto di tale memoria; d) dalla quartultima riga della pag. 58 all’undicesima riga della pag. 59 si dà conto del fatto che la CTP aveva accolto il ricorso, e, a pag. 59, è testualmente riprodotta la relativa motivazione; e) dopo l’indicazione, nelle successive 4 righe della pag. 59, del fatto che l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello alla CTR e, nelle ulteriori sei righe della pag. 59, del fatto di avere depositato atto di controdeduzioni, proponendo anche appello incidentale, dalla pag. 60 fino all’ottava riga della pag. 82 è testualmente e integralmente riprodotto il contenuto di tale atto di controdeduzioni con appello incidentale; f) previa esposizione, nelle successive due righe della pag. 82, del fatto di avere depositato una memoria illustrativa, dalla dodicesima riga della pag. 82 fino alla sedicesima riga della pag. 91 è testualmente e integralmente riprodotto il contenuto di tale memoria illustrativa;
dopo una prima pagina e le prime quattro righe della seconda – nelle quale sono indicate le parti, il ministero del difensore e la sentenza impugnata (con la precisazione che essa aveva accolto l’appello principale dell’Agenzia delle entrate, rigettato l’appello incidentale del contribuente e dichiarato legittimo l’avviso di accertamento impugnato), nelle successive 69 pagine, intestate “Fatto”, i ricorsi di A.D. e G.D. sono così strutturati: a) previa esposizione, in altre 14 righe della pag. 2, del fatto che l’Agenzia delle entrate, sul presupposto dell’accertamento nei confronti di A.D.A. & C. s.n.c., aveva notificato a ciascuno un avviso di accertamento con cui gli aveva imputato i maggiori redditi accertati in capo alla società – con la conseguente maggiore IRPEF, oltre agli interessi e alle sanzioni – e, nelle ulteriori righe della stessa pagina, del fatto che, a seguito dell’invito a comparire, avevano depositato una memoria presso l’Agenzia delle entrate, rispettivamente, dalla pag. 3 fino alla pag. 5 (R.G.N. 8442/2014) e dalla terza riga della pag. 3 fino alla diciottesima riga della pag. 5 (R.G.N. 8443/2014) è testualmente e integralmente riprodotto il contenuto di tali memorie; b) previa indicazione, rispettivamente, nelle prime tre righe della pag. 6 (R.G.N. 8442/2014) e dalla sestultima alla terzultima riga della pag. 5 (R.G.N. 8443/2014), della notificazione dell’avviso di accertamento e della proposizione del ricorso alla CTP, dalla quinta riga della pag. 6 fino alla diciottesima riga della pag. 47 (R.G.N. 8442/2014) e dalla penultima riga della pag. 5 fino alla quintultima riga della pag. 47 (R.G.N. 8443/2014) è testualmente e integralmente riprodotto il contenuto di tali ricorsi; c) dopo l’indicazione, nella quintultima (R.G.N. 8442/2014) e nella terzultima (R.G.N. 8443/2014) riga della pag. 47, del fatto che l’Ufficio si era costituito in giudizio sostenendo la legittimità del proprio operato, rispettivamente, dalla terzultima riga della pag. 47 alla dodicesima riga della pag. 48 (R.G.N. 8442/2014) e dall’ultima riga della pag. 47 alla quattordicesima riga della pag. 48 (R.G.N. 8443/2014), si dà conto del fatto che la CTP aveva accolto i ricorsi, e, a pag. 48, è testualmente riprodotta la relativa motivazione; e) dopo l’indicazione, nelle successive 4 righe della pag. 48, che l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello alla CTR e, in ulteriori due righe della pag. 59, del fatto di avere depositato atto di controdeduzioni, proponendo anche appello incidentale, rispettivamente, dalla penultima riga della pag. 48 fino sestultima riga della pag. 70 (R.G.N. 8442/2014) e da pag. 49 fino alla diciannovesima riga della pag. 71 (R.G.N. 8443/2014) è testualmente e integralmente riprodotto il contenuto di tali atti di controdeduzioni con appello incidentale;
consimili modalità di adempimento dell’onere di cui all’art. 366, primo comma, n. 3), cod. proc. civ. sono state giudicate inidonee allo scopo da Cass., S.U., 11/04/2012, n. 5698, che, nel solco di un pregresso già consolidato orientamento, ha affermato che, «[un tema di ricorso per cassazione, ai fini del requisito di cui all’art. 366, n. 3, cod. proc. civ., la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali è, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata; per altro verso, è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso»; tale principio di diritto è stato successivamente costantemente ribadito da questa Corte (tra le tante, Cass., 09/07/2013, n. 17002, 22/11/2013, n. 26277, 22/02/2016, n. 3385, la quale ultima ha altresì statuito che, a fronte dell’utilizzo della tecnica dell’integrale riproduzione di tutti o di una serie di atti processuali mediante il cosiddetto assemblaggio, il requisito di cui all’art. 366, primo comma, n. 3), cod. proc. civ. «non può [..] neppure essere desunto, per estrapolazione, dall’illustrazione del o dei motivi»);
anche più di recente si è affermato che, «[a]i fini del rispetto dei limiti contenutistici di cui all’art. 366, comma 1, n. 3) e 4), c.p.c., il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità al dovere processuale della chiarezza e della sinteticità espositiva, dovendo il ricorrente selezionare i profili di fatto e di diritto della vicenda “sub iudice”posti a fondamento delle doglianze proposte in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.; l’inosservanza di tale dovere […] pregiudica l’intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata e, pertanto, comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso, ponendosi in contrasto con l’obiettivo del processo, volto ad assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa (art. 24 Cost.), nel rispetto dei principi costituzionali e convenzionali del giusto processo (artt. 111, comma 2, Cost. e 6 CEDU), senza gravare lo Stato e le parti di oneri processuali superflui» (Cass., 30/04/2020, n. 8425);
