CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 luglio 2020, n. 14051
Finanziamenti tra società – Trasferimento di denaro – Gratuità del prestito – Interessi zero – Omessa contabilizzazione – Finanziamento infruttifero
Rilevato che
L’Agenzia delle entrate proponeva appello avverso la sentenza della Commissione provinciale di Milano che aveva accolto i ricorsi riuniti, promossi dalla contribuente Società E.A. s.r.l., per l’annullamento dell’avviso di accertamento e dell’atto di contestazione, relativi all’anno 2004, con i quali era stata accertata l’omessa contabilizzazione di interessi attivi su un finanziamento infruttifero erogato dalla contribuente alla propria controllante M.B.V., in violazione dell’art. 89, comma 5, del t.u.i.r.
Dalla verifica effettuata era emerso che tra il 2001 e il 2004 la società contribuente aveva erogato alla propria controllante un prestito a titolo gratuito dell’importo complessivo di euro 11.903.242,95, con successivo accollo del debito da parte della società T.F. B.V.
La Commissione regionale della Lombardia confermava la sentenza di primo grado, osservando, in particolare, che il finanziamento soci vi era stato, essendo comprovato dalle copie delle contabili bancarie che evidenziavano il trasferimento di denaro dalla controllata alla controllante, e che l’operazione trovava la sua giustificazione in due richieste formulate dalla società controllante; riteneva non condivisibile l’assunto difensivo dell’Ufficio e superata la presunzione di onerosità del mutuo, «atteso che le condizioni pattuite nella documentazione in atti» davano piena prova della infruttuosità del mutuo. Rilevava, quindi, che dal comportamento concludente era possibile evincere sia l’erogazione del mutuo sia la accettazione della clausola di infruttuosità del finanziamento stesso, in quanto i documenti prodotti (richiesta di finanziamento infruttifero e ricevute dei bonifici) integravano accordo scritto di mutuo; aggiungeva che se da un documento (un qualsiasi documento) risultava che una determinata somma era stata data in prestito ad un determinato tasso, anche pari a zero, fiscalmente non era possibile presumere la presenza di interessi in misura diversa o al tasso legale, tenuto conto che la presunzione legale relativa poteva essere superata dal contribuente in qualsiasi momento e in qualsiasi modo, anche in sede processuale.
Ricorre per la cassazione della suddetta decisione l’Agenzia delle entrate, con due motivi, cui resiste la contribuente mediante controricorso.
Considerato che
1. Con il primo motivo la difesa erariale censura la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 89 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e 1815 cod. civ., in quanto i giudici di appello hanno rigettato l’impugnazione sul presupposto che non fosse necessaria una pattuizione scritta al fine di escludere l’applicabilità del comma 5 del citato art. 89 del t.u.i.r., che prevede che «Se la misura non è determinata per iscritto gli interessi si computano al saggio legale».
La traditio della somma chiesta a mutuo sicuramente comprova l’erogazione del finanziamento, ma non la gratuità dello stesso, non avendo la società contribuente dimostrato la restituzione, da parte della controllata, dell’importo esattamente ricevuto senza maggiorazioni.
2. Con il secondo motivo, censurando la decisione impugnata per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.), sostiene che, dovendosi presumere, ai sensi dell’art. 1815 cod. civ., che il contratto di mutuo sia stato concluso a titolo oneroso, costituisce fatto decisivo per la definizione del giudizio l’accertamento circa l’esistenza di documenti idonei a dimostrare la gratuità del finanziamento; la Commissione regionale non aveva indicato in quale documento avesse riscontrato la presenza di un accordo che fissasse o escludesse gli interessi.
3. Il secondo motivo è fondato, con assorbimento del primo motivo.
3.1. I giudici di appello, nell’accogliere la tesi difensiva della parte contribuente, riconoscono la sussistenza del contratto di finanziamento infruttifero, che trova riscontro nelle due richieste scritte avanzate dalla mutuataria M. B.V. e nelle contabili bancarie dalle quali emerge il trasferimento di denaro dalla società controllante alla società controllata, in parte nell’anno 2000 e in parte nell’anno 2001, ed affermano di non condividere le difese svolte dall’Amministrazione laddove essa sostiene che quei documenti, provenendo da una sola parte ed essendo privi di data certa, non sono da soli sufficienti a supportare la prova della gratuità del prestito. Assumono, in sostanza, che il contratto di mutuo si sarebbe perfezionato per facta concludentia e che la presunzione di onerosità del negozio sarebbe stata superata dall’accordo raggiunto dalle due società, consistito nella richiesta scritta, avanzata dalla controllante, di un finanziamento senza interessi e nella accettazione da parte della controllata, evincibile dalla erogazione delle somme.
3.2. Sebbene sia indiscusso che il contratto di mutuo non necessiti di forma scritta, e ciò anche quando debba superarsi la presunzione di onerosità, la disposizione civilistica (art. 1815 cod. civ.) prevede una presunzione legale di onerosità dello stesso contratto, che può essere superata soltanto con una prova particolarmente rigorosa, non evincibile dalla erogazione delle somme, che, seppure rilevante ai fini della conclusione del contratto, non può certamente dimostrare anche che il prestito avesse il carattere della gratuità.
