CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 ottobre 2018, n. 24471
Imposte indirette – IVA – Accertamento – Cessione di beni a titolo di sconto – Verifica fiscale – Riscossione
Rilevato che
– F.M. Spa impugnava l’avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2002 ai fini Iva, con il quale, a seguito di verifica fiscale, l’Agenzia delle entrate aveva rideterminato il volume d’affari e contestato maggiori operazioni imponibili ai fini Iva in relazione ad omaggi, sconti, anche a soggetti stranieri, cessioni ritenute non imponibili, nonché per minor Iva in detrazione;
– il giudice di primo grado rigettava l’impugnazione; la sentenza era confermata dalla CTR del Veneto, ad eccezione della ripresa per la cessione di beni a titolo di sconto;
– l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione con un articolato motivo, cui resiste il contribuente con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale con sei motivi;
Considerato che
– l’unico motivo proposto dall’Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 15 d.P.R. n. 633 del 1972, nonché insufficiente motivazione: l’Agenzia lamenta, in sostanza, il riconoscimento della non imponibilità delle cessioni di beni a titolo di sconto sulla base di asserite prassi del contribuente, il quale, invece, avrebbe dovuto dimostrare che esse erano state effettuate in conformità alle condizioni contrattuali originarie, restando inidonea e non adeguata la documentazione prodotta ad assolvere detto onere e carente la motivazione della CTR pur a fronte delle puntuali censure dell’Ufficio;
– il motivo è fondato nei termini che seguono;
– l’art. 15, primo comma, n. 2, d.P.R. n. 633 del 1972 esclude dal computo della base imponibile «il valore normale dei beni ceduti a titolo di sconto, premio o abbuono in conformità alle originarie condizioni contrattuali …», ossia sottrae al regime ordinario di imponibilità una cessione che, in sé, è sicuramente “commerciale” (ai sensi dell’art. 55 tuir) ma, in quanto derivante e strettamente collegata ad un’altra specifica operazione, assolve ad una finalità, positivamente valutata dal legislatore, incentivante dei rapporti economici;
– tale beneficio, peraltro, è subordinato alla espressa condizione che la cessione sia prevista dalle “originarie condizioni contrattuali” la cui prova incombe, di necessità, sul contribuente che lo invoca;
– orbene, la CTR ha ritenuto assolto tale onere in base a documentazione (contratti tipo, listini e le condizioni generali di vendita) ritenuta atta solo “a dimostrare la prassi commerciale della Spa F.M.” e non l’effettiva esistenza di originarie condizioni contrattuali avuto riguardo alle specifiche transazioni oggetto del rilievo; il giudice d’appello, inoltre, non ha neppure precisato, a fronte delle puntuali contestazioni dell’Ufficio, se tale documentazione fosse idonea a provare un effettivo uso contrattuale ex art. 1340 c.c., destinato, come tale, ad integrare i singoli contratti di vendita salvo diversa volontà delle parti, ovvero se essa, piuttosto, attestasse una mera indicazione interna della società, eventualmente rivolta ai propri agenti o rappresentanti, e necessitante di una specifica, e puntuale, recezione;
– va dunque affermato il seguente principio: “la cessione di quantità aggiuntive di beni (o, comunque, di beni non soggetti ad una maggior aliquota Iva rispetto a quelli della transazione principale) a titolo di sconto non è imponibile ex art. 15, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972 a condizione che lo sconto sia stato espressamente concordato tra le parti al momento della conclusione del contratto per l’operazione principale” – passando al ricorso incidentale, il primo motivo denuncia omessa motivazione in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.: la società lamenta, in particolare, il difetto assoluto di motivazione per aver la CTR rigettato indistintamente tutti gli altri motivi;
