CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 dicembre 2021, n. 39181
Tributi – IVA – Detrazione – Acquisti precedenti l’inizio dell’attività – Omessa presentazione dichiarazione – Attività di agriturismo – Onere di prova a carico del contribuente
considerato che
dall’esposizione in fatto della sentenza censurata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a S.T. una cartella di pagamento con la quale, a seguito di controllo automatizzato ai sensi dell’art. 36-bis, d.P.R. n. 600/1973, aveva recuperato l’Iva esposta nella dichiarazione per il 2006, in quanto non era stata effettuata la dichiarazione relativa all’anno 2005 e, inoltre, atteso che le spese sostenute, di cui alle fatture passive, erano relative all’attività di agriturismo che il contribuente aveva iniziato a svolgere solo nell’anno 2006; avverso la cartella di pagamento il contribuente aveva proposto ricorso che era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Rieti; avverso la pronuncia del giudice di primo grado l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello;
la Commissione tributaria regionale del Lazio ha accolto il ricorso, in particolare ha ritenuto che: poiché l’attività agrituristica era stata iniziata nell’anno 2006, non poteva essere portata in detrazione l’Iva relativa alla fatture passive per acquisti compiuti nell’anno precedente; correttamente l’Agenzia delle entrate, in sede di controllo formale, aveva riscontrato l’omessa dichiarazione Iva per l’anno precedente a quello in cui il credito era stato fatto valere, e, di conseguenza, aveva emesso la cartella per il recupero del credito Iva; se era pur vero che, di per sé, l’omessa dichiarazione non era sufficiente per disconoscere il credito Iva, era necessario procedere all’accertamento della esistenza del credito e, sotto tale profilo, il contribuente non aveva esibito la copia delle fatture attive e passive, ma solo la copia delle liquidazioni trimestrali e del registro Iva 2005 e degli acquisti 2006; mancava, inoltre, il presupposto soggettivo per la qualifica del contribuente quale soggetto Iva, in quanto gli acquisti erano stati effettuati prima dell’inizio dell’attività di agriturismo; era fuori dal thema decidendum la statuizione del giudice di prime cure secondo cui gli acquisti erano funzionali all’attività di agriturismo; era da considerarsi compiuta al di fuori dei poteri istruttori di cui all’art. 7, d. lgs. n. 546/1992, l’ordinanza del giudice di prime cure con la quale aveva dato incarico alla Guardia di finanza di accertare l’esistenza del credito Iva;
S.T. ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a sei motivi di censura;
l’Agenzia delle entrate ha depositato atto denominato “di costituzione”, con il quale ha dichiarato di costituirsi al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa;
ritenuto che
con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 3) e 5), cod. proc. civ., per omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia, nonché per violazione dell’art. 345 cod. proc. civ. e dell’art. 57 d. lgs. n. 546/1992, per non avere dichiarato l’inammissibilità dell’appello dell’Agenzia delle entrate, atteso che con il suddetto atto erano state prospettate questioni nuove non riconducibili al thema decidendum;
in particolare, evidenzia parte ricorrente che con l’atto di appello l’Agenzia delle entrate aveva introdotto la questione: della necessità dell’accertamento dell’esistenza del credito, nonostante il fatto che il recupero era avvenuto a seguito di controllo formale, nonché della subordinazione della detraibilità del credito all’accertamento dell’ufficio; della mancata presentazione della dichiarazione per l’anno 2005; della illegittimità dell’ordinanza istruttoria del giudice di prime cure;
il motivo è inammissibile;
parte ricorrente, invero, non assolve all’onere di specificità del motivo, in quanto non riproduce il contenuto degli atti difensivi delle parti relative al primo ed al secondo grado di giudizio, limitandosi ad indicare genericamente, riportandone solo stralci del contenuto, delle argomentazioni difensive sostenute dall’Agenzia delle entrate con l’atto di appello;
peraltro, in relazione alla omessa pronuncia sulla questione di inammissibilità del motivo di appello, per violazione dell’art. 345 cod. proc. civ. e dell’art. 57 d. lgs. n. 546/1992, va rilevato, in primo luogo, che il giudice del gravame ha dato atto, in sede di esposizione del fatto, che il ricorrente aveva prospettato la suddetta eccezione e, in secondo luogo, che, successivamente, il percorso motivazionale seguito rende chiara la ragione per la quale è stato ritenuto di non potere seguire la prospettazione difensiva del ricorrente;
