CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 ottobre 2018, n. 24851
Licenziamento – Sospensione dal lavoro per messa in CIGS – Tardività dell’appello – Decorrenza del termine di impugnazione
Rilevato
1. che con sentenza n. 1035/2013 la Corte d’appello di Torino ha dichiarato inammissibile l’appello proposto d F. s.r.l. avverso la sentenza di primo grado la quale aveva dichiarato la illegittimità delle sospensioni per messa in CIGS disposte nei confronti di G.L.S., condannato la società al pagamento delle connesse differenze, dichiarato la inefficacia del licenziamento intimato con lettera del 7.8.2009 e condannato la società alla reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro, al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni globali di fatto dal licenziamento alla effettiva reintegra ed al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali in relazione al medesimo periodo;
1.1. che la statuizione di inammissibilità è stata fondata sulla tardività dell’appello, depositato il 19.10.2012 e, quindi, decorso il termine semestrale di impugnazione di cui all’art. 327 cod. proc. civ., decorrente dal deposito della sentenza di primo grado avvenuto in data 6.4.2012;
2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso F. s.r.l. sulla base di un unico motivo; che la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso;
2.1. che F. s.r.l. ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1.1. cod. proc. civ.;
Considerato
1. che con l’unico motivo di ricorso F. s.r.l.. deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 133 cod. proc. civ., anche in combinato disposto con l’art. 119 disp. Att cod. proc. civ. e con l’art. 327 cod. proc. civ., ed alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata ispirata ai principi enucleati dall’art. 3, comma 3 Cost. e dall’art. 24, comma 1, cod. proc. civ.. Censura la sentenza impugnata per avere affermato che il termine lungo per impugnare di cui all’art. 327 cod. proc. civ. decorre dalla pubblicazione della sentenza mediante deposito in cancelleria, a nulla rilevando la omessa e/o, a fortiori tardiva comunicazione di cui all’art. 133, comma 2, cod. proc. civ. da parte del cancelliere. Sostiene che ciò che rileva nel caso di specie non è tanto la data della comunicazione del deposito della sentenza da parte della Cancelleria quanto quella di pubblicazione della sentenza stessa, nel caso di specie coincidente con la data di annotazione del Cancelliere riportata nella relazione di notifica a mezzo p.e.c. e cioè con il 20.4.2012, rispetto alla quale la impugnazione risultava sicuramente tempestiva. Richiamato il principio di Cass. 14862/2009 assume che allegato alla comunicazione del 6 aprile 2012 vi era un testo di sentenza oggettivamente incompleto in quanto sprovvisto del timbro di deposito, del numero della sentenza, della data di deposito, della data di spedizione del timbro e firma del cancelliere. Esso era, pertanto, inidoneo a determinare il decorso del termine di impugnazione. Evidenzia che l’art. 133 cod. proc. civ. non contempla alcun momento di deposito scisso da quello della pubblicazione Nel caso di specie la comunicazione del 20 aprile riporta la stampigliatura del timbro di deposito e la sottoscrizione del cancelliere che quale pubblico ufficiale ne attesta la pubblicazione;
2. che ha formulato istanza di rimessione alla Corte costituzionale ove la disciplina di riferimento dovesse essere interpretata in conformità del dictum di Cass. Sez. Un. 13794/2012;
3. che il ricorso è inammissibile. La sentenza impugnata ha affermato che la sentenza di primo grado è stata depositata il 6.4.2012 e che per consolidata giurisprudenza il termine per impugnare decorre dalla pubblicazione della sentenza mediante deposito in cancelleria a nulla rilevando la omessa ed a fortiori tardiva comunicazione di cui all’art. 133, comma 2, cod. proc. civ.; ciò perché l’ampiezza del termine consente al soccombente di informarsi tempestivamente della decisione che lo riguarda;
3.1. che l’ipotesi considerata dal giudice di appello è quella della comunicazione di cancelleria effettuata oltre il termine prescritto dall’art. 133, comma 2, cod. proc. civ., in relazione alla quale la Corte di merito, in dichiarata adesione alla giurisprudenza di legittimità richiamata in motivazione (Cass. 11910/2003, 3251/2007, 15778/2007, 24913/29008, 17290/2009), ha ritenuto che tale circostanza non influiva sulla decorrenza del termine per impugnare il cui dies a quo decorreva, comunque, dalla data di pubblicazione della sentenza;
3.2. che le censure articolate con il motivo in esame introducono una questione giuridica diversa da quella affrontata dalla sentenza impugnata, questione che presuppone un accertamento di fatto – attinente alle formalità di pubblicazione della sentenza – ulteriore rispetto a quello alla base della decisione di secondo grado;
3.3. che tali censure sono inammissibili per la dirimente considerazione che parte ricorrente non riproduce in ricorso il contenuto degli atti – comunicazione di cancelleria a mezzo p.e.c. e relativi allegati, sentenza di primo grado corredata della annotazione di cancelleria che ne attestava l’avvenuto deposito – alla base dei rilievi formulati;
3.4. che questa Corte ha, infatti, ripetutamente affermato che il ricorrente per cassazione che intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha, ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., il duplice onere, imposto a pena di inammissibilità del ricorso, di indicare esattamente nell’atto introduttivo in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte, (v. tra le altre, Cass. n. 2617/2014; Cass. n. 2966/2011);
4. che alla inammissibilità del ricorso consegue il regolamento delle spese di lite secondo soccombenza;
5. che la circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 5.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Con distrazione in favore dei procuratori antistatali.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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