CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 settembre 2020, n. 18652
Tributi – Accertamento catastale – Revisione classamento – Rettifica della rendita e alla modifica della categoria – Motivazioni dell’atto – Carenza – Illegittimità
Fatto
Ritenuto che:
1. con sentenza n.860/19 depositata in data 26 febbraio 2019 la Commissione Tributaria della Lombardia, Sez. distaccata di Brescia, rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 470/10/2015 della Commissione Tributaria di Pavia, con compensazione delle spese di lite;
2. il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva attribuito la categoria D/4 (case di cura ed ospedali) ad un complesso immobiliare adibito a casa di riposo il precedente classamento in categoria B/1 (comprensiva di ricoveri ed ospizi) classe 3, riproposto con procedura DOCFA a seguito di installazione di impianto fotovoltaico;
3. la CTP aveva accolto il ricorso rilevando che l’Ufficio non avesse motivato l’atto impugnato relativo alla rettifica della rendita e alla modifica della categoria in presenza di modeste variazioni denunciate dalla contribuente con r la procedura Docfa;
4. la CTR rilevava la carenza di motivazione dell’avviso di accertamento con cui era stata elevata in modo significativo la rendita pur in assenza di sostanziali modifiche della consistenza dell’immobile.
Osservava in questa prospettiva che non erano stati indicati i parametri di riferimento non potendosi ritenersi sufficiente il mero richiamo alla normativa esistente e alle circolari esplicative.
Sottolineava per quel che attiene all’inquadramento del bene nella categoria D la mancanza degli elementi specifici che giustificava il suo inserimento nella categoria speciale evidenziando che nessuna specifica modifica dell’originaria destinazione era stata apportata al bene e che le caratteristiche indicate dall’Ufficio non corrispondevano alla effettiva consistenza e destinazione del bene illustrate dalla contribuente.
5. avverso la sentenza di appello, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi; la parte contribuente ha resistito con controricorso Diritto
Considerato che
Con il primo motivo l’Agenzia ricorrente deduce:
la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli art. 3 della legge 241/90,dell’art. 7 della legge 212/2000 e del D.M. 1994 nr 701 in relazione all’art. 360,comma primo nr 3 c.p.c.
Sostiene in particolare che la decisione si sarebbe posta in contrasto con gli indirizzi espressi in punto motivazione degli avvisi emessi nell’ambito della procedura Docfa dalla Suprema Corte la quale ritiene osservato l’obbligo della motivazione anche mediante la mera indicazione dei dati oggettivi acclarati dall’Ufficio e della classe conseguentemente attribuita all’immobile, consentendo al contribuente il confronto con gli elementi indicati nella propria dichiarazione.
Con un secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione del Regolamento approvato con DPR nr 1142 del 1.12.1949 in relazione all’art. 360, primo comma nr 3 c.p.c.
La ricorrente ritiene satisfattivo il mero richiamo operato dall’Ufficio nell’avviso impugnato alla normativa e alle relative circolari esplicative che regolamenta in tutti i diversi passaggi l’intera attività di accertamento e verifica e le modalità di individuazione e classamento delle unità immobiliari censibili nei gruppi speciali D ed E considerando corretto e conforme alla normativa richiamata l’operato dell’amministrazione e conseguentemente non condivisibile la decisione della CTR.
I due motivi che possono essere esaminati congiuntamente in quanto riguardano la portata dell’obbligo di motivazione degli avvisi di accertamento catastale emanati in seguito al DOCFA, sono infondati.
Giova in primo luogo ricordare che In tema di classamento di immobili, qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga in seguito alla procedura disciplinata dal D.L. n. 16 del 1993, art. 2, convertito, con modificazioni, in L. n. 75 del 1993 e dal D.M. n. 701 del 1994 (cd. procedura DOCFA), l’obbligo.di motivazione dell’avviso di classamento è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’ufficio e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica del valore economico dei bei classati; in caso contrario, la motivazione deve essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate, sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente, sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso (Cass., Sez. 6-5, n. 12389 del 21 maggio 2018; cass 2020 nr 5008).
La fattispecie è chiaramente riconducibile alla seconda ipotesi.
La CTR della Lombardia infatti ha spiegato che l’Ufficio nel procedimento di riclassamento si era discostato in modo significativo dai dati forniti dalla contribuente sottolineando in questo senso che le caratteristiche indicate dall’Amministrazione non fossero corrispondenti ” alla effettiva consistenza e destinazione del bene” sicché quel diverso classamento era stato fondato sulla ponderazione di fatti diversi da quelli indicati nella richiesta.
In questo quadro correttamente il giudice di appello ha ritenuto che il mero richiamo a circolari ministeriali e alla normativa esistente non era sufficiente a soddisfare l’obbligo motivazione in assenza di quegli specifici elementi che giustificano l’inquadramento del bene nella categoria speciale D ed in mancanza di modifiche alla struttura o alla destinazione che non erano state neppure dedotte dall’Amministrazione.
La CTR, con accertamento in fatto non censurato nè censurabile se non attraverso il paradigma del vizio motivazionale,aveva messo in luce come i modesti interventi effettuati dalla contribuente così come era stato documentato non avevano cambiato l’originaria destinazione da casa di riposo a casa di cura e quindi non si giustificava la diversa classificazione operata dall’Ufficio senza motivare le ragioni dello scostamento dell’avviso di accertamento .
Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso va rigettato.
Segue la condanna dell’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna l’Agenzia delle Entrate a pagare alla controricorrente le spese di lite del presente giudizio, che si liquidano nell’importo complessivo di Euro 6000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
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