in particolare, va osservato che il giudice del gravame ha preso atto della circostanza che la pretesa dell’amministrazione finanziaria derivava da un controllo formale eseguito ai sensi dell’art. 36bis d.P.R. n. 600/1972, in quanto era stato riscontrato che il credito fatto valere per l’anno 2006 non era stato esposto nella dichiarazione relativa all’anno precedente, sicché ha ritenuto legittima la cartella di pagamento in ragione della verifica dell’omessa dichiarazione relativa all’anno precedente;
è proprio procedendo sulla base di tali considerazioni che il giudice del gravame ha preso atto del fatto che era stato il contribuente ad avere prospettato la sussistenza del proprio diritto alla detrazione, nonostante l’omessa dichiarazione Iva relativa all’anno precedente, ed ha ritenuto di dovere verificare, alla luce della suddetta postulazione difensiva, se sussistevano i presupposti sostanziali del riconoscimento del credito, pervenendo, secondo il percorso logico giuridico seguito, a negare la sussistenza sostanziale del credito, in considerazione del fatto che il contribuente non aveva, al momento in cui i costi erano stati sostenuti, la legittimazione passiva ai fini Iva;
questa impostazione di fondo, seguita dal giudice del gravame, è peraltro in linea con la giurisprudenza di questa Corte, che ha affermato (Cass. Sez. U., 8 settembre 2016, n. 17758) il seguente principio di diritto: «In caso di omessa presentazione della dichiarazione annuale IVA, è consentita l’iscrizione a ruolo dell’imposta detratta e la consequenziale emissione di cartella di pagamento, potendo il fisco operare, con procedure automatizzate, un controllo formale che non tocchi la posizione sostanziale della parte contribuente e sia scevro da profili valutativi e/o estimativi nonché da atti di indagine diversi dal mero raffronto con dati ed elementi dell’anagrafe tributaria, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54-bis e 60, fatta salva, nel successivo giudizio di impugnazione della cartella, l’eventuale dimostrazione, a cura del contribuente, che la deduzione d’imposta, eseguita entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, riguardi acquisti fatti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili»;
anche la successiva considerazione della non rilevanza degli accertamenti demandati alla Guardia di finanza dal giudice di primo grado si innesta nell’ambito del potere di verifica, compiuto dal giudice del gravame, della effettiva esistenza del credito, ritenuta priva di adeguata prova, atteso il fatto che il contribuente non aveva assolto al proprio onere probatorio, non avendo esibito la copia delle fatture attive e passive, ma solo la copia delle liquidazioni trimestrali e del registro Iva 2005 e degli acquisti 2006;
inammissibile, inoltre, è il motivo in esame laddove si prospetta una violazione per difetto di motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma 5, cod. proc. civ., non essendo tale vizio riconducibile alla dedotta ragione di censura che attiene, invero, alla omessa pronuncia su di una questione processuale, qual è quella della inammissibilità dell’atto di appello;
con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione ed errata applicazione dell’art. 2135 cod. civ., d.lgs. n. 313/1997, dell’art. 4, comma 2, n. 2), d.P.R. n. 633/1972, dell’art. 34 d.P.R. n. 633/1972, nonché dell’art. 112 cod. proc. civ.;
in particolare, parte ricorrente censura la sentenza per avere ritenuto non sussistente il presupposto soggettivo ai fini del riconoscimento del diritto alla detrazione dell’Iva;
deduce, invero, che, nell’anno 2005, nel quale erano stati sostenuti i costi, svolgeva attività di imprenditore agricolo ed in questo ambito, al fine dell’ampliamento dell’attività di impresa, aveva sostenuto costi per lo svolgimento dell’attività di agriturismo che, ai sensi dell’art. 2135, cod. civ., rientra nell’ambito dell’attività di imprenditore agricolo;
inoltre, parte ricorrente censura la sentenza per vizio di ultrapetizione, tenuto conto del fatto che l’Agenzia delle entrate non aveva mai censurato la mancanza dei requisiti oggettivi e soggettivi del contribuente, sicché il giudice del gravame non avrebbe potuto pronunciare sulla esistenza o meno degli stessi;
