Corte di Cassazione sentenza n. 32777 depositata l’ 8 novembre 2022
notifica – impugnazione tardiva – il ricorso per revocazione sia stato proposto intempestivamente, oltre il termine di cui all’art. 327 c.p.c.. L’art. 327, primo comma, cod. proc. civ. prevede la decadenza dalla impugnazione dopo il decorso di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza, indipendentemente dalla notificazione di questa – bilanciamento tra esigenza di certezza del diritto e diritto di difesa
ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA
1. Con l’ordinanza impugnata questa Corte accoglieva i motivi del ricorso proposto dal Comune di Lavagna avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria 1516/2017 che quindi cassava, rinviando alla CTR della Liguria in diversa composizione.
Per la revocazione di tale ordinanza ricorre la società Porto di Lavagna deducendo un motivo unico.
Resiste con controricorso l’ente comunale.
Il P.G. ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA
1. Con l’ordinanza impugnata questa Corte accoglieva i motivi del ricorso proposto dal Comune di Lavagna avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria 1516/2017 che quindi cassava, rinviando alla CTR della Liguria in diversa composizione.
Per la revocazione di tale ordinanza ricorre la società Porto di Lavagna deducendo un motivo unico.
Il ricorrente, – che, in via pregiudiziale, insta per la rimessione in termini in relazione alla condizione di involontaria contumacia nei suoi confronti realizzatasi, nel giudizio di legittimità, in ragione dell’inserimento della sua costituzione in altro fascicolo -deduce la ricorrenza del vizio revocatorio costituito dall’errore di fatto, spiegando che la Corte aveva definito il ricorso, – dando atto che esso esponente era rimasto intimato, non avendo svolto difese, – “sull’erroneo presupposto della sua mancata costituzione”, così che la Corte non aveva «compiuto alcuna valutazione sulla regolarità della sua costituzione.
Resiste con controricorso l’ente comunale.
Il P.G. ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
ESPOSIZIONE DELEL RAGIONI DI DIRITTO
2. La ricorrente deduce che per mero errore della Cancelleria il suo atto di costituzione nel giudizio Rg 12968/18 era stato inserito nell’altro giudizio, recante RG 14709/18, pendente tra le medesime parti ed afferente la medesima sentenza della CTR della Liguria, introdotto dalla società, di guisa che la stessa risultava erroneamente contumace nel giudizio conclusosi con sentenza di rinvio oggetto della presente revocazione.
Aggiunge che con l’atto di costituzione aveva richiesto la riunione dei giudizi, atteso che essa contribuente aveva proposto ricorso contro la medesima decisione della Regionale avverso la quale l’amministrazione comunale aveva presentato il primo ricorso per cassazione.
Inoltre, evidenzia di non aver ricevuto la notifica del decreto di fissazione della camera di consiglio, omissione che costituisce errore di fatto idoneo a determinare la revocazione dell’ordinanza impugnata, il tutto sulla premessa della tempestività del ricorso per revocazione che, sebbene notificato oltre il termine semestrale di cui all’art. 327 c.p.c., andrebbe considerato in termini avendo essa avuto conoscenza della sentenza della cassazione solo con la notifica del ricorso in riassunzione dinanzi al giudice del rinvio disposta a mezzo pc in data 6.02.2020, vale a dire due giorni prima della scadenza del termine semestrale.
3. Sul punto, eccepisce in subordine, l’illegittimità costituzionale degli artt. 327, 391 bis, 395 bis p.c. in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost. e artt. 6, 13, 17, 35 Cedu, assumendo che la decorrenza del termine per il compimento di una determinata attività presuppone che la parte interessata al compimento di detta attività sia stata messa in condizione di conoscere il dies a quo, alla stregua del principio di effettività della conoscenza, vale a dire dalla data nella quale la parte riceve comunicazione del deposito della sentenza e non dalla pubblicazione della decisione, ancorchè consapevole di un precedente intervento della Corte Costituzionale pronunciatasi nel 2008 con riferimento al termine annuale di pubblicazione delle sentenze.
4. Ritiene questa Corte che il ricorso per revocazione sia stato proposto intempestivamente, oltre il termine di cui all’art. 327 c.p.c.. L’art. 327, primo comma, proc. civ. prevede la decadenza dalla impugnazione dopo il decorso di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza, indipendentemente dalla notificazione di questa.
