CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 febbraio 2022, n. 3768
Rapporto di lavoro subordinato – Interposizione fittizia di manodopera – Condizioni per la sussistenza di appalto di opere o servizi ex art. 29, co. 1, D.Lgs. n. 276/2003 – Reclutamento del personale di società “in house”
Rilevato che
Con sentenza n. 5954 del 9 ottobre 2017, la Corte d’appello di Napoli, in accoglimento dell’impugnazione proposta da M. P., ha dichiarato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra la stessa e l’Ente Autonomo V. s.r.l. a decorrere dal giugno 2011, per effetto dell’assunzione da parte della S. s.r.l., datore di lavoro interposto, condannando, conseguentemente, la società a provvedere alla ricostituzione della carriera della P. nonché al pagamento delle differenze retributive oltre accessori, da accertarsi in separato giudizio, ed alla rifusione delle spese;
in particolare, la Corte ha ritenuto ricorrere nella specie una ipotesi di intermediazione vietata di manodopera rilevando che, sulla base delle risultanze istruttorie acquisite, le prestazioni della ricorrente, addetta alle mansioni di guardiabarriere, costituivano attività propria della società ferroviaria, non esternalizzabile perché disciplinata dalla normativa in materia di traffico ferroviario, determinata dalla attività di esercizio ferroviario della tratta controllata da Circumvesuviana (oggi Ente Autonomo V. s.r.l.) e con l’utilizzo di attrezzature e sedi operative di quest’ultima, avendo il personale in questione anche ricevuto una specifica formazione professionale organizzata dalla Circumvesuviana, e conseguito la corrispondente abilitazione professionale;
ha concluso, quindi, la Corte che i turni di lavoro, formalmente determinati dalla S., erano, in realtà, funzionalizzati alle esigenze della Circumvesuviana, reputando, quindi, il rapporto di lavoro come costituito al) origine con la società appellata;
per la cassazione della sentenza propone ricorso l’Ente Autonomo V. s.r.l., affidandolo a due motivi;
resiste, con controricorso, M. P..
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dei principi regolanti l’interposizione di manodopera in relazione all’art. 29 D. Lgs. n. 276 del 2003;
con il secondo motivo si allega la violazione della medesima normativa con riguardo alle conseguenze sanzionatorie dell’appalto illegittimo;
il primo motivo è infondato;
allega parte ricorrente in merito alla dedotta censura, che la sentenza di appello avrebbe erroneamente interpretato la normativa di cui al D. Lgs. n. 276 del 2003 nella misura in cui non ha tenuto conto dei presupposi per l’applicazione della stessa, intervenendo a sanzionare un appalto di servizi che in realtà non “mascherava” un illecito appalto di manodopera;
in particolare, la Corte non avrebbe tenuto in debito conto l’esistenza di un contratto fra le due società, nonché l’impegno dell’appaltatore di farsi carico del rispetto di tutta la normativa vigente, lasciando all’appaltatore piena autonomia nell’assunzione di personale e limitandosi ad esercitare soltanto un “gradimento” sullo stesso;
ritiene il Collegio che la censura si riveli espressa in violazione di quanto statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte in ordine alla apparente deduzione di vizi ex artt. 360 co. 1 nn.3 e 5 e cioè che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr., SU n. 34776 del 2021);
posta tale premessa deve rimarcarsi, quanto al profilo dell’effettivo assoggettamento al potere direttivo del datore di lavoro, che la sentenza impugnata ha accertato a) che la lavoratrice doveva rispettare le istruzioni dell’appaltante; b) che la stessa seguì un corso formativo predisposto dalla interponente conseguendo la relativa abilitazione professionale; c) che i dipendenti di quest’ultima esercitavano i controlli sulla esecuzione delle prestazioni lavorative in parola verificandone le eventuali irregolarità;
