CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 giugno 2018, n. 14441
Imposte dirette – IRPEF – Accertamento – Redditometro – Prova da parte del contribuente – Esistenza dei redditi
Rilevato
– che, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento “redditometrico” ex art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973 di maggiori redditi ai fini IRPEF relativi agli anni di imposta 2007 e 2008, con la sentenza in epigrafe la Commissione tributaria regionale della Toscana respingeva l’appello principale proposto dalla contribuente, sostenendo al riguardo che la contribuente aveva dimostrato di avere la disponibilità di redditi soggetti a ritenuta alla fonte ma non la loro durata, che riteneva sussistente «al massimo fino al 5 giugno 2006», e respingeva anche l’appello incidentale proposto dall’Ufficio, ritenendo violato l’obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, derivante sia dal comma 6 del citato art. 38, vigente ratione temporis, che dalle disposizioni contenute nella circolare n. 49/E del 2007;
– che avverso tale statuizione la contribuente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui replica l’Agenzia delle entrate con controricorso e ricorso incidentale affidato ad un motivo;
– che sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. risulta regolarmente costituito il contraddittorio;
– che il Collegio ha deliberato la redazione della motivazione dell’ordinanza in forma semplificata;
Considerato
– che con i due motivi di ricorso, con cui viene dedotta la violazione e falsa applicazione di diverse disposizioni di legge in materia di prova contraria gravante sul contribuente nell’ipotesi, come quella di specie, di accertamento c.d. “redditometrico”, che per la loro stretta connessione vanno esaminati congiuntamente, la ricorrente censura la statuizione impugnata per avere la CTR erroneamente interpretato le disposizioni censurate (primo motivo) così come interpretate dalla giurisprudenza di questa Corte (secondo motivo);
— che i motivi sono infondati e vanno rigettati in quanto l’interpretazione delle disposizioni censurate e l’indirizzo giurisprudenziale (cfr. Cass. n. 3804 e n. 20477 del 2017, n. 1332 del 2016; n. 22944 del 2015; n. 14885 del 2015, n. 25104 del 2014, secondo le quali il contribuente può limitarsi a provare di avere la disponibilità di redditi idonei a giustificare le spese accertate), sulla cui base è fondato il motivo in esame, è stato superato da quelle pronunce della Corte, che il Collegio condivide e alle quali intende dare seguito, che ha invece ritenuto che, in base al contenuto precettivo della disposizione in esame, nella versione applicabile “ratione temporis”, la parte contribuente, seppur non debba dare la prova dell’effettiva destinazione del reddito esente o sottoposto a tassazione separata agli incrementi patrimoniali, deve comunque dare la dimostrazione dell’esistenza di tali redditi oltre che dell’entità degli stessi e della durata del loro possesso, «che costituiscono circostanze sintomatiche del fatto che la spesa contestata sia stata sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta» (Cass. n. 25104 del 2014; successive conformi, Cass. n. 3084 e n. 20477 del 2017, n. 1455, n. 1332 e n. 916 del 2016, nonché n. 22944, n. 14885 del 2015 e la n. 7339 del 2015 citata dalla CTR); al riguardo si è precisato che la norma in esame non richiede «un onere di dimostrazione, aggiuntivo, circa la provenienza oltre che l’effettiva disponibilità finanziaria delle somme occorrenti per gli acquisti operati dal contribuente», in quanto «una diversa interpretazione, in nessun modo correlata al tenore testuale del ricordato art. 38, comma 6, ult. cit., determinerebbe in definitiva, una sorta di trasfigurazione del presupposto impositivo, non più correlato all’esistenza di un reddito ma, piuttosto, all’esistenza di una spesa realizzata da redditi imponibili ordinari e congrui o da redditi esenti o da redditi assoggettati a ritenute alla fonte a titolo d’imposta» (Cass. n. 1455/2016); si e quindi ulteriormente osservato che, seppur la norma chieda qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi, ovvero che «l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione», e, quindi non il loro semplice “transito” nella disponibilità del contribuente, è anche vero che un tale tipo di prova non può ritenersi particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la “durata” di quel possesso (Cass. n. 8995 del 2014; conf. Cass. n. 3804 del 2017);
– che la sentenza della CTR, che a tale insegnamento si è correttamente attenuta, va conseguentemente, in tale parte, confermata;
– che è invece fondato e va accolto il motivo di ricorso incidentale con cui la difesa erariale censura la sentenza impugnata per avere ritenuto obbligatorio il contraddittorio endoprocedimentale anche con riferimento ad annualità di imposta (2007 e 2008) antecedente all’entrata in vigore del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, il cui art. 22, che aveva modificato anche il comma 7 dell’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973 introducendo l’obbligo del contraddittorio tra contribuente ed amministrazione finanziaria, prevedeva espressamente che la norma aveva «effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non é ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto», e quindi a decorrere dall’anno di imposta 2009;
– che il motivo è fondato atteso che la CTR non si è conformata al consolidato orientamento di questa Corte, non superabile neppure dal diverso orientamento di documenti di prassi non vincolanti, secondo cui, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria con riferimento ai tributi “non armonizzati” (nella specie IRPEF), è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, solo ove risulti specificamente sancito, come avviene per l’accertamento sintetico in virtù dell’art. 38, comma 7, del d.P.R. n. 600 del 1973, nella formulazione introdotta dall’art. 22, comma 1, del d.l. n. 78 del 2010, conv. in l. n. 122 del 2010, applicabile, però, solo dal periodo d’imposta 2009, per cui gli accertamenti relativi alle precedenti annualità sono legittimi anche senza l’instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale (cfr., ex multis, Cass. n. 11283 del 2016, n. 22995 del 2016, n. 2474 del 2017);
– che, in estrema sintesi, i motivi di ricorso principale vanno rigettati mentre va accolto il motivo di ricorso incidentale, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla competente CTR che rivaluterà la vicenda processuale in relazione al motivo accolto e provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 – bis, dello stesso articolo 13.
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