– il motivo – al di là delle ragioni di inammissibilità per essere la censura articolata, in realtà, su un error in procedendo per motivazione apparente, formulata ai sensi dei nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c., anziché ai sensi del n. 4 della norma, ed invocando in termini non pertinenti l’art. 112 c.p.c. non essendo contestata né una omessa pronuncia, né un’ultrapetizione – è infondato; – la CTR, infatti, dopo aver rigettato l’omologa eccepita carenza di motivazione della decisione di primo grado affermando che non è “necessaria un’analisi particolareggiata ed una specifica confutazione di tutte le ragioni” ma è sufficiente “come nel caso di specie, l’esposizione delle ragioni poste a fondamento della decisione”, ha esaminato le singole eccezioni e doglianze della parte proposte in appello, alcune rigettandole espressamente (in ispecie, con riguardo all’eccezione preliminare sulla legittimità della procedura ex art. 54 e alle valutazioni sul merito della ripresa fiscale), altre accogliendole (sugli sconti), per poi concludere affermando che con riguardo a “tutti gli altri motivi deve essere in toto confermata la prima decisione risultando i rilievi dell’Ufficio congruamente motivati e specificati”;
– così facendo, peraltro, ha operato un implicito, ma chiaro, riferimento non solo alla decisione di primo grado, richiamata per relationem, ma, specificamente, alla corposa descrizione nella parte “in fatto” ove tutte le questioni erano state ampiamente delineate con riguardo alle opposte ragioni e posizioni dell’Ufficio e del contribuente, valutando e condividendo le prime; è escluso dunque il denunciata vizio;
– il secondo motivo denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 54 d.P.R. n. 633 del 1972, per assenza dei presupposti per poter procedere ad un accertamento induttivo, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, lamentando l’erroneità della ricostruzione del volume degli affari;
– la censura è inammissibile atteso l’inestricabile cumulo dei profili dedotti (ininfluente il riordino operato con la memoria ex art. 380.bis.1 c.p.c.), tanto più rilevante nella specie poiché le diverse prospettazioni – il vizio di falsa applicazione della legge (che si risolve in un giudizio sul fatto contemplato dalle norme di diritto positivo applicabili al caso specifico) e il vizio per insufficienza e incongruità della motivazione (che comporta un giudizio sulla ricostruzione del fatto giuridicamente rilevante) – sono in stretto rapporto di correlazione nello svolgimento del motivo, contestando, al contempo, l’erronea applicazione della norma applicata, gli elementi di fatto considerati per l’accertamento e l’irragionevolezza della conclusione cui è giunta la CTR;
– la conclusione, peraltro, non cambia ove si consideri la, sia pur poco chiaramente esplicitata, prospettiva dedotta atteso che secondo il consolidato orientamento della Corte, cui la CTR si è attenuta, “il ricorso all’accertamento induttivo è ammissibile anche in presenza di una contabilità formalmente regolare, ai sensi dell’art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, il quale autorizza l’accertamento anche in base al “altri documenti” o “scritture contabili” (diverse da quelle previste dalla legge) o ad “altri dati e notizie” raccolti nei modi prescritti dagli articoli precedenti, potendo le conseguenti omissioni o false o inesatte indicazioni essere indirettamente desunte da tali risultanze ovvero anche in esito a presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti; fermi restando, infatti, i limiti di efficacia delle scritture contabili delle imprese soggette a registrazione, anche le altre scritture provenienti dall’imprenditore possono operare come prova “contra se”, non potendo tale parte invocare la non corrispondenza al vero delle proprie annotazioni cartacee”, con conseguente inversione dell’onere della prova, essendo il contribuente tenuto a dare prova dell’infondatezza della pretesa erariale (Cass. n. 14068 del 20/06/2014; Cass. n. 25257 del 25/10/2017);
– quanto alle censure motivazionali, poi, va sottolineato che il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 n. 5 c.p.c. (testo vigente ratione temporis, anteriore alla I. n. 134 del 2012), non equivale a una revisione del “ragionamento decisorio”, ossia delle opzioni che hanno condotto il giudice di merito a una determinata soluzione, poiché tale revisione si tradurrebbe in un nuova formulazione del giudizio di merito, incompatibile con la funzione istituzionale della giurisdizione di legittimità (Cass. 28 marzo 2012, n. 5024, Rv. 622001; Cass. 7 gennaio 2014, n. 91, Rv. 629382); d’altro canto, la valutazione di gravità, precisione e concordanza delle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. è una valutazione probatoria, come tale rimessa in esclusiva al giudice di merito (Cass. 20 luglio 2006, n. 16728, Rv. 591712; Cass. 26 gennaio 2007, n. 1715, Rv. 595665);