ha, inoltre, accertato la Corte territoriale che le prestazioni lavorative della controricorrente, addetta alle mansioni di guardiabarriere, erano rese attraverso l’utilizzo di attrezzature e sedi operative della Circumvesuviana e il giudice di secondo grado, nel valorizzare tale aspetto, ha confermato che l’utilizzo di attrezzature e beni della committente non rileva solo ove l’attività appaltata consista essenzialmente nell’esecuzione di un mero servizio organizzativo o logistico e si tratti di materiale di modesto o non apprezzabile valore, potendo in tal caso rilevare, ai fini dell’individuazione di un appalto genuino, l’esistenza di una effettiva ed autonoma organizzazione del lavoro da parte dell’appaltatrice (es. in materia di facchinaggio), mentre laddove si tratti di esecuzione di attività più complesse, non è sufficiente, al fine di escludere l’interposizione fittizia, la mera gestione organizzativa del rapporto (es. ferie, permessi, turni, etc.);
in tal senso e proprio con riferimento al servizio di manutenzione e sorveglianza dei passaggi a livello appaltata dal gerente della ferrovia a società esterna, questa Corte ha già ritenuto sussistere un’interposizione fittizia di manodopera (Cass. n. 12573/2019; Cass. n.11120/06, Cass. n. 14996/05, Cass. n. 12363/03);
il giudice di secondo grado ha, poi, accertato che l’attività veniva resa “secondo le esclusive direttive tecniche e regolamentari fornite dal personale della Circumvesuviana all’uopo preposto”;
ritiene, pertanto, il Collegio che la genericità della censura avanzata non si confronti con il tessuto della motivazione, traducendosi in una richiesta di rivalutazione dell’accertamento operato dal giudice del merito, inammissibile in sede di legittimità;
perfettamente consono alla fattispecie appare, invece, il principio anche di recente ribadito in sede di legittimità (fra le tante, Cass. n. 18207 del 2020), secondo cui, in tema di divieto d’intermediazione di manodopera, l’ art. 29, comma 1, d. lgs. n. 276 del 2003 distingue il contratto di appalto dalla somministrazione irregolare di lavoro in base all’assunzione, nel primo, del rischio d’impresa da parte dell’appaltatore ed all’eterodirezione dei lavoratori utilizzati, la quale ricorre quando l’appaltante-interponente non solo organizza, ma dirige anche i dipendenti dell’appaltatore rimanendo sull’interposta solo compiti di gestione amministrativa del rapporto senza una reale organizzazione della prestazione lavorativa;
invero, affinché possa configurarsi un genuino appalto di opere o servizi ai sensi dell’ art. 29, comma 1, del d. lgs. n. 276 del 2003, è necessario verificare, specie nell’ipotesi di appalti ad alta intensità di manodopera (cd. “labour intensive”), che all’appaltatore sia stata affidata la realizzazione di un risultato in sé autonomo, da conseguire attraverso una effettiva e autonoma organizzazione del lavoro, con reale assoggettamento al potere direttivo e di controllo sui propri dipendenti, impiego di propri mezzi e assunzione da parte sua del rischio d’impresa, dovendosi invece ravvisare un’interposizione illecita di manodopera nel caso in cui il potere direttivo e organizzativo sia interamente affidato al formale committente, restando irrilevante che manchi, in capo a quest’ultimo, “l’intuitus personae” nella scelta del personale, atteso che, nelle ipotesi di somministrazione illegale, è frequente che l’elemento fiduciario caratterizzi l’intermediario, il quale seleziona i lavoratori per poi metterli a disposizione del reale datore di lavoro (Cass. n. 12551 del 2020);
il secondo motivo è fondato;
parte ricorrente sostiene, al riguardo, che non potrebbe ritenersi applicabile alla specie l’art. 29 D. lgs. n. 276 del 2003 in quanto disposizione inapplicabile agli appalti commissionati da una pubblica amministrazione;
non v’è dubbio, in merito, che la disposizione normativa considerata abbia chiarito che le garanzie di cui all’art. 29 “non trovano applicazione in relazione ai contratti di appalto stipulati dalle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del 4 decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”;
si tratta di disposizione applicabile a quelle che possano definirsi amministrazioni pubbliche: “Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti i del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Fino alla revisione organica della disciplina di settore, le disposizioni di cui al presente decreto continuano ad applicarsi anche al CONI“;
