CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 giugno 2018, n. 14994
Cartella esattoriale – Crediti per contributi S.S.N. – Giurisdizione del giudice tributario – Annullamento – Inquadramento dell’azienda – Commerciale o artigianale – Consulenza tecnica d’ufficio – Rilevanza – Maggior numero di operai utilizzati nell’attività artigianale
Fatti di causa
Rilevato che a seguito di un’ispezione presso la E. s.n.c. gli ispettori dell’INPS ritenevano di aver acquisito elementi in base ai quali dovesse essere operato un diverso inquadramento dell’azienda, ossia non come artigianale bensì commerciale, con la conseguente insorgenza a favore dell’INPS di un credito contributivo derivante dall’applicazione del CCNLL (contratto collettivo nazionale per lavoratori dipendenti) del settore di appartenenza (commercio) e la contemporanea decadenza dal beneficio della fiscalizzazione degli oneri sociali;
che il credito per contributi previdenziali derivante dal verbale ispettivo veniva iscritto a ruolo e veniva notificata la cartella esattoriale con la quale si ingiungeva alla società il pagamento per contributi e sanzioni civili;
che venivano altresì iscritti a ruolo i crediti per il S.S.N. (servizio sanitario nazionale) derivanti dallo stesso verbale ispettivo;
che avverso tali provvedimenti la società proponeva opposizione davanti al Tribunale di Verona che, dopo aver disposto una consulenza tecnica d’ufficio tesa ad accertare quale sia il corretto inquadramento della società relativamente al periodo di cui al verbale ispettivo, la accoglieva per i crediti relativi ai contributi previdenziali, dichiarando il difetto di giurisdizione quanto al credito per contributi S.S.N.;
che, in particolare, la consulenza affermava la prevalenza dell’attività di impresa artigiana rispetto a quella commerciale in quanto, anche se il fatturato era maggiormente consistente quanto all’attività commerciale, il numero di operai utilizzati nell’attività artigianale era maggiore rispetto a quelli impiegati nell’attività commerciale;
che tale decisione veniva confermata dalla Corte d’appello di Venezia; che, pertanto, la società contribuente proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Verona per ottenere la declaratoria di insussistenza del credito per contributi S.S.N.;
che la Commissione Tributaria Provinciale di Verona con sentenza n. 4/3/10 del 9 dicembre 2009 accoglieva il ricorso della società dichiarando non dovuti i contributi, reputando di uniformarsi alla valutazione della consulenza tecnica d’ufficio fatta propria dal tribunale di Verona;
che l’INPS impugnava la sentenza davanti alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto la quale, con sentenza 25/15/11 del 28 febbraio 2011, respingeva l’appello, rifacendosi anch’essa alla valutazioni della suddetta C.T.U.;
che l’INPS proponeva ricorso, affidato ad un unico motivo, nei confronti di E., che si costituiva chiedendo che il ricorso fosse dichiarato inammissibile o comunque infondato, e nei confronti di Equitalia nord s.p.a. che non si costituiva.
Ragioni della decisione
Considerato che con l’unico motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, la ricorrente deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, in quanto la sentenza non spiegherebbe perché si è ritenuto che fosse prevalente l’attività artigianale nonostante il volume d’affari relativo all’attività commerciale coprisse quasi per intero il fatturato dell’azienda;
che, in particolare, non sarebbe sufficiente a giustificare la decisione impugnata la circostanza che il numero di operai impiegati nell’attività artigiana era superiore rispetto al numero di quelli impiegati in quella commerciale, perché l’attività artigianale, per sua natura richiede un maggior tempo di svolgimento e l’impiego di un maggior numero di persone; ritenuto che il motivo è infondato;
che infatti il motivo di ricorso contiene una questione giuridica che implica una diversa ricostruzione delle risultanze processuali ed è stato affermato da questa Corte: che con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404); che in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità (Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940);
che occorre altresì considerare che il controllo della motivazione in fatto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., nel testo previgente rispetto alla novella di cui all’art. 54 del D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni in legge n. 134 del 2012, si compendia nel verificare che il discorso giustificativo svolto dal giudice di merito presenti i requisiti minimi dell’argomentazione (fatto probatorio – massima di esperienza – fatto accertato), mentre non è consentito alla Corte sostituire la massima di esperienza utilizzata con altra diversa o confrontare la sentenza impugnata con le risultanze istruttorie, al fine di prendere in considerazione un fatto probatorio diverso o ulteriore rispetto a quelli assunti a fondamento della decisione impugnata (Cass. 20 febbraio 2018, n. 4070); inoltre, i vizi motivazionali deducibili con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., sempre nel testo previgente rispetto alla novella di cui all’art. 54 del D.L. n. 83 del 2012, non possono riguardare apprezzamenti di fatto difformi da quelli propugnati da una delle parti, poiché, a norma dell’art. 116 cod. proc. civ., rientra nel potere discrezionale – come tale insindacabile – del giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, apprezzare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere,” tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione: tale operazione, che suppone un accesso diretto agli atti e una loro delibazione, non è consentita davanti alla Cassazione, neanche quando il giudice di merito abbia posto alla base del suo apprezzamento massime di esperienza, potendosi in tal caso esercitare il sindacato di legittimità solo qualora il ricorrente abbia evidenziato l’uso di massime di esperienza inesistenti o la violazione di regole inferenziali (Cass. 27 luglio 2017, n. 18665);
che, peraltro, ha affermato questa Corte in tema di ricorso per cassazione, che per infirmare, sotto il profilo della insufficienza argomentativa, la motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui il giudice dichiari di condividere il merito, è necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice “a quo”, e ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolverebbe nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità (Cass. 3 giugno 2016, n. 11482);
ritenuto che pertanto, e in considerazione del fatto che la sentenza impugnata è sorretta da adeguata e razionale motivazione il ricorso dell’INPS va rigettato e che la disciplina delle spese segue la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento nei confronti di E. delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 2.000, oltre a rimborso forfettario nella misura del 15% e ad accessori di legge.
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