CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 giugno 2018, n. 14550
CORTE DI CASSAZIONE – Sez. trib. – Ordinanza 06 giugno 2018, n. 14550
Tributi – Dichiarazione dei redditi – Reddito d’impresa – Indicazione di adeguamento ai parametri – Errore di compilazione – Emendabilità in sede di ricorso – Esclusione – Vincolante
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 3/2/10, depositata il 20 gennaio 2010 e non notificata, la Commissione tributaria regionale del Lazio ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate nei confronti di F.G. avverso la sentenza n. 250/01/2007 della Commissione tributaria provinciale di Viterbo, condannando l’appellante al pagamento delle spese di lite.
Il giudice di appello ha rilevato che la controversia riguardava il ricorso avverso una cartella con la quale l’Agenzia richiedeva il pagamento della somma di € 11.299,69 a seguito di rettifica del modello unico 2003 ai sensi dell’art. 36- bis d.P.R. n. 600 del 1973 per carente versamento Irpef e Addizionale regionale per anno 2002 nonché per il ritardato pagamento Irpef, Irap ed Iva 2002 e 2003. In particolare, il contribuente aveva adeguato la propria attività d’impresa ai parametri previsti per settore di attività. Nel quadro RG (redditi d’impresa) della dichiarazione dei redditi, tuttavia, aveva indicato il reddito di €. 36.708,00 anziché quello di € 53.872,00 risultante da tale adeguamento ai parametri. I versamenti eseguiti corrispondevano alle imposte dovute in base al reddito dichiarato e non a quello risultante dall’adeguamento ai parametri.
La CTR ha ritenuto infondate le doglianze dell’Ufficio finanziario, rilevando che:
– secondo l’indirizzo giurisprudenziale consolidato, le dichiarazioni fiscali hanno natura di dichiarazioni di scienza e non di volontà e, pertanto, sono liberamente modificabili dal contribuente, anche mediante la difesa nel processo;
– nel caso di specie, l’adeguamento del contribuente ai parametri previsti per il settore di attività era stato frutto di un errore e, dunque, involontario, perché aveva determinato un notevole incremento del reddito rispetto a quello reale che, tuttavia, era già congruo;
– era condivisibile la decisione della CTP la quale aveva rilevato l’evidente errore compiuto, all’insaputa del contribuente, dal tecnico che aveva compilato la dichiarazione, in quanto nel quadro relativo alla determinazione Irap era stato indicato l’importo dei ricavi delle vendite e non quello totale dei componenti positivi RG 11 erroneamente adeguato ai parametri.
2. Avverso la sentenza di appello, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 7-11 marzo 2011 ed affidato a tre motivi.
3. Il contribuente non si è costituito.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate ha denunciato – in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ. – la nullità del procedimento per la violazione dell’art. 33 del d. Igs. n. 546 del 1992 in quanto il contribuente, sebbene non costituito, sarebbe intervenuto personalmente nel giudizio di appello e sarebbe stato ascoltato nel giudizio.
2. Con il secondo motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate ha denunciato – in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. – l’omessa motivazione sui motivi dell’appello dell’ufficio finanziario, secondo i quali, quando il contribuente si è adeguato spontaneamente al reddito scaturito dall’applicazione dei parametri, non può calcolare versare le imposte in base al reddito precedente a tale adeguamento, aggiungendo che, nel caso di errore, il contribuente deve eventualmente provvedere alla rettifica presentando apposita dichiarazione ex art. 2, comma 8-bis, d.P.R. n. 322 del 1998, ma non versare un’imposta calcolata su un diverso reddito.
3. Con il terzo motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate ha denunciato – in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. – la violazione dell’art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 2, comma 8-bis, d.P.R. n. 322 del 1998, sostenendo che le dichiarazioni dei redditi, di norma, possono essere integrate dai contribuenti per correggere errori o omissioni anche in sede di ricorso, trattandosi di dichiarazioni di scienza, salvo nella parte in cui consistano, come nel caso di specie, in una manifestazione di volontà in quanto “i valori a cui il contribuente, si adegua vincolano anche l’Ufficio impedendo qualsiasi tipo di accertamento sia di tipo analitico – induttivo che di parametri”.