– la decisione impugnata, infatti, ha valutato la congruità dell’accertamento e indicato le sue fonti valutative (tra l’altro anche su documentazione extracontabile proveniente dalla società: “non poteva ritenersi bottiglie “factis” quelle per le quali non risultava alcuna annotazione “factis” nel rapportino rinvenuto in azienda, che risultava invece esservi ogniqualvolta la bottiglia risultava ad uso esposizione”), neppure superate dalla consulenza di parte, mentre le censure della società sono dirette a ottenere la revisione nel merito di questi apprezzamenti probatori e fattuali, ciò che tuttavia eccede il perimetro funzionale della giurisdizione di legittimità;
– il terzo motivo denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine alla ripresa relativa alle operazioni di vendita all’estero, nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 41 d.l. n. 331 del 1993;
– il motivo è inammissibile quanto al dedotto vizio motivazionale, che può concernere esclusivamente l’accertamento e la valutazione di fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia e non anche l’interpretazione o l’applicazione di norme giuridiche;
– è, invece, fondato quanto alla dedotta violazione di legge;
– la CTR, nel rigettare la censura della società, ha fatto proprio il rilievo dell’Ufficio, riprodotto estensivamente nella parte in fatto, le cui indicazioni, invero, sono coerenti con la disciplina nazionale atteso che:
1. l’art. 6, comma 1, d.l. n. 331 del 1993, nel testo ratione temporis applicabile, prevedeva “La circolazione intracomunitaria dei prodotti soggetti ad accisa, in regime sospensivo, deve avvenire solo tra depositi fiscali, fatto salvo quanto stabilito nell’articolo 8”;
2. il citato art. 8, poi, prevedeva “1. Destinatario di prodotti spediti in regime sospensivo può essere un operatore che non sia titolare di deposito fiscale e che, nell’esercizio dell’attività economica svolta, abbia chiesto, prima del ricevimento della merce, di essere registrato come tale presso l’ufficio tecnico di finanza competente per territorio. 2. L’operatore di cui al comma 1 deve garantire il pagamento dell’accisa relativa ai prodotti che riceve in regime sospensivo, tenere la prescritta contabilità delle forniture dei prodotti, presentare i prodotti ad ogni richiesta e sottoporsi a qualsiasi controllo o accertamento. 3. Se l’operatore di cui al comma 1 non è registrato, può ricevere, nell’esercizio dell’attività economica svolta e a titolo occasionale, prodotti soggetti ad accisa ed in regime sospensivo se, prima della spedizione della merce, presenta una apposita dichiarazione all’ufficio tecnico di finanza competente per territorio e garantisce il pagamento dell’accisa; egli deve sottoporsi a qualsiasi controllo inteso ad accertare l’effettiva ricezione della merce ed il pagamento dell’accisa. Copia della predetta dichiarazione con gli estremi della garanzia prestata, vistata dall’ufficio tecnico di finanza che l’ha ricevuta, deve essere allegata al documento di accompagnamento previsto dall’articolo 6, comma 3, per la circolazione del prodotto. …”
– occorre, tuttavia, considerare che la vicenda in esame ha ad oggetto una imposta armonizzata, ossia l’Iva, da versare con riferimento ad una operazione di esportazione intracomunitaria dall’Italia ad un paese dell’Unione Europea e che non è in alcun modo contestato che la cessione è avvenuta e la merce ha superato il confine, poiché l’unico rilievo attiene alla circostanza che il trasferimento è stato operato “a soggetto non abilitato al ricevimento del vino spumante in sospensione d’accisa”; – la violazione, dunque, ha un carattere eminentemente formale, neppure essendo in dubbio – non essendo contestata per altri profili la regolarità dell’operazione – che l’imposta è stata regolarmente corrisposta presso lo Stato estero, sicché debbono trovare applicazione i principi affermati dalla Corte di Giustizia (v. Corte di Giustizia, 18 dicembre 2008, Sopropé, C-349/07, e, da ultimo, Corte di Giustizia, 17 luglio 2014, Equoland, C-272/13) con riferimento all’analoga – anche se opposta – importazione di beni e collocamento solo virtuale nel deposito doganale;
