Corte di Cassazione ordinanza n. 29801 depositata il 12 ottobre 2022
ricorso in cassazione – principi da rispettare per la sua ammissibilità
Rilevato che
La A.S. S.T. ha impugnato la sentenza n. 2473/30/2014, pronunciata dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia e depositata il 13 maggio 2014, con cui era stato rigettato l’appello della contribuente avverso la sentenza di primo grado, a sua volta di rigetto del ricorso introdotto dalla contribuente contro l’avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle entrate per l’anno d’imposta 2009. L’Ufficio, ai sensi dell’art. 41 bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, aveva accertato un imponibile di € 36.001,00 ai fini Ires.
Dal ricorso e dalla pronuncia si evince che con l’atto impositivo -che seguiva una verifica e un processo verbale di constatazione, da cui avevano tratto origine anche gli avvisi di accertamento relativi agli anni d’imposta 2007 e 2008- l’Amministrazione finanziaria aveva escluso che la ricorrente fosse qualificabile come associazione sportiva dilettantistica, per trattarsi di ente non commerciale esercente anche attività commerciale. Per tale ragione, e con riguardo alle operazioni commerciali, era stata esclusa l’applicabilità della normativa di favore relativa agli obblighi contabili (artt. 15 e segg. del d.P.R. n. 600 del 1973; 144 e 148 del d.P.R. 31 dicembre 1986, n. 917), nonché alle regole di detraibilità ed esenzione dall’Iva (art. 19-ter del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633). L’Agenzia delle entrate aveva nello specifico rilevato che nell’anno d’imposta 2007 l’ente aveva contabilizzato una plusvalenza di € 156.799,69, derivante dalla differenza tra il corrispettivo di vendita di un autoveicolo da competizione, pari ad € 180.000,00, e il valore residuo da ammortizzare, pari ad € 23.201,00. Ai sensi dell’art. 86, comma 4, del d.P.R. n. 917 del 1986 l’associazione aveva chiesto che tale plusvalenza concorresse alla determinazione del reddito per quote costanti. Tuttavia, poiché l’ente non aveva prodotto il registro dei beni ammortizzabili, l’Agenzia delle entrate aveva ritenuto indimostrato l’ammortamento residuo, riprendendo a plusvalenza l’intero importo del prezzo di vendita (€ 180.000,00). In applicazione della ripartizione in cinque quote ex art. 86, comma 4, cit., aveva pertanto rettificato il reddito 2009, recuperando ad imponibile € 36.000,00.
L’accertamento fu contestato dalla ricorrente. Nel contenzioso seguitone dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano il giudice di primo grado rigettò il ricorso con sentenza n. 191/47/2013. L’appello dell’associazione fu rigettato con la pronuncia ora al vaglio della Corte. Per quanto qui di interesse il giudice regionale ha dettagliatamente ricostruito la vicenda accertativa e processuale. Ha dunque rilevato che, in mancanza di adeguato riscontro contabile, non soddisfatto dai pochi documenti versati in atti dall’associazione, e tenendo conto delle conseguenze formali e sostanziali riconducibili alla mancata tenuta del registro dei cespiti ammortizzabili e alla omessa annotazione del cespite oggetto della controversia, l’Amministrazione finanziaria non era in condizione di verificare la congruità delle quote d’ammortamento applicate. Pertanto ha ritenuto che correttamente la plusvalenza fosse stata quantificata nell’intero importo del corrispettivo di vendita dell’autovettura sportiva da competizione.
La contribuente ha censurato la sentenza con un solo motivo, chiedendone la cassazione, cui ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Nell’adunanza camerale del 10 giugno 2022 la causa è stata discussa e decisa.
È stata depositata memoria illustrativa ai sensi dell’art. 380 bis.1, cod. proc. civ., dal nuovo difensore costituitosi per la ricorrente.
Considerato che
La ricorrente ha censurato la sentenza, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 86, 143 e 148 del d.P.R. n. 917 del 1986, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., quanto al riconoscimento della plusvalenza. Le ragioni sono supportate riportando il testo del comma 1 e della prima parte del comma 2 dell’art. 86 del d.P.R. 917 del 1986. Quindi si afferma che sulla base del corrispettivo di vendita dell’autovettura (€ 180.000,00) e del prezzo d’acquisto (€ 200.000,00), desumibile dalla fattura prodotta in giudizio, la plusvalenza fosse stata pari a zero e che pertanto la sentenza era errata e andava cassata.
