CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 giugno 2020, n. 10728
Accertamento – Tributi indiretti – IVA – Contenzioso tributario – Contabilità complessivamente inattendibile
Rilevato che
– con la sentenza di cui sopra il giudice di seconde cure ha accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate e in riforma della pronuncia della CTP confermato la legittimità dell’atto impugnato, avviso di accertamento per Iva e altro 2004;
– ricorre la società contribuente con atto affidato a due motivi; resiste l’Amministrazione Finanziaria con controricorso;
Considerato che
– con il primo motivo di ricorso si censura la gravata sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 39 c. 1, 40 d.P.R. n. 600 del 1973 nonché dell’art. 54 d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 2729 c.c. e all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. e per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio a norma dell’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c. per avere la CTR, erroneamente applicando le regole probatorie di cui all’art. 39 c. 1 d.P.R. n. 600 del 1973 ad un accertamento, quale quello per cui è causa, ex art. 39 c. 1 lett. d) d.P.R. n. 600 del 1973, illegittimamente applicato in modo inverso le regole di riparto dell’onere probatorio, ponendolo in capo al contribuente invece che all’Erario;
– il motivo, a ben vedere, contiene una censura motivazionale e una ulteriore censura costituente denuncia di violazione di legge;
– analoga censura motivazionale svolge il secondo motivo, che aggredisce la sentenza di appello per motivazione “contraddittoria e controversa” (pag. 10 ultime righe del ricorso) e per “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio” (pag. 12 ultime righe del ricorso) per avere la CTR omesso di valutare le innumerevoli prove depositate dalla contribuente nel corso del giudizio;
– ne deriva che nella parti in cui svolgono critiche motivazionali al provvedimento gravato (che risulta depositato in data 16 aprile 2013) trova applicazione, proprio quanto ai motivi di ricorso e ai vizi deducibili per cassazione, il nuovo testo dell’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c. (come modificato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, cosiddetto “Decreto Sviluppo”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 26 giugno 2012, n. 147, convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 187 del 11-08-2012);
– tal disposizione, applicabile alle sentenze pubblicata a partire dall’11 settembre 2012, quindi anche alla pronuncia qui gravata, consente di adire la Suprema Corte per “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”;
– conseguentemente, poiché formulate con riferimento al previgente testo del n. 5 di cui sopra, tutte le censure aventi per oggetto il difetto di motivazione non sono consentite e debbono esser dichiarate inammissibili; poiché come si è detto è qui in esame un provvedimento pubblicato dopo rii settembre 2012 e resta applicabile ratione temporìs il nuovo testo dell’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c. secondo la riformulazione, disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 già citata, secondo le Sezioni Unite ciò deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali;
– e nel presente caso non si è in presenza di assenza del minimo costituzionale in motivazione; di qui l’inammissibilità delle censure;
– tale anomalia infatti si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. s.u. 7/04/2014, n. 8053);
– quanto alla censura relativa alla violazione di legge sopra riassunta, nondimeno il primo motivo si manifesta egualmente infondato;
– questa Corte ritiene, con orientamento consolidato al quale si aderisce, ha ritenuto che (Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 26036 del 30/12/2015; conf. Cass. Ordinanza n. 26086 del 17/10/2018) in materia di IVA, l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni;
– ancora, si è recentemente precisato (Cass. Sez. 5 – , Ordinanza n. 25257 del 25/10/2017 (Rv. 645975 – 01) che nel giudizio tributario, una volta contestata dall’Erario l’antieconomicità di una operazione posta in essere dal contribuente che sia imprenditore commerciale, perché basata su contabilità complessivamente inattendibile in quanto contrastante con i criteri di ragionevolezza, diviene onere del contribuente stesso dimostrare la liceità fiscale della suddetta operazione ed il giudice tributario non può, al riguardo, limitarsi a constatare la regolarità della documentazione cartacea. Infatti, è consentito al fisco dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere minori costi, utilizzando presunzioni semplici e obiettivi parametri di riferimento, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente, che deve dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate a fronte della contestata antieconomicità;
– pertanto, nel ritenere che a fronte degli elementi contestati in modo preciso dall’Ufficio, era onere del contribuente (che non vi ha adempiuto) fornire la prova del contrario, la CTR ha correttamente governato il regime probatorio applicabile alla fattispecie in esame;
– pertanto, il ricorso è rigettato;
– la soccombenza regola le spese; va infine dato atto della sussistenza dei presupposti per il c.d. “raddoppio” del contributo unificato;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; liquida le spese in euro 5.600 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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