sulla base di tali principi di diritto, i ricorsi appaiono inammissibili per la palese inosservanza del requisito di cui all’art. 366, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., atteso che, come si è sopra evidenziato, i fatti delle rispettive cause sono esposti nei ricorsi attraverso la pedissequa riproduzione dell’intero letterale contenuto di una vasta serie di atti processuali, così sottraendosi all’inderogabile compito di sintesi degli aspetti delle medesime cause funzionalmente utili alla comprensione e alla valutazione delle censure mosse alla sentenza impugnata, e inammissibilmente affidando alla Corte (dopo averla quattordicesima riga della pag. 48 (R.G.N. 8443/2014), si dà conto del fatto che la CTP aveva accolto i ricorsi, e, a pag. 48, è testualmente riprodotta la relativa motivazione; e) dopo l’indicazione, nelle successive 4 righe della pag. 48, che l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello alla CTR e, in ulteriori due righe della pag. 59, del fatto di avere depositato atto di controdeduzioni, proponendo anche appello incidentale, rispettivamente, dalla penultima riga della pag. 48 fino sestultima riga della pag. 70 (R.G.N. 8442/2014) e da pag. 49 fino alla diciannovesima riga della pag. 71 (R.G.N. 8443/2014) è testualmente e integralmente riprodotto il contenuto di tali atti di controdeduzioni con appello incidentale; consimili modalità di adempimento dell’onere di cui all’art. 366, primo comma, n. 3), cod. proc. civ. sono state giudicate inidonee allo scopo da Cass., S.U., 11/04/2012, n. 5698, che, nel solco di un pregresso già consolidato orientamento, ha affermato che, «[un tema di ricorso per cassazione, ai fini del requisito di cui all’art. 366, n. 3, cod. proc. civ., la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali è, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata; per altro verso, è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso»; tale principio di diritto è stato successivamente costantemente ribadito da questa Corte (tra le tante, Cass., 09/07/2013, n. 17002, 22/11/2013, n. 26277, 22/02/2016, n. 3385, la quale ultima ha altresì statuito che, a fronte dell’utilizzo della tecnica dell’integrale riproduzione di tutti o di una serie di atti processuali mediante il cosiddetto assemblaggio, il requisito di cui all’art. 366, primo comma, n. 3), cod. proc. civ. «non può [..] neppure essere desunto, per estrapolazione, dall’illustrazione del o dei motivi»);
anche più di recente si è affermato che, «[a]i fini del rispetto dei limiti contenutistici di cui all’art. 366, comma 1, n. 3) e 4), c.p.c., il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità al dovere processuale della chiarezza e della sinteticità espositiva, dovendo il ricorrente selezionare i profili di fatto e di diritto della vicenda “sub iudice”posti a fondamento delle doglianze proposte in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.; l’inosservanza di tale dovere […] pregiudica l’intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata e, pertanto, comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso, ponendosi in contrasto con l’obiettivo del processo, volto ad assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa (art. 24 Cost.), nel rispetto dei principi costituzionali e convenzionali del giusto processo (artt. 111, comma 2, Cost. e 6 CEDU), senza gravare lo Stato e le parti di oneri processuali superflui» (Cass., 30/04/2020, n. 8425);
sulla base di tali principi di diritto, i ricorsi appaiono inammissibili per la palese inosservanza del requisito di cui all’art. 366, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., atteso che, come si è sopra evidenziato, i fatti delle rispettive cause sono esposti nei ricorsi attraverso la pedissequa riproduzione dell’intero letterale contenuto di una vasta serie di atti processuali, così sottraendosi all’inderogabile compito di sintesi degli aspetti delle medesime cause funzionalmente utili alla comprensione e alla valutazione delle censure mosse alla sentenza impugnata, e inammissibilmente affidando alla Corte (dopo averla costretta a leggere tutto) la scelta di quanto effettivamente rileva in relazione ai motivi;
diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti nelle memorie, la tecnica con cui essi hanno inteso adempiere il requisito di ammissibilità di cui all’art. 366, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., non è giustificata da quello che è comunemente indicato come il principio di autosufficienza del ricorso;
tale tesi non coglie infatti che quest’ultimo principio pertiene al diverso requisito di ammissibilità di cui all’art. 366, primo comma, n. 6), cod. proc. civ. – che del principio giurisprudenziale di autosufficienza del ricorso ha costituito la codificazione (ex plurimis, Cass., 25/03/2013, n. 7455, n. 3385 del 2016) – e riguarda la modalità di esposizione dei motivi, i quali, per essere idoneamente articolati come “domanda” rivolta alla Corte di cassazione, presuppongono «la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi» su cui si fondano, onere che può essere adempiuto o mediante la trascrizione della parte rilevante o mediante l’indicazione dell’atto, documento, contratto o accordo collettivo, specificando la parte (punto) di esso cui ci si riferisce e il tempo e la fase del suo deposito (e fermo restando che, a norma dell’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., i predetti atti processuali, documenti contratti o accordi collettivi devono, a pena di improcedibilità, essere depositati insieme con il ricorso per cassazione);
i ricorsi devono, pertanto, essere dichiarati inammissibili;
le spese dei giudizi di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 91, primo comma, cod. proc. civ., e sono liquidate come indicato in dispositivo.
P.Q.M.
Riuniti i ricorsi, li dichiara inammissibili e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese dei giudizi di legittimità rispettivamente instaurati, che liquida in € 4.100,00 per ciascun ricorso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – comma inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 – si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i rispettivi ricorsi principali a norma del comma 1-bis del suddetto art. 13, se dovuto.