con il terzo motivo di ricorso, inoltre, si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 8 d.P.R. n. 322/1988 e dell’art. 19 d.P.R. n. 603/1972, dell’art. 115 cod. proc. civ., nonché per violazione dei principi della buona fede e di collaborazione;
in particolare, parte ricorrente censura la sentenza per avere ritenuto che il diritto alla detrazione Iva, nel caso in cui l’eccedenza di credito sia maturato nell’anno in cui la dichiarazione sia stata omessa, è comunque subordinata all’accertamento, da parte della amministrazione finanziaria, dell’esistenza del credito, posto che se, da un lato, è vero che, ai sensi dell’art. 55 d.P.R. n. 633/1972, in tali casi l’ufficio finanziario può procedere ad un accertamento induttivo in ordine alla esistenza del credito, d’altro lato, l’eventuale inerzia dell’ufficio non potrebbe risolversi nel venire meno del diritto alla detrazione;
evidenzia, inoltre, parte ricorrente che, con la procedura di controllo automatizzato l’ufficio finanziario non può risolvere questioni giuridiche o esaminare atti diversi dalla dichiarazione stessa, sicché non potrebbe, senza contraddittorio, accertare l’inesistenza del credito;
parte ricorrente, inoltre, evidenzia, con riferimento alla esistenza del credito, di avere assolto agli obblighi sostanziali, circostanza evincibile dai documenti prodotti, cioè dal registro delle fatture e dal prospetto della liquidazione periodica Iva;
la stessa ricorrente deduce, infine, la violazione del principio del legittimo affidamento, non potendo l’amministrazione finanziaria disconoscere il credito Iva, in quanto tale attività presuppone un accertamento sostanziale, nonché l’applicabilità alla fattispecie del principio di non contestazione, posto che la mancata produzione delle fatture costituiva fatto inconferente, posto che l’Agenzia delle entrate non aveva contestato il contenuto delle liquidazioni periodiche e del registro Iva 2005 e degli acquisti 2006, e tenuto conto, inoltre, del fatto che la stessa era anche in possesso delle fatture, posto che il contribuente, nell’anno 2008, aveva inoltrato istanza di rimborso parziale del credito maturato;
i motivi, che possono essere esaminati unitariamente, sono infondati, per quanto di ragione;
va precisato che la ragione della decisione del giudice del gravame si fonda, essenzialmente, su due profili che, nella loro concorrenza, hanno condotto alla conclusione che non sussistevano, nel caso di specie, i presupposti sostanziali per il riconoscimento del diritto alla detrazione Iva: in primo luogo, il giudice del gravame ha ritenuto che non poteva essere riconosciuta al contribuente, con riferimento alle spese sostenute nell’anno 2005, la qualifica di soggetto passivo ai fini Iva; in secondo luogo, il medesimo giudicante ha ritenuto che il credito non poteva dirsi esistente in quanto il contribuente non aveva esibito in giudizio la copia delle fatture attive e passive, ma solo la copia delle liquidazioni trimestrali e del registro Iva 2005 e degli acquisti 2006;
ciò precisato, e con riferimento al secondo motivo di censura, va osservato che il giudice del gravame ha precisato che la cartella di pagamento era stata emessa a seguito di controllo formale e che, correttamente, l’Agenzia delle entrate aveva emesso la cartella di pagamento, avendo riscontrato la mancata esposizione del credito nell’anno precedente, ciò in linea, secondo quanto precisato, con la costante giurisprudenza di questa Corte;
la mancata presentazione di una dichiarazione fiscale, infatti, costituisce circostanza idonea a rappresentare una di quelle notizie che rilevano come dato storico e fattuale e consentono l’avvio della procedura automatizzata, dovendo l’amministrazione finanziaria provvedere in sede di controllo “sulla base dei dati e degli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni fiscali presentate e di quelli in possesso dell’anagrafe tributaria”, che registra appunto la presentazione (e, dunque, l’omissione) delle dichiarazioni medesime;
sotto tale profilo, non correttamente parte ricorrente deduce che, avendo l’amministrazione finanziaria emesso una cartella di pagamento a seguito di controllo formale, non avrebbe potuto procedere ad un accertamento sostanziale del credito;
