CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 ottobre 2020, n. 21290
Tributi – IRPEF – Plusvalenza tassabile da cessione di immobili edificabili – Accertamento sulla base del valore accertato ai fini dell’imposta di registro – Illegittimità – Valutazione del giudice – Onere di accertare l’esistenza di plusvalenza tassabile e rideterminare il valore
Rilevato che
1. In controversia avente ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle entrate, per l’anno d’imposta 2003, recuperava a tassazione, nei confronti di G.P., una maggiore Irpef quale plusvalenza da cessione di terreno edificabile, con la sentenza in epigrafe indicata la CTR accoglieva l’appello del contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado ed annullava l’atto impositivo ritenendo che l’amministrazione finanziaria aveva erroneamente determinato la plusvalenza tassabile sulla base del valore accertato ai fini dell’imposta di registro, in violazione del d.lgs. n. 147 del 2015, art. 5, comma 3, applicabile retroattivamente.
2. Avverso tale statuizione ricorre per cassazione, con un unico motivo, l’Agenzia delle entrate, cui replicano G.M. e M.P., quali eredi di G.P., restando intimata l’altra erede, G.P..
3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ. risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale i controricorrenti hanno depositato memoria dichiarando di non contestare la predetta proposta.
Considerato che
1. Con il motivo di ricorso la difesa erariale deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 81 (ora 68) d.P.R. n. 917 del 1986 e 112 cod. proc. civ. sostenendo che la CTR aveva annullato integralmente l’atto impositivo impugnato ritenendo errato il criterio di determinazione della plusvalenza tassabile nonostante l’esistenza in concreto della stessa, pari alla differenza tra il corrispettivo di vendita del bene dichiarato nell’atto di cessione ed il suo valore di provenienza, debitamente rivalutato, di cui l’amministrazione finanziaria aveva dato atto nello stesso avviso di accertamento e di cui i giudici di appello avrebbero dovuto tener conto provvedendo a rideterminare l’imposta dovuta.
2. Il motivo è fondato e va accolto.
3. Invero, è principio consolidato di questa Corte e condiviso dal Collegio, quello secondo cui «Il processo tributario è annoverabile tra quelli di “impugnazione-merito”, in quanto diretto ad una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell’accertamento dell’Ufficio, sicché il giudice, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi al suo annullamento, ma deve esaminare nel merito la pretesa e ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte, restando, peraltro, esclusa dall’art. 35, comma 3, ultimo periodo, del d.lgs. n. 546 del 1992, la pronuncia di una sentenza parziale solo sull’ “an” o di una condanna generica» (Cass. n. 13294 del 28/06/2016, Rv. 640171; in termini, tra le tante, Cass. n. 24611 del 2014, n. 26157 del 2013, n. 13034 del 2012 nonché Cass., Sez. U., n. 13916 del 2006). Principio, questo, che muove sulla scia di quello, analogamente condivisibile, secondo cui «Il processo tributario è a cognizione piena e tende all’accertamento sostanziale del rapporto controverso, con la conseguenza che solo quando l’atto di accertamento sia affetto da vizi formali a tal punto gravi da impedire l’identificazione dei presupposti impositivi e precludere l’esame del merito del rapporto tributario – come nel caso in cui vi sia difetto assoluto o totale carenza di motivazione – il giudizio deve concludersi con una pronuncia di semplice invalidazione, ostandovi altrimenti il principio di economia dei mezzi processuali, che consente al giudice di avvalersi dei propri poteri valutativi ed estimativi ai fini della decisione e, in forza dei poteri istruttori attribuiti dall’art. 7 del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, di acquisire “aliunde” i relativi elementi, prescindendo dagli accertamenti dell’Ufficio e sostituendo la propria valutazione a quella operata dallo stesso» (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 11935 del 13/07/2012, Rv. 623322).
3.1. Pertanto, quando «il giudice […] ravvista] l’infondatezza parziale della pretesa dell’amministrazione», o questa comunque emerge dagli atti, «non deve né può limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve quantificare la pretesa tributaria entro i limiti posti dal “petitum” delle parti» (Cass. n. 17072 del 2010), dando «alla pretesa dell’amministrazione un contenuto quantitativo diverso da quello sostenuto dalle parti contendenti, avvalendosi degli ordinari poteri di indagine e di valutazione dei fatti e delle prove consentiti dagli artt. 115 e 116 c.p.c., […] in tal modo determinando il reddito effettivo del contribuente, e senza che ciò costituisca attività amministrativa di nuovo accertamento, rappresentando invece soltanto l’esercizio dei poteri di controllo, di valutazione e di determinazione del quantum della pretesa tributaria» (Cass. n. 1852 del 2008), oppure costituisca violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, essendo chiaramente consentito al giudice tributario, in un giudizio che non è solo “sull’atto”, da annullare, ma anche e principalmente sul rapporto sostanziale tra amministrazione finanziaria e contribuente, la riduzione della pretesa avanzata dalla prima con l’atto impositivo.
4. Nel caso in esame i giudici di appello non si sono attenuti ai suespsosti principi in quanto, pur correttamente applicando alla fattispecie, retroattivamente, il d.lgs. n. 147 del 2015, art. 5, comma 3, in materia di determinazione della plusvalenza tassabile da cessione di immobili edificabili, hanno poi omesso, come era loro dovere, di accertare l’esistenza di una plusvalenza tassabile e, quindi, di rideterminare il quantum dovuto dal contribuente.
5. Ne consegue che il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla competente CTR che provvederà anche a regolamentare le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.