L’ordinanza oggetto di impugnazione è stata pubblicata 1’8.07.2019, così che, – in difetto di una sua notifica, – trovava applicazione, nella fattispecie, il termine di impugnazione semestrale (art. 391 bis, c. 1), – termine così ridotto, in sede di conversione del d.l. n. 168 del 2016, dalla I. n. 197 del 2016, – avendo la Corte statuito che detto (nuovo) termine deve trovare applicazione per i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore della stessa legge di conversione (30 ottobre 2016), in difetto di specifica disposizione transitoria e in applicazione del principio generale di cui all’art. 11 delle preleggi (Cass. Sez. U., 23 aprile 2020, n. 8091 cui adde Cass., 7 luglio 2022, n. 21485; Cass., 9 luglio 2021, n. 19622).
3. – La questione che il ricorrente allora (impropriamente) pone sotto il profilo della rimessione in termini (art. 153, c. 2, cod. proc. civ.) deve essere diversamente ricondotta alla disciplina dell’impugnazione tardiva (art. 327, c. 2, cod. proc. civ.) che, secondo un condivisibile orientamento della Corte, astringe (anche) il mezzo di impugnazione (di natura eccezionale) della revocazione, essendosi rimarcato che le disposizioni di cui all’art. 327, cit., sono «espressione di un principio generale diretto a garantire, sul piano processuale, certezza e stabilità ai rapporti giuridici» e, pertanto, debbono trovare applicazione, nella fattispecie in esame, «per evidenti esigenze di coerenza del sistema e di necessaria armonia del regime impugnatorio» (Cass., 2 dicembre 2005, n. 26261; v., altresì, Cass., 9 luglio 2021, n. 19622; Cass., 23 dicembre 1997, n. 13012).
3.1 – Come risulta, poi, da un consolidato orientamento interpretativo della Corte (v., ex plurimis, , 16 novembre 2020, n. 25904; Cass., 14 ottobre 2019, n. 25727; Cass., 9 ottobre 2018, n. 24899; Cass., 13 giugno 2017, n. 14746; Cass., 11 aprile 2017, n. 9330; Cass., 15 ottobre 2013, n. 23323; Cass., 10 giugno 2011, n. 12761), l’ammissibilità dell’impugnazione tardiva presuppone l’ignoranza del processo (e, dunque, che la parti dimostri «di non avere avuto conoscenza del processo»; art. 327, c. 2, cod. proc. civ.).
3.1.1 – La Corte ha, in particolare, rimarcato che:
– l’impugnazione tardiva presuppone la ricorrenza di un duplice requisito, l’uno oggettivo, costituito dalla nullità della notificazione, l’altro soggettivo, correlato all’ignoranza del processo in ragione di detta nullità;
– l’impugnante è onerato della prova della ricorrenza di entrambi i requisiti, a meno che non ricorra l’ipotesi della inesistenza della notifica, nel qual caso l’ignoranza del processo si presume iuris tantum e grava sulla controparte, che deduca l’inammissibilità dell’impugnazione, l’onere della prova della conoscenza del processo (v. Cass., 3 gennaio 2019, n. 8; Cass., 30 settembre 2015, n. 19574; Cass., 23 giugno 2014, n. 14232; Cass., 20 novembre 2012, n. 20307; Cass., 3 luglio 2008, n. 18243; Cass. Sez. U., 22 giugno 2007, n. 14570; v. altresì, – nella giurisprudenza della Sezione tributaria, e con riferimento al d.lgs. n. 546 del 1992, art. 38, c. 3, – Cass., 14 ottobre 2015, n. 20672; Cass., 5 febbraio 2009, n. 2817; Cass., 22 maggio 2006, n. 11991);
– il contumace involontario decade dal diritto di impugnazione per l’inutile decorso del termine di cui al primo comma dell’art. 327 codice procedura civile, qualora si accerti (anche d’ufficio, in considerazione della natura pubblicistica della decadenza) che, nonostante la nullità della citazione o della sua notificazione, egli abbia avuto comunque conoscenza del processo, ed il termine sia decorso con inizio non già dalla data di pubblicazione della sentenza, bensì dal giorno della detta presa di conoscenza, se successiva alla sentenza stessa (Cass., 12 luglio 2013, n. 17236; Cass., 29 maggio 2003, n. 8622; Cass. Sez. U., 15 maggio 1990, n. 4196).
Sennonchè, nel caso in esame, il ricorrente era – come dal medesimo ammesso – a conoscenza della pendenza del processo, tant’è che provvedeva a costituirsi, non avvedendosi tuttavia che il suo fascicolo non veniva inserito nel fascicolo n. RG 11507/2020.