orbene, in tema di società cd. “in house”, il reclutamento del personale, a seguito dell’entrata in vigore del d.l. n. 112 del 2008, conv. con modif. in L. n. 133 del 2008, nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla l. n. 102 del 2009 di conversione del d.l. n. 78 del 2009, avviene secondo i criteri stabiliti dall’art. 35 del d.lgs. n. 165 del 2001, che impongono l’esperimento di procedure concorsuali o selettive, sicché la violazione di tali disposizioni, aventi carattere imperativo, come ha osservato questa Corte (Cass. n. 21378 del 2018) impedisce la conversione dei rapporti di lavoro a tempo determinato in rapporti a tempo indeterminato;
deve osservarsi che se, in tema di società partecipate, il capitale pubblico non muta, in via di principio, la natura di soggetto privato della società la quale, quindi, resta assoggettata al regime giuridico proprio dello strumento privatistico adoperato, ciò avviene salve specifiche disposizioni di segno contrario o ragioni ostative di sistema che portino ad attribuire rilievo alla natura pubblica del capitale impiegato e del soggetto che possiede le azioni della persona giuridica (cfr. Cass. S.U. n. 24591/2016 e con riferimento ai rapporti di lavoro Cass. S.U. n. 7759/2017);
nella specie la disposizione di segno contrario, come posto in evidenza da Cass. n. 3621/2018 e Cass. n. 3662/19, intervenuta in materia di società “in house”, è rappresentata dall’art. 18 del D.L. n. 112/2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 133/2008 che, nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla legge n. 102/2009 di conversione del D.L. n. 78/2009, al comma 1 estende alle società a totale partecipazione pubblica che gestiscono servizi pubblici locali i criteri stabiliti in tema di reclutamento del personale dall’art. 35, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001, ed al comma 2 prescrive alle «altre società a partecipazione pubblica totale o di controllo» di adottare «con propri provvedimenti criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità», prevedendo, inoltre, al comma 2 bis che « le disposizioni che stabiliscono, a carico delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n.165 / 01, e successive modificazioni, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, si applicano, in relazione al regime previsto per l’amministrazione controllante, anche alle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che siano titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale né commerciale, ovvero che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 5 dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311;
la violazione di tali disposizioni, di carattere imperativo, comporta che l’omesso esperimento delle procedure concorsuali previste dal c. 1 e di quelle selettive, richiamate nel c. 2, impedisce la conversione dei rapporti dedotti in giudizio in rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato (Cass. n. 3621/2018, Cass. n. 21378/18);
deve, d’altronde, rilevarsi che il divieto di assunzione (o “conversione” di contratti di lavoro a termine nulli) nei confronti di società a totale partecipazione pubblica (in house) deriva dalle norme costituzionali ed in particolare dall’art. 97 Cost., come più volte sottolineato dalla Corte Costituzionale (C. Cost. n. 29 / 2006, e già C. Cost. n. 466/93);
il secondo motivo di ricorso va pertanto accolto perché risulta per tabilias che il contratto di lavoro dedotto in giudizio fu stipulato successivamente all’operatività delle disposizioni contenute nell’art. 18 del richiamato D.L. n. 112 del 2008 (22.10.2008, sessanta giorni successivi all’entrata in vigore della legge di conversione), convertito con modificazioni dalla L. n. 133 del 2008;
conseguentemente, rigettato il primo motivo, la sentenza impugnata deve cassarsi in relazione al secondo motivo accolto, con rinvio ad altro giudice in dispositivo indicato per l’ulteriore esame della controversia nonché per la regolazione delle spese relative al giudizio di legittimità.
P.Q.M.
rigetta il primo motivo di ricorso ed accoglie il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, anche in ordine alle spese relative al giudizio di legittimità.