CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 settembre 2019, n. 22357
Contratti di formazione e lavoro – Pretesa contributiva – Cartella di pagamento – Opposizione
Rilevato che
Il giudice del lavoro del Tribunale di Siracusa accolse parzialmente l’opposizione alla cartella di pagamento proposta dalla società N. s.r.l, alla quale era stato intimato il pagamento della somma di € 205.845,48 a titolo di contributi, somme aggiuntive ed interessi di mora in relazione al periodo ottobre – dicembre 1996 e agli anni 1997, 1998, 1999, 2000 e 2001, dichiarando prescritti i crediti riguardanti il periodo ottobre 1996 – aprile 1998, non dovuti quelli concernenti i contratti di formazione e lavoro di S.B. e V.M., nonché quelli afferenti alla contestata violazione di cui al punto n. 5 del verbale dell’Inps ed alle voci da 1 a 18 dell’opposta cartella, e stabilendo, altresì, che su tutti i contributi residui erano dovute le somme aggiuntive nella misura di cui all’art. 116, comma 8, lett. a) della legge n. 388/2000;
la Corte d’appello di Catania (sentenza del 14.6.2012), investita dall’impugnazione della predetta società, ha rigettato il gravame dopo aver ritenuto infondate le doglianze che avevano riguardato il metodo di calcolo dei contributi ai fini degli sgravi fruiti e la contestazione della pretesa contributiva delle lavoratrici P., C. e V. che avevano chiesto ed ottenuto di ridurre l’orario di lavoro;
per la cassazione della sentenza ricorre la N. srl con un solo motivo, mentre per l’Inps c’è solo delega difensiva in atti; la società R.S. (già S.S. spa) rimane, invece, solo intimata;
Considerato che
con un solo motivo la ricorrente, dopo aver dedotto che si era lamentata dell’errata quantificazione delle presunte differenze retributive calcolate dall’istituto, nonché della mancata applicazione del contratto collettivo nazionale di riferimento (CCNL commercio fino a 8 dipendenti), assumendo che sin dal 1998 aveva avuto in forza meno di otto dipendenti, come si evinceva anche dallo stesso verbale di accertamento ispettivo, si duole del fatto che la Corte d’appello di Catania, in violazione dell’art. 414 c.p.c. e dell’art. 1 della legge n. 389/1989, ha considerato tardiva l’eccezione di errata applicazione del predetto contratto collettivo ritenendo che era stata sollevata per la prima volta nelle note depositate in corso di causa (note del 5.6.2004); assume in contrario la ricorrente che, trattandosi di mera difesa, non era ravvisabile alcuna tardività nell’effettuazione della suddetta contestazione; per la stessa ragione non poteva ritenersi che l’invocazione dell’applicazione del CCNL commercio fino ad otto dipendenti potesse costituire un ampliamento dell’oggetto del giudizio con conseguente decadenza dalla relativa richiesta, considerato, altresì, che lo stesso contratto era stato richiamato per l’individuazione di un criterio di giudizio ai fini del godimento degli sgravi contributivi;
il motivo è infondato, seppur previa limitata correzione della motivazione, ex art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ., nei termini che seguono; invero, la Corte d’appello ha ben spiegato che nel ricorso introduttivo del giudizio di opposizione la ricorrente rivendicava solo l’applicabilità, anche ai fini contributivi, del proprio contratto aziendale del 2.1.1995, senza contestare in alcun modo la maggiore rappresentatività sul piano nazionale delle organizzazioni sindacali stipulanti il contratto collettivo nazionale del commercio e del terziario indicato nel verbale ispettivo, tanto che il primo giudice aveva osservato che il contratto aziendale prevedeva pacificamente retribuzioni inferiori a quelle del CCNL di categoria in violazione dell’art. 1 della legge n. 389/89, con conseguente perdita del diritto agli sgravi ai sensi dell’art. 6, comma 9, lett. c) della stessa legge, dell’art. 2, comma 1, del D.L. n. 3/1990, convertito nella legge n. 52/1990, dell’art. 4, comma 20, della legge n. 449/1997 e dell’art. 3, comma 6, della legge n. 448/1998; era, pertanto, corretto, secondo la Corte d’appello, che il primo giudice non avesse esaminato il motivo di doglianza in questione, in quanto lo stesso era stato sollevato tardivamente solo nelle note depositate in corso di causa; non va, infatti, dimenticato che ai fini dell’individuazione della base imponibile per il calcolo dei contributi previdenziali ex art. 1 del d.l. n. 338 del 1989, conv. nella l. 389 del 1989, occorre fare riferimento alla contrattazione collettiva nazionale, che è maggiormente di garanzia per una parità di trattamento tra lavoratori di un medesimo settore; ne consegue che, ove per uno specifico settore non risulti stipulato un contratto collettivo, legittimamente l’Istituto previdenziale può ragguagliare la contribuzione dovuta alla retribuzione prevista dalla contrattazione collettiva di un settore affine, restando a carico del datore di lavoro l’onere di dedurre l’esistenza di altro contratto affine che preveda retribuzioni tabellari inferiori rispetto a quello applicato dall’Istituto (v. in tal senso Sez. Lav. – Ord. n. 11650 del 14.5.2018, conforme a Sez. lav., sent. n. 9967 del 26.4.2007);
è pur vero che non di eccezione si trattava, bensì di mera difesa; nondimeno era una difesa – anche in fatto – che presupponeva una nuova allegazione (appunto, in fatto) circa la maggiore rappresentatività della CISAL ai fini della scelta del CCNL da utilizzare come parametro di calcolo;
e, come questa S.C. ha già avuto modo di spiegare (cfr. Cass. n. 2529/18; Cass. n. 4854/14), nel rito del lavoro il divieto di “nova” in appello, ex art. 437 cod. proc. civ., non riguarda soltanto le domande e le eccezioni in senso stretto, ma è esteso alle contestazioni nuove, cioè non esplicitate in primo grado, sia perché l’art. 416 cod. proc. civ. impone un onere di tempestiva contestazione a pena di decadenza, sia perché nuove contestazioni in secondo grado, oltre a modificare i temi di indagine (trasformando il giudizio di appello da “revisio prioris instantiae” in “iudicium novum”, estraneo al vigente ordinamento processuale), altererebbero la parità fra i litiganti, esponendo l’altra parte all’impossibilità di chiedere l’assunzione di quelle prove alle quali, in ipotesi, aveva rinunciato, confidando proprio nella mancata contestazione ad opera dell’avversario; in definitiva, il ricorso va rigettato; non va adottata alcuna statuizione in ordine alle spese di lite in quanto la società di esazione del credito è rimasta solo intimata, mentre per l’istituto di previdenza è stata semplicemente depositata una delega difensiva; ricorrono, invece, i presupposti di legge per la condanna della ricorrente al pagamento del contributo unificato di cui all’art. 13 del d.p.r. n. 115/02, come da dispositivo;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Nulla spese.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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