in realtà, la possibilità di procedere alla verifica della sussistenza, sotto il profilo sostanziale, della effettiva esistenza del credito, deriva dall’applicazione del principio, sopra esposto, della necessità di tutelare, comunque, il contribuente che non può vedersi escluso il proprio diritto alla detrazione per il solo fatto di non avere ottemperato agli obblighi formali, purché lo stesso, nell’ambito della cornice biennale, dia prova della esistenza del credito;
non è dunque, un problema di limiti al potere dell’amministrazione finanziaria, ma di assolvimento dell’onere di prova, a carico del contribuente, della sussistenza dei requisiti sostanziali;
in questo ambito, è vero che il giudice del gravame non ha correttamente statuito con riferimento alla questione della soggettività passiva del contribuente al tempo in cui gli acquisti erano stati operati (2005);
questa Corte ha più volte precisato che, se, da un lato, in ordine agli acquisti di beni ed in generale alle operazioni passive, occorre accertare, ai fini della detraibilità dell’imposta, che ricorra l’effettiva inerenza all’esercizio dell’impresa, cioè il loro compimento in stretta connessione con le finalità imprenditoriali, d’altro lato, non è richiesto, tuttavia, “il concreto esercizio dell’impresa, potendo la detrazione dell’imposta spettare anche nel caso di assenza di operazioni attive, con riguardo alle attività meramente preparatorie” poiché “è inerente all’esercizio dell’impresa anche l’acquisto di beni e servizi destinati alla costituzione delle condizioni necessarie perché l’attività tipica possa cominciare, rientrando nel concetto di strumentalità altresì le attività meramente preparatorie” (Cass. civ., 31 marzo 2011, n. 7344; Cass. civ., 28 gennaio 2015, n. 1578; Cass. civ., 21 settembre 2016, n. 18475; Cass. civ., 3 ottobre 2018, n. 23994; Cass. civ., 30 aprile 2021, n. 11408);
il suddetto rapporto di strumentalità può essere individuato nella fattispecie, atteso che risulta accertato che il contribuente svolgeva già nell’anno 2005 l’attività di imprenditore agricolo e che le spese sostenute erano relative all’acquisto di beni strumentali e necessari per l’organizzazione dell’azienda agrituristica che lo stesso intendeva realizzare, come in effetti avvenuto a partire dal 2006;
in realtà, lo svolgimento dell’attività agrituristica è considerato dal legislatore, secondo quanto previsto dall’art. 2135 cod. civ., come attività accessoria dell’attività di impresa agricola, sicché può ritenersi che era nell’ambito dell’attività di impresa agricola che le spese erano state sostenute proprio in funzione della ulteriore finalità di riorganizzazione in attività agrituristica;
tuttavia, le superiori considerazioni non possono condurre a ritenere che la complessiva valutazione operata dal giudice del gravame circa la non sussistenza dei requisiti sostanziali per la detrazione dell’Iva non sia corretta;
l’attenzione, invero, deve essere spostata alla diversa ed ulteriore ragione della decisione, censurata con il terzo motivo di ricorso, relativa al fatto che parte ricorrente non aveva dato prova della sussistenza dei requisiti sostanziali per il riconoscimento del credito Iva;
va, invero, osservato che il giudice del gravame ha ritenuto che non era sufficiente la produzione della copia delle liquidazioni trimestrali e del registro Iva 2005 e degli acquisti 2006, non avendo parte ricorrente prodotto la copia delle fatture attive e passive;
sotto tale profilo, parte ricorrente censura, con il terzo motivo, la statuizione osservando che, in realtà, la prova dell’esistenza del credito era stata offerta mediante la produzione delle suddette documentazioni che, di per sé, assurgono a prova in quanto “regolarmente tenuti e mai contestati dall’Amministrazione”;
la suddetta ragione di censura non può, però, trovare accoglimento;
questa Corte ha più volte precisato che, nel caso di omessa presentazione della dichiarazione annuale, ai fini del riconoscimento del diritto alla detrazione Iva, occorre che il contribuente fornisca la prova dell’esistenza contabile del credito non dichiarato, fornendo all’ufficio competente idonea documentazione mediante l’esibizione dei registri Iva, delle relative liquidazioni, della dichiarazione cartacea, relativa all’annualità omessa, delle fatture e di ogni altra documentazione utile allo scopo (Cass. civ., 17 marzo 2017, n. 6921; Cass. civ., 13 agosto 2020, n. 17043; Cass. civ., 22 luglio 2021, n. 21003);