3.3. Ai fini fiscali, nell’ambito del reddito d’impresa, rileva il disposto del comma 5 dell’art. 89 del t.u.i.r., ai sensi del quale «se la misura non è determinata per iscritto, gli interessi si computano al saggio legale».
Alla luce di tale disposizione, nessuna presunzione di fruttuosità può operare laddove risulti da apposita documentazione che le parti hanno convenuto la natura non fruttifera del finanziamento erogato dall’impresa; ciò comporta che la formalizzazione scritta, idonea ad escludere il calcolo degli interessi al tasso legale, sia necessaria non solo con riguardo alle ipotesi di pattuizione di un saggio diverso da quello legale, ma anche in relazione alla ipotesi in cui le parti abbiano inteso convenire che il tasso di interesse sia pari a zero.
3.4. La presunzione di onerosità del mutuo – affermata anche dall’art. 42 del vecchio d.P.R. n. 597 del 1973 – ha valenza applicativa «generale». Infatti, ai sensi dell’art. 45, comma 2, del t.u.i.r., per i capitali dati a mutuo gli interessi si presumono percepiti alle scadenze e nella misura pattuite per iscritto, con la precisazione che, se non risulta stabilita per iscritto la misura, gli interessi si computano al saggio legale; lo stesso comma 2 dell’art. 45 ammette, comunque, la possibilità per il contribuente di fornire prova contraria alla presunzione legale relativa di onerosità del negozio, offrendo riscontri rigorosi della pattuizione di gratuità del finanziamento.
Secondo l’orientamento ormai consolidato e prevalente nella giurisprudenza di legittimità, «in tema di imposte sui redditi, i versamenti fatti dai soci, se non formalmente deliberati in conto capitale ed infruttiferi, si presumono fruttiferi, salvo la prova contraria gravante sul contribuente», con conseguente obbligo per la società di effettuare la ritenuta d’acconto sugli interessi «indipendentemente dalla materiale erogazione degli stessi agli aventi diritto» (Cass., sez. 5, n. 14573 del 20/11/2001; Cass. n. 13807 del 27/6/2005; Cass. n. 15869 del 7/7/2009; Cass. n. 20035 del 7/10/2015; Cass. n. 3819 del 16/2/2018). In merito al contenuto della prova contraria gravante sul contribuente, questa Corte ha precisato che essa «non è libera, ossia non può essere data con qualsiasi mezzo, ma soltanto nei modi e nelle forme stabiliti tassativamente dalla legge» (Cass. n. 2735 del 4/2/2011; Cass. n. 17839 del 9/9/2016).
3.5. In ambito tributario, la voluta infruttuosità del finanziamento deve, quindi, emergere in modo chiaro ed univoco dalla corrispondenza intercorsa tra le parti e risultare per iscritto, dovendosi in caso contrario ritenere operante la presunzione di fruttuosità; tale rigore probatorio non può soffrire deroghe in materia di prestiti infragruppo nazionali, lasciando spazio a valutazioni sommarie e superficiali.
3.6. Posto ciò, i giudici regionali, non attenendosi ai principi sopra richiamati, si sono limitati ad affermare, in modo apodittico e senza illustrare il percorso argomentativo seguito per addivenire al loro convincimento: «non è condivisibile la tesi dell’Ufficio quando sostiene che non sarebbe stato esibito alcun contratto scritto tra le parti, e questa circostanza, a parere di questo Consesso giudicante, è idonea anche a superare la presunzione di onerosità del mutuo, atteso che le condizioni pattuite nella documentazione in atti, danno piena prova della infruttuosità del mutuo».
Le argomentazioni poste a fondamento della decisione sono del tutto generiche ed insufficienti, in quanto la Commissione regionale omette di chiarire, pur trattandosi di fatto rilevante e decisivo, se risulti soddisfatto il requisito della determinazione per iscritto degli interessi richiesta dall’art. 89, comma 5, del d.P.R. n. 917 del 1986; dalla decisione non è, infatti, dato evincere da quale documento prodotto agli atti di causa (richiesta scritta di finanziamento e ricevute dei bonifici) sia stata desunta la esistenza di una pattuizione scritta che escluda gli interessi.
Infatti, ai fini della sufficienza della motivazione della sentenza, il giudice non può, quando esamina i fatti di prova, limitarsi ad enunciare il giudizio nel quale consiste la sua valutazione, perché questo è il solo contenuto «statico» della complessa dichiarazione motivazionale, ma deve impegnarsi anche nella descrizione del processo cognitivo attraverso il quale è passato dalla sua situazione di iniziale ignoranza dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio, che rappresenta il necessario contenuto «dinamico» della dichiarazione stessa (Cass., sez. 5, n. 1236 del 23/01/2006; Cass., sez. 6-5, ord. n. 15964 del 29/7/2016; Cass. n. 32980 del 20/12/2018).
4. La sentenza va, pertanto, cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, perché provveda a nuovo esame, oltre che alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo del ricorso e dichiara assorbito il primo motivo del ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità
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