La Corte Costituzionale nel suo precedente aveva ritenuto che la norma in disamina – che all’epoca prevedeva il termine annuale per l’impugnazione – operasse un non irragionevole bilanciamento tra l’indispensabile esigenza di tutela della certezza delle situazioni giuridiche e il diritto di difesa. L’ampiezza del termine annuale consentiva – ad avviso del giudice delle leggi – al soccombente di informarsi tempestivamente della decisione che lo riguardava, facendo uso della diligenza dovuta in rebus suis.
Peraltro, la decorrenza fissata con riferimento alla pubblicazione, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, è un corollario del principio secondo cui, dopo un certo lasso di tempo, la cosa giudicata si forma indipendentemente dalla notificazione della sentenza ad istanza di parte: sicché lo spostamento del dies a quo dalla data di pubblicazione a quella di comunicazione non solo sarebbe contraddittorio con la logica del processo, ma restringerebbe irrazionalmente il campo di applicazione del termine lungo di impugnazione alle parti costituite in giudizio, alle quali soltanto la sentenza è comunicata ex officio. La stessa Corte riconosceva di essere intervenuta in materia di termini processuali dettati dalla legge fallimentare, chiarendo tuttavia che il principio era stato enunciato in riferimento ad ipotesi, in cui i termini fissati dal legislatore, a parte l’incertezza e inconoscibilità della loro decorrenza, erano oggettivamente esigui, così da potersi ravvisare l’effettiva compressione del diritto di difesa, attesa la non remota ipotizzabilità del loro decorso ignoto alla parte, pur diligente; tanto che il ricorso ad un’eventuale rimessione in termini avrebbe rischiato di divenire, inammissibilmente, non l’eccezione, ma la regola. Deve, pertanto, ravvisarsi una scelta specifica del legislatore, non contrastante con nessun precetto costituzionale, in quella di fissare il dies a quo del termine lungo per impugnare – sei mesi più la sospensione feriale, dunque assai prolungato nel tempo – dalla pubblicazione della decisione, secondo l’interesse alla certezza del diritto ed alla stabilità delle decisioni.
Si trattava comunque di ipotesi ontologicamente diverse da quella prevista dall’art. 327 cod. proc. civ., dal momento che solamente per quest’ultima ipotesi – e non anche per le altre di cui alle richiamate pronunce – l’interessato è posto in condizione di conoscere la decorrenza iniziale del termine decadenziale, senza l’imposizione di oneri eccedenti la normale diligenza (ordinanza n. 56 del 2005).
La contrazione del termine per impugnare da annuale a semestrale non altera ad avviso di questa Corte quel bilanciamento tra esigenza di certezza del diritto e diritto di difesa, atteso che il termine semestrale risulta certamente congruo al fine di assicurare il diritto di difesa della parte, posto nella condizione di conoscere la decorrenza inziale del termine decadenziale. In definitiva, è infondato l’assunto della ricorrente, secondo cui dovrebbe darsi una lettura forzata ed antiletterale dell’art. 327 c.p.c., fissandosi giudizialmente la decorrenza del termine annuale per impugnare dal momento in cui «la sentenza è conoscibile dalle parti», con conseguente incertezza del diritto, che in tal modo si determinerebbe (v. S.U.8776/21, in materia di lodo arbitrale).
Si evidenzia in proposito che la giurisprudenza di legittimità, in particolare con la sentenza n° 13509/2017 in tema di decorrenza del termine di cui all’art. 4 l. 89/01, ha sottolineato che rispetto al principio generale per il quale la decorrenza del termine per il compimento di una determinata attività presuppone che la parte interessata al compimento di tale attività sia messa in condizione di conoscere il dies a quo del relativo termine, “costituisce regola di settore relativa al sistema delle impugnazioni la disciplina posta dall’art. 327 c.p.c., il quale espressamente prevede che l’appello, il ricorso per cassazione e la revocazione per i motivi indicati nei n ° 4 e 5 dell’art. 395 non possono proporsi decorsi sei mesi dalla pubblicazione della sentenza; così individuando la decorrenza del termine nella pubblicazione e non anche nella comunicazione dell’avvenuta pubblicazione della sentenza; che la decisione della Corte Costituzionale – che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale ad essa relative (Corte Cost. sent. n° 297 del 2008) allorquando il termine lungo era di un anno – deve ritenersi valida anche ora che il detto termine è stato ridotto a sei mesi; il che non impone di considerare detta regola operante in ipotesi diverse da quelle espressamente previste dal legislatore, riespandendosi, in tutti i casi in cui il legislatore non preveda una diversa regola per la decorrenza del termine di compimento di un’attività, il principio generale per cui il decorso di tale termine presuppone la conoscenza del dies a quo“.