il contribuente deve quindi dimostrare che, in quanto destinatario di transazioni commerciali e debitore dell’Iva, è titolare del diritto di detrarre l’imposta, con un accertamento in fatto da parte del giudice di merito, da compiersi con la latitudine suggerita dalla stessa Corte di giustizia (Causa C- 85/95, Reisdorf); non sono sufficienti allo scopo le sole avvenute liquidazioni periodiche, ma occorre anche l’esibizione dei registri Iva e delle relative liquidazioni, delle fatture e di ogni altra documentazione utile (Cass. civ., n. 6921/2017);
sotto tale prospettiva, quindi, va tenuto conto del fatto che il giudice del gravame ha accertato che il contribuente non aveva depositato la copia delle fatture attive e passive e, proprio sulla base di tale omesso assolvimento dell’onere di prova, ha escluso che potesse dirsi provata l’esistenza sostanziale del diritto di credito Iva;
non può quindi ritenersi fondato il terzo motivo di ricorso nella parte in cui si sostiene che, invece, ai fini dell’assolvimento dell’onere della prova, era sufficiente la produzione del registro delle fatture e del prospetto delle liquidazioni periodiche;
né può avere rilievo il profilo di censura, pur dedotto con il terzo motivo, relativo alla non corretta applicazione del principio di non contestazione: invero, la mancata contestazione della produzione documentale di parte ricorrente non implica una non contestazione della esistenza del credito, posto che, come detto, i documenti prodotti non erano sufficienti, di per sé, a dare la prova dell’effettiva esistenza del credito Iva; inconferente, poi, è il profilo di censura relativo alla violazione del legittimo affidamento, sia in quanto questione del tutto nuova, sia in quanto solo genericamente formulata, senza alcuna specificazione di quale sia l’atto della pubblica amministrazione che avrebbe generato nei confronti del contribuente il legittimo affidamento sulla cui base avrebbe conformato la propria condotta;
d’altro lato, con riferimento al fatto che, in sede di emissione della cartella di pagamento, non può procedersi ad un disconoscimento del credito, poiché costituisce attività che presuppone un accertamento sostanziale, va osservato che, a parte la non riconducibilità di tale circostanza al profilo del legittimo affidamento, deve essere riaffermato quanto sopra già esposto, cioè che la mancata presentazione di una dichiarazione fiscale costituisce circostanza idonea a rappresentare una di quelle notizie che rilevano come dato storico e fattuale e consentono l’avvio della procedura automatizzata: è, eventualmente, il contribuente che, a prescindere dalla inosservanza degli obblighi formali, è tenuto ad assolvere all’onere di provare la sussistenza dei presupposti sostanziali per il riconoscimento del diritto alla detrazione Iva;
con il quarto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione ed errata applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere ritenuto che non era riconducibile al thema decidendum la questione relativa alla natura strumentale all’attività agrituristica delle spese sostenute nell’anno 2005;
le considerazioni espresse con i precedenti motivi di ricorso hanno valore assorbente del presente motivo;
con il quinto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 7 d. lgs. n. 546/1992, e dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere ritenuto che il giudice del gravame, con l’ordinanza istruttoria con la quale aveva richiesto alla Guardia di finanza di accertare l’esistenza del credito, era andato oltre i limiti dei poteri istruttori riconosciuti dall’art. 7, cit., in quanto, in realtà, l’indagine conoscitiva era limitata alla sola documentazione prodotta e, inoltre, atteso che gli atti esibiti in giudizio avrebbero dovuto condurre necessariamente al riconoscimento del diritto di credito Iva;
il motivo è infondato;
come si è avuto modo di precisare, il giudice del gravame ha accertato che il contribuente non aveva assolto al proprio onere di provare l’esistenza del credito, in quanto non aveva prodotto la copia delle fatture attive e passive, ma solo la copia delle liquidazioni trimestrali e del registro Iva 2005 e degli acquisti 2006;
in questo ambito, ha quindi ritenuto che l’ordinanza istruttoria del giudice di primo grado, diretta all’accertamento della esistenza del credito, costituisse un superamento dei limiti dei poteri istruttori del giudice, “data la mancanza di una documentazione depositata dal ricorrente”;
