CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 marzo 2020, n. 6245
Tributi – Riscossione – Intimazione di pagamento – Atto autonomamente impugnabile – Notifica oltre il termine di prescrizione decennale – Nullità
Ritenuto in fatto
Con sentenza n. 172/28/2012 la Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello proposto da F.M.G. avverso la sentenza di primo grado della Commissione Tributaria Provinciale di Roma che, decidendo sul ricorso avverso una intimazione di pagamento relativa ad anno di imposta 1987 l’aveva rigettato sul presupposto che l’intimazione di pagamento non fosse atto autonomamente impugnabile e che, poiché i propedeutici avvisi di irrogazione sanzioni erano stati notificati in data 24.9.1992 e non impugnati, l’iscrizione a ruolo effettuata in data 5.12.2000 rientrava nel pieno rispetto del termine di prescrizione decennale.
Avverso tale statuizione il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, illustrati con memoria, cui replicano l’Agenzia delle Entrate ed Equitalia Sud s.p.a. con controricorso.
Ragioni della decisione
1.Con il primo motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione e mancata e/o falsa applicazione dell’art. 78 del DPR 26.4.1986 n. 131 e degli artt. 2946, 2934, 2936 e 2943 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c essendo ampiamente decorso il termine di prescrizione decennale previsto da tali norme dalla data di notifica degli avvisi.
2.Con il terzo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza per avere qualificato l’intimazione di pagamento come atto ricognitivo di debito non autonomamente impugnabile in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
3. Le censure sono suscettibili di trattazione congiunta. Esse sono fondate.
Ai sensi dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 il ruolo e la cartella di pagamento rientrano tra gli atti impugnabili nel processo tributario.
Il comma 3 del citato articolo prevede, inoltre, che: “Gli atti diversi da quelli indicati (n.d.r. al comma 1) non sono impugnabili autonomamente. Ognuno degli atti autonomamente impugnabili può essere impugnato solo per vizi propri. La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ ultimo”.
Non vi è dubbio che l’intimazione di pagamento sia un atto impugnabile, in quanto secondo quanto espresso dalla S.C.: “In tema di contenzioso tributario, l’impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dall’art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che, tuttavia, sia espressivo di una pretesa tributaria ormai definita (nella specie, atto recante intimazione di pagamento) è una facoltà e non un onere, costituendo un’estensione della tutela” (Cass. n.3259 del 2019; n. 2616 del 2015, n. 14765 del 2016, n. 26129 del 2017).
Il ricorrente ha impugnato l’intimazione di pagamento per far valere la prescrizione del tributo maturatasi successivamente alla notifica di due avvisi di irrogazione sanzioni non opposti.
La CTR ha accertato che gli avvisi sono stati notificati il 24.9.1992, mentre l’intimazione è stata notificata in data 9.6.2007 e quindi ben oltre dieci anni dalla notifica degli atti impositivi.
La CTR non fa alcun cenno della eventuale notifica di cartelle di pagamento.
Il giudice di appello ha ritenuto, erroneamente, che l’ iscrizione a ruolo degli importi degli avvisi, avvenuta in data 5.12.2000, aveva impedito la prescrizione dei tributi.
Il decorso del termine prescrizionale per la riscossione dell’imposta definitivamente accertata, non può ritenersi interrotto dalla sola formazione del ruolo da parte dell’Amministrazione finanziaria, atteso che, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 2943 cod. civ., la prescrizione dei diritti è interrotta solo da un atto che valga a costituire in mora il debitore e, quindi, avente carattere recettizio, mentre l’iscrizione a ruolo di un tributo resta un atto interno dell’amministrazione (Cass. 14301/2009; Cass. 315/2014).
Il ricorso deve essere, pertanto accolto con assorbimento della trattazione del motivo n. 2 con il quale si fa valere la nullità della sentenza per violazione e mancata e/o falsa applicazione dell’art. 20 comma 3 del D.Igs 18/12(/1997 n.472 e dell’art. 2948 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c. essendo decorso il termine di prescrizione quinquennale per la riscossione degli interessi e delle sanzioni e del motivo n. 4 con il quale si deduce la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione del dpr n. 546 del 1992, art. 57, nonché violazione dell’art. 7 della legge 212/2000 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. per aver ritenuto inammissbile la eccezione di nullità ex art. 7 delle legge 212/2000 per violazione dello ius novorum, e la sentenza cassata.
Non essendo necessari accertamenti in punto di fatto la controversia può essere decisa nel merito con accoglimento dell’originario ricorso del contribuente.
Le spese e del giudizio di merito devono essere compensate in considerazione della evoluzione nel tempo della giurisprudenza in materia.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
accoglie il primo e terzo motivo di ricorso, assorbiti il secondo e il quarto;
cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso del contribuente.
Compensa le spese del giudizio di merito e condanna le resistenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 2900,00 oltre al rimborso forfettario delle spese generali e agli accessori di legge.
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