Ancora di recente la Corte Costituzionale, con sentenza n° 3/15, ha confermato la legittimità costituzionale della norma dell’art. 327 cpc con un’interpretazione che comunque ricollega la conoscibilità, intesa come “scienza legale”, della sentenza alla pubblicazione a cura del cancelliere, mediante l’apposizione della data in calce alla sentenza ed il contestuale inserimento nell’elenco cronologico delle sentenze, con l’attribuzione del relativo numero identificativo, adempimenti questi la cui rituale esecuzione non è stata contestata.
Quanto alle censure di incostituzionalità si osserva che è stato anche di recente ribadito che “il termine lungo per la proposizione dell’impugnazione, stabilito dall’art. 327 c.p.c., decorre dal giorno della pubblicazione della sentenza e non da quello della comunicazione dell’avvenuto deposito effettuato dal cancelliere alla parte costituita, giacché l’attività partecipativa del cancelliere resta estranea al procedimento di pubblicazione e non integra un elemento costitutivo nè integrativo dell’efficacia di essa ( Cfr Cass. civ. 5946/17, n° 14297/10, per una particolare fattispecie n° 14821/20).
In particolare, si è statuito che “il termine semestrale dalla pubblicazione del provvedimento, previsto per la proposizione del ricorso per revocazione dei provvedimenti della Corte di Cassazione dall’art. 391 bis comma 1 c.p.c., così ridotto, in sede di conversione del DI n° 168 del 2016, dalla legge n° 197 del 2016 ed applicabile ai provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore della stessa (30 ottobre 2016), trova operatività anche nell’ipotesi di mancata comunicazione al ricorrente della data fissata per la trattazione del ricorso per cassazione definito con il provvedimento impugnato, atteso che tale circostanza non rientra tra quelle che, ai sensi dell’art. 327, comma 2 c.p.c., giustificano una diversa decorrenza del termine e che _il ricorrente, essendo in quanto tale a conoscenza della pendenza del procedimento, si trova in condizione di poter informarsi del suo esito in tempo utile per proporre tempestivamente ricorso per t revocazione” ( Cfr Cass. civ. n° 19622/21). Il principio, che è stato dettato in un’ipotesi in cui il soggetto che ha proposto ricorso per revocazione era il ricorrente nel processo conclusosi con la sentenza impugnata, ben può essere esteso anche al caso in esame in cui Porto di Lavagna spa era controricorrente nel procedimento conclusosi con la sentenza impugnata e non era affatto contumace, poiché come si evince dalla sentenza impugnata e com’è pacifico, la stessa aveva resistito con controricorso ( vedi pag. 4). La circostanza che la stessa risulti intimata nell’intestazione della sentenza e che non abbia ricevuto la comunicazione della data fissata per la trattazione del ricorso in camera di consiglio non vale ad equipararla alla parte contumace in un giudizio di merito e non giustifica una diversa decorrenza del termine ai sensi dell’invocato art. 327 comma secondo c.p.c., poiché, peraltro, non ricorrono nel caso di specie i presupposti della nullità della notifica del ricorso introduttivo del giudizio di legittimità né la nullità della notificazione degli atti di cui all’art. 292 c.p.c., ai quali non è assimilabile il decreto di fissazione del ricorso in camera di consiglio e comunque la parte non ha dimostrato che, a causa di tale nullità, non avesse avuto conoscenza del giudizio medesimo.
Il deposito del controricorso dimostra invece che Porto di Lavagna spa era a conoscenza della pendenza del procedimento ed in condizioni di potersi informare del suo esito in tempo utile per proporre tempestiva impugnazione per revocazione.
Infine – e non di minor rilevanza – è la circostanza che la stessa ricorrente sia venuta a conoscenza della pubblicazione della decisione prima della scadenza del termine per impugnarla, sebbene solo due giorni prima dello spirare del termine ultimo, entro i quali avrebbe potuto redigere il ricorso per evitare di incorrere nella evidente decadenza.
Gli stessi motivi del ricorso per revocazione – fondato su due elementari circostanze – quali l’omessa comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza ( non documentata ) e la presunta dichiarazione di contumacia della stessa nel giudizio in cui invece il giudice di legittimità dà atto della sua costituzione – inducono a ritenere che il brevissimo tempo residuo per proporre ricorso per revocazione rispetto alla concreta conoscenza della ordinanza della Corte, consentiva comunque alla parte di esporre le due basilari circostanze entro la scadenza del termine di cui all’art. 327 c.p.c., termine che aveva l’obbligo di osservare.
In definitiva, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
- dichiara inammissibile il ricorso;
- condanna la ricorrente a rifondere le spese del giudizio sostenute dal Comune che liquida in euro 500,00 per compensi, euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario ed accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13, se dovuto.