tale ultima affermazione mostra, in realtà, che il giudice del gravame ha ritenuto che la definizione della controversia avrebbe dovuto essere compiuta nel rispetto del principio dispositivo, dunque delle prove che le parti hanno prodotto, svalutando, in tal modo, la circostanza che la relazione istruttoria della Guardia di finanza aveva concluso per l’accertamento del saldo attivo, proprio in quanto di per sé non idonea a consentire il superamento della verifica del mancato assolvimento, da parte del ricorrente, dell’onere di prova su di esso gravante;
invero, l’art. 7, comma 2, d. lgs. n. 546/1992, prevede espressamente che le Commissioni tributarie, qualora debbano acquisire elementi di particolare complessità, oltre a disporre consulenza tecnica, possano “richiedere apposite relazioni ad organi tecnici dell’amministrazione dello Stato o di altri enti pubblici compreso il Corpo della Guardia di Finanza”;
secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, tali poteri non possono concretarsi in un totale e non consentito esonero della parte dall’onere della prova sulla stessa gravante, bensì nell’acquisizione di elementi integrativi – rispetto a quelli già forniti dalle parti – ai fini della risoluzione della controversia, in vista della finalizzazione del giudizio in parola alla valutazione ed alla quantificazione della pretesa tributaria dell’Ufficio, anche a prescindere dagli accertamenti da esso espletati (Cass. civ., 13 marzo 2013, n. 6238);
in sostanza, il suddetto potere istruttorio non può essere attivato al fine del superamento del principio dispositivo che governa anche il processo tributario, ma solo in funzione integrativa quando si renda necessario, una volta ritenuto assolto l’onere della prova, procedere alla esatta quantificazione della pretesa dell’amministrazione finanziaria ove sussistano profili di particolare complessità di accertamento della effettiva pretesa, in stretta correlazione con la natura di impugnazione-merito del giudizio tributario, non essendo diretto alla sola eliminazione giuridica dell’atto impugnato bensì alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento operato dall’Ufficio finanziario;
la circostanza, inoltre, evidenziata dal contribuente, secondo cui la verifica disposta dal giudice del gravame era limitata “alla sola documentazione prodotta dal ricorrente”, rende, peraltro, la ragione di censura priva di interesse, posto che, in tal modo, viene riconosciuto dallo stesso ricorrente che la conclusione cui era pervenuta la relazione prescindeva del tutto dalla documentazione (copia delle fatture attive e passive) che il giudice del gravame aveva, invero, ritenuto necessarie al fine di accertare, in concreto, l’esistenza sostanziale del credito Iva;
con il sesto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., per avere reso una motivazione apparente laddove ha affermato che il giudice di primo grado aveva erroneamente ritenuto che oggetto del giudizio era il mancato pagamento dell’Iva relativamente al periodo di imposta 2007, piuttosto che il recupero del credito Iva di cui alla dichiarazione Iva 2006;
secondo parte ricorrente, con la suddetta motivazione il giudice del gravame non avrebbe consentito l’identificazione del procedimento logico seguito per la formazione del proprio convincimento, e non avrebbe, peraltro, tenuto conto della restante parte della sentenza di primo grado, nella quale era stato precisato, in fatto ed in diritto, su quali presupposti si basava la fattispecie in esame;
il motivo è infondato;
il giudice del gravame ha rilevato la erroneità dei presupposti di fatto sui quali si era basata la sentenza di primo grado, riconducendo la questione, invero, nell’ambito dell’oggetto del giudizio, relativo alla emissione della cartella di pagamento a seguito di controllo formale sulla dichiarazione 2006, stante la mancata dichiarazione 2005;
è, dunque, procedendo sulla base di tali presupposti, oggetto di accertamento da parte del giudice del gravame, che si è, poi, sviluppato il percorso logico giuridico seguito a fondamento della decisione, sicché non può ragionarsi in termini di motivazione apparente;
in conclusione, è inammissibile il primo motivo, sono infondati il secondo, terzo, quinto e sesto motivo, assorbito il quarto, con conseguente rigetto del ricorso;
nulla sulle spese, attesa la mancata costituzione della controricorrente;
si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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