Il motivo è inammissibile. Al di là della formale invocazione di un errore di diritto, la sua lettura non consente di comprendere la specifica critica rivolta alla sentenza del giudice d’appello, poiché, a fronte dei fatti e delle ragioni rappresentate nel provvedimento impugnato, lo sviluppo argomentativo del ricorso risulta eccentrico, impedendo persino di identificarne la ragione, se cioè effettivamente afferente ad un vizio di interpretazione della norma, oppure un vizio motivazionale del provvedimento.
Posto che il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità ai principi di chiarezza e sinteticità espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 cod. proc. civ. (cfr da ultimo Sez. U, 30 novembre 2021, n. 37552), nel caso di specie la lettura della censura non consente di inquadrare la natura della critica.
Dalla sentenza si evince che oggetto della controversia era la ripresa ad imponibile di una plusvalenza, dichiarata nella misura di € 156.799,69, corrispondente alla differenza tra il prezzo di vendita dell’autovettura sportiva (€ 180.000,00) e il costo residuo da ammortizzare (€ 23.201,00). Ciò, secondo la regola prescritta dall’art. 86, comma 2, cit., riportata dalla medesima ricorrente. Sempre nella sentenza si riferisce che l’associazione in sede di dichiarazione 2007 aveva optato per la facoltà concessa dall’art. 86, comma 4, del d.P.R. 917 del 1986, ossia, ai fini del concorso alla formazione del reddito, per la ripartizione della plusvalenza in quote costanti per cinque annualità. Ancora nella pronuncia impugnata si riporta che l’assenza di contabilità, e nello specifico l’assenza del registro dei beni ammortizzabili, pur obbligatoria per gli enti non commerciali che svolgono operazioni commerciali e la cui omessa tenuta non consente di quantificare l’ammortamento operato, aveva indotto l’Amministrazione finanziaria a determinare la plusvalenza in misura corrispondente all’integrale prezzo di vendita. Dunque, secondo la chiara esposizione dei fatti, nella misura integrale di€ 180.000,00 e non in quella di€ 156.799,69. Di conseguenza per l’anno d’imposta 2008 era stata recuperata la quota d’ammortamento pari ad€ 36.000,00 (1/5 dell’intero importo di€ 180.000,00).
Ebbene, rispetto a questa ricostruzione e alle ragioni dell’avviso d’accertamento, e a fronte della motivazione del giudice regionale, che ha ritenuto corretta la pretesa fiscale, l’associazione si è limita a riprodurre il testo dell’art. 86 cit., per poi affermare che tra il prezzo di acquisto (€ 200.000,00) e il prezzo di vendita dell’autovettura (€ 180.000,00) non poteva essere riconosciuta alcuna plusvalenza.
Si tratta di una difesa incomprensibile alla luce dei fatti rilevanti e delle ragioni giuridiche, perché ignora in toto che in sentenza si dà atto che nella dichiarazione 2007 l’associazione aveva dichiarato una plusvalenza, pari ad € 156.799,69, per la quale era stata chiesta, in applicazione dell’art. 86, comma 4, del d.P.R. n. 917 del 1986, la ripartizione in cinque quote costanti.
Se queste circostanze e questi fatti non sono stati riconosciuti dall’associazione, nel ricorso si sarebbe dovuto quanto meno denunciare uno stravolgimento dei fatti da parte del giudice regionale. Di ciò invece non vi è traccia, né si riferisce che quella ricostruzione è stata oggetto di contestazione nei precedenti gradi di merito. La ricorrente si è dunque limitata a sostenere che non esisteva alcuna plusvalenza tra costo d’acquisto e corrispettivo di vendita dell’autovettura, ignorando del tutto che quel costo, risalente al 2002 (desumibile dalla data della fattura) era stato oggetto di ammortamento, circostanza contabilmente ed economicamente incidente sulla insorgenza e quantificazione di una plusvalenza, proprio in forza della regola prescritta dall’art. 86 cit. Nulla invece è stato riferito per dimostrare quanto del costo d’acquisto dell’autoveicolo fosse stato ammortizzato sino al momento della vendita.
Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile. All’esito del giudizio segue la soccombenza della ricorrente nelle spese processuali, che si liquidano nella misura specificata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali sostenute dall’Agenzia delle entrate, che si liquidano in € 2.300,00 per competenze, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.