CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 giugno 2018, n. 14440
Tributi – Accertamento – Fatture per operazioni inesistenti – Notificazione – Raddoppio dei termini
Rilevato
– che, in controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento ai fini IVA, IRES ed IRAP per gli anni di imposta 2006, 2007 e 2008, con cui l’amministrazione finanziaria contestava alla società contribuente l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, con la sentenza in epigrafe la CTR della Lombardia accoglieva l’appello proposto dalla società contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado ed annullava l’atto impositivo emesso con riferimento all’anno di imposta 2006 per inapplicabilità alla fattispecie del raddoppio dei termini di accertamento, per essere stata effettuata la comunicazione della notitia criminis successivamente alla notifica dell’avviso di accertamento; annullava altresì gli atti impositivi emessi con riferimento agli anni d’imposta 2007 e 2008 per violazione del contraddittorio endoprocedimentale, per essere stati emessi gli avvisi di accertamento senza il rispetto del termine dilatorio previsto dal comma 7 dell’art. 12 della legge n. 212 del 2000;
– che per la cassazione della sentenza di appello ricorre con due motivi l’Agenzia delle entrate, cui replica la società contribuente con controricorso;
– che sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. (come modificato dal d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197), risulta regolarmente costituito il contraddittorio;
– che il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata;
Considerato
– che è fondato e va accolto, benché nei limiti di cui appresso si dirà, il primo motivo di ricorso con cui la difesa erariale, deducendo ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 37, commi 24, 25 e 26, d.l. n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006, 43 d.P.R. n. 600 del 1973, 2, commi 1, 2 e 3, d.lgs. n. 128 del 2015 e 1, comma 132, legge n. 208 del 2015, lamenta che la CFR aveva erroneamente ritenuto non applicabile alla fattispecie il raddoppio dei termini di accertamento per essere stata effettuata la comunicazione della notitia criminis dopo la notifica dell’atto impositivo;
– che secondo il consolidato orientamento di questa Corte «In tema di accertamento tributario, i termini previsti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, nella versione applicabile “ratione temporis”, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza», come peraltro stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza 25 luglio 2011, n. 247, «senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016 e già notificati, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della 1. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, che fa salvi gli effetti degli avvisi già notificati» (Cass. n. 16728 del 2016; conf. Cass. n. 26037 del 2016);
– che nelle citate pronunce la Corte ha avuto cura di precisare: a) che «non di raddoppio dei termini in senso proprio si tratta, bensì di un nuovo termine di decadenza», applicabile in ipotesi di sussistenza di seri indizi di reità, che è un dato obiettivo non lasciato alla discrezionalità del funzionario dell’ufficio tributario ma che deve essere accertato dal giudice;
b) che tale raddoppio non è escluso dalla configurabilità di una causa di estinzione del reato come la prescrizione, né dalla intervenuta archiviazione della denuncia, non rilevando «né l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’articolo 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, anche in considerazione del doppio binario tra giudizio penale e procedimento e processo tributario (in termini, Cass. 15 maggio 2015, n. 9974)» (Cass. n. 16728/16, cit.); c) che su tale assetto nessun effetto spiega la sequenza di modifiche che hanno riguardato la disciplina dei termini prescritti per l’accertamento (legge n. 208 del 2015, art. 1, commi da 130 a 132, nonché d.lgs. n. 128 del 2015, art. 2) in quanto, qualora gli avvisi di accertamento relativi a periodo d’imposta precedenti a quello in corso alla data 31 dicembre 2016 siano stati già notificati – come nel caso in esame, in cui gli atti impositivi risultano notificati in data 23/05/2011 – si applica la disciplina dettata dall’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015 (che non è stato modificato dalla successiva legge n. 208 del 2015), che fa espressamente salvi gli effetti degli avvisi di accertamento notificati alla data di entrata in vigore del predetto decreto;
– che, pertanto, con riferimento ad avviso di accertamento emesso e notificato negli anni 2012 e 2013, come nella fattispecie, è del tutto indifferente la data in cui viene effettuata la comunicazione di notizia di reato, e persino l’omissione di quella comunicazione, perché quello che invece assume rilevanza ai predetti fini è la circostanza che le violazioni tributarie accertate integrino fatti anche penalmente rilevanti; circostanza sub ipecie sussistente e, comunque, non contestata;
– che per tale ragione il raddoppio dei termini di accertamento non opera con riferimento all’IRAP posto che, «non essendo l’IRAP un’imposta per la quale siano previste sanzioni penali è evidente che in relazione alla stessa non può operare la disciplina del “raddoppio dei termini” di accertamento quale applicabile ratione temporis (cfr. Cass. n. 20435/2017; n. 4775/2016 n. 26311 del 2017, n. 23629 del 2017);
– che, pertanto, il motivo di ricorso in esame va accolto limitatamente alla ripresa a tassazione ai fini IVA e IRES e rigettato quanto alla ripresa a fini IRAP; la sentenza impugnata va, quindi, cassata con riferimento all’avviso di accertamento emesso per l’anno d’imposta 2006 con rinvio alla competente CTR per l’esame delle questioni inerenti le predette imposte (IVA ed IRES), rimaste assorbite;
– che con il secondo motivo la ricorrente deduce che la CTR, annullando gli avvisi di accertamento relativi agli anni di imposta 2007 e 2008 perché emessi “ante tempus”, aveva erroneamente applicato al caso di specie l’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, nonostante gli accertamenti fossero stati condotti “a tavolino”;
– che il motivo è fondato e va accolto; le Sezioni unite di questa Corte nella sentenza n. 18184 del 2013 hanno affermato a chiare lettere che l’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 determina di per sé, in caso di inosservanza e salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus” a carico di quei contribuenti «nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività»;
– che tale principio è stato ribadito da numerose successive pronunce, tra cui quella, sempre delle Sezioni unite, n. 24823 del 2015, che ha precisato che «la previsione dell’art. 12, comma 7, 1. 212/2000 non è fonte di un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale a carico dell’Amministrazione fiscale» in quanto le garanzie ivi fissate «trovano applicazione esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente» (Sez. U. cit., par. IV, p. 1);
– che nel caso di specie è del tutto pacifico, tanto risultando dalla sentenza impugnata ma anche dallo stesso controricorso, che la società contribuente non ha subito alcun tipo di accesso, ispezione o verifica da parte degli organi di controllo nei locali ove esercita l’attività, essendo la verifica consistita in un accertamento di tipo documentale, c.d. a tavolino, che non impegnava l’amministrazione finanziaria neppure a redigere un p.v.c. da notificare alla società contribuente;
– che un obbligo di contraddittorio sussiste, invece, in tema di tributi “armonizzati”, nella specie IVA, «avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione», con la conseguenza che, in tal caso, «la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto», ma alla specifica condizione, nella specie non verificatasi, che «in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto» (Cass. Sez. U., n. 24823 del 2015; sull’esito negativo della c.d. prova di resistenza cfr., ex multis, Cass. n. 1969, n. 3408 del 2017, n.3142 del 2014, n.13588 del 2014);
– che, quindi, alla stregua delle suesposte considerazioni, il motivo va accolto integralmente e la sentenza di appello va cassata con rinvio alla CTR per nuovo esame delle questioni di merito rimaste assorbite;
– che il giudice del rinvio provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità;
P.Q.M.
accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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