– in una tale situazione la Corte di Giustizia, infatti, ha ritenuto non compatibile con l’ordinamento unionale e ingiustificato l’obbligo di versare nuovamente l’imposta senza possibilità di detrazione, valutando, per contro, la sufficienza dell’adempimento con il meccanismo del reverse charge e congrua la possibilità di comminatoria di sanzioni per l’irregolare modus procedendi;
– anche nella situazione in esame il disconoscimento del regime di non imponibilità (e il correlato pagamento dell’imposta) comporta l’obbligo per la contribuente di versare l’imposta nonostante l’effettività dell’esportazione e l’avvenuto pagamento della stessa nel diverso territorio e ciò in forza della mera inosservanza di un requisito formale (la qualità di deposito doganale dell’interlocutore o la sua registrazione ad hoc), senza che ne sia riconosciuto un corrispondente diritto di detrazione;
– è ben vero che la disciplina in questione persegue una evidente finalità antievasiva ed antielusiva; tuttavia, parafrasando quanto precisato dalla Corte di Giustizia nelle sentenze sopra richiamate, in mancanza di un tentativo di frode o di danno al bilancio dello Stato si tratta di condotta suscettibile di integrare solo una violazione formale, soggetta, di per sé, ad autonoma sanzione;
– il quarto motivo denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine alla ripresa per gli sconti ed omaggi praticati a soggetti intra ed extracomunitari, nonché violazione dell’art. 15 d.P.R. n. 633 del 1972;
– il motivo è inammissibile per carenza di interesse;
– la CTR ha accolto l’appello del ricorrente con riferimento alle “cessioni beni avvenute a titolo di sconto”, senza distinguere se riferite ad operazioni interne, intracomunitarie od extracomunitarie, ritenendo che esse “godono dell’esclusione dall’imponibilità Iva”, questione, peraltro, oggetto di impugnazione da parte dell’Agenzia con il proprio ricorso sopra esaminato;
– il quinto motivo denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine alla pretesa illegittima detrazione su beni da omaggiare;
– il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza;
– la contribuente, infatti, deduce che erroneamente erano confluiti in un unico conto sia beni destinati ad omaggio, sia beni utili al fabbisogno dell’azienda, senza tuttavia precisare in alcun modo quali essi fossero;
– il sesto motivo denuncia violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 472 del 1997 in ordine alla comminazione delle sanzioni;
– la contribuente, in particolare, lamenta il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento in ordine alla determinazione delle sanzioni e alla descrizione dei fatti contestati, nonché la mancata applicazione degli istituti della continuazione e del concorso di cui all’art. 12 d.lgs. n. 472 del 1997;
– il motivo è inammissibile per un duplice ordine di ragioni: da un lato, infatti, attinge direttamente ed esclusivamente asseriti vizi dell’avviso di accertamento e non la sentenza impugnata (v. Cass. n. 6134 del 13/03/2009; Cass. n. 841 del 17/01/2014); dall’altro, inoltre, la censura è carente per autosufficienza attesa la mancata riproduzione, nel corpo del ricorso, dell’avviso medesimo (per la parte rilevante), necessaria per consentire la diretta conoscenza e fruibilità da parte della Corte del dedotto vizio;
– in accoglimento del ricorso principale e del terzo motivo del ricorso incidentale, infondato il primo, inammissibili gli altri, cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese, alla CTR competente in diversa composizione;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale e il terzo motivo del ricorso incidentale; rigetta il primo motivo del ricorso incidentale e dichiara inammissibili i restanti; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla CTR del Veneto in diversa composizione.
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