4. Ritiene il collegio, in base al principio della ragione più liquida desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost. (cfr. tra le altre Cass. n. 12002 del 28/05/2014; Cass. Sez. U, n. 9936 del 08/05/2014) di prendere in considerazione in via prioritaria il terzo motivo.
Il motivo è fondato e deve essere accolto.
Secondo l’indirizzo giurisprudenziale consolidato, sebbene le denunce dei redditi costituiscano di norma delle dichiarazioni di scienza e, quindi, possano essere modificate ed emendate in presenza di errori che espongano il contribuente al pagamento di tributi maggiori di quelli effettivamente dovuti, nondimeno quando il legislatore subordina la concessione di un beneficio fiscale ad una precisa manifestazione di volontà del contribuente, da compiersi direttamente nella dichiarazione attraverso la compilazione di un modulo predisposto dall’erario, la dichiarazione assume per questa parte il valore di un atto negoziale, come tale irretrattabile anche in caso di errore, salvo che il contribuente dimostri che questo fosse conosciuto o conoscibile dall’amministrazione (Cass. Sez. VI-5, Ordinanza n. 18180 del 16/09/2015; Cass. Sez. V, Sentenza n. 1427 del 22/01/2013, in termini analoghi Cass. Sez. V, Sentenza n. 7294 del 11/05/2012; sui termini per la rettifica in caso di errori o omissioni si veda Cass. Sez. U, Sentenza n. 13378 del 30/06/2016).
Più specificamente, come precisato da Cass. Sez. V, n. 7294 del 2012, e ripreso da Cass. Sez. V, n. 6977 del 2015, «l’affermazione di una generale ed automatica emendabilità degli errori commessi dal contribuente nella redazione della dichiarazione, tuttavia, non può ritenersi estesa alla dichiarazione dei redditi “tout court”, ma deve correttamente circoscriversi alla indicazione di quei dati, relativi alla quantificazione delle poste reddituali positive o negative, che integrino errori tipicamente materiali (ad es. errori di calcolo od anche errata liquidazione degli importi), ovvero anche formali (concernerti le esatta individuazione della voce del modello da compilare nella quale collocare la posta), rimanendo a tali ipotesi estranea la fattispecie in esame».
Nel caso di specie, la dichiarazione dell’intendimento di adeguamento al parametro del reddito previsto per un determinato settore di attività è da considerarsi atto negoziale, perché incide sulla determinazione della base imponibile e sull’entità del tributo da versare. Essa, pertanto, è emendabile in caso di errore solo nel termine espressamente concesso nel menzionato art. 2, comma 8-bis, d.P.R. n. 322 del 1998, di cui, peraltro, la parte contribuente non risulta essersi avvalsa. Al contrario, la predetta dichiarazione non è modificabile dal contribuente mediante la difesa nel processo. Si tratta, infatti, di indicazioni volte a mutare la base imponibile e le somme da versare e perciò inidonee a costituire oggetto di un mero errore formale (in termini, Cass. Sez. V, 13/04/2012, n. 5852) e comunque non originanti da errore di calcolo o materiale ovvero da errori generati dall’ignoranza di elementi di conoscenza successivamente acquisiti. Ne consegue che vanno accolti i motivi con i quali l’Agenzia si duole del fatto che i giudici del merito abbiano ritenuto emendabile la dichiarazione dei redditi, anche in difetto della dichiarazione integrativa disciplinata dall’art. 2, comma 8-bis, del d.P.R. n. 322 del 1998.
5. Il ricorso va dunque accolto in relazione al motivo indicato. La sentenza impugnata va cassata e, decidendosi nel merito non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, il ricorso originario del contribuente va respinto.
6. Stante l’esito del giudizio nelle fasi di merito e l’epoca in cui è iniziato il procedimento, le spese correlative possono essere compensate.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo di ricorso, assorbito il primo ed il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso del contribuente. Compensa le spese processuali tra le parti.
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