CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 aprile 2019, n. 10024
Rapporto di lavoro subordinato – Prova – Regolarizzazione – Pagamento delle differenze di retribuzione
Rilevato
che con sentenza in data 14 febbraio – 30 marzo 2017 numero 419 la Corte d’Appello di Bari riformava la sentenza del Tribunale di Trani e, per l’effetto, accoglieva parzialmente il ricorso proposto da L.S. nei confronti di L.P. per il pagamento delle differenze di retribuzione maturate nel periodo del rapporto di lavoro subordinato antecedente alla regolarizzazione, avvenuta nel marzo 2002;
che a fondamento della decisione la Corte territoriale riteneva raggiunta la prova di un periodo di lavoro non regolarizzato decorrente dal gennaio 1993 (invece che dal gennaio 1992, come assunto dal lavoratore) sulla base delle deposizioni dei testi introdotti dalla parte ricorrente (P.P., A.D., B.R., P.G.), che avevano lavorato alle dipendenze del medesimo calzaturificio per un lasso di tempo comprensivo del periodo di causa.
I testi che avevano circoscritto il rapporto di lavoro dello S. al solo periodo di formale inquadramento non avevano specificato per quanto tempo essi avevano lavorato alle dipendenze del datore di lavoro, onde rendere credibili le loro asseverazioni.
Del pari era provata l’articolazione dell’orario di lavoro nel periodo di lavoro irregolare in 50 ore settimanali (in luogo delle 55 ore dedotte nel ricorso); i testi che avevano confermato il lavoro nei limiti dell’orario ordinario avevano riferito tale connotazione al solo periodo di inquadramento, che non era oggetto di domanda.
I testi P. e A., che avevano lavorato con il ricorrente nel periodo non regolarizzato, avevano confermato una prestazione di almeno 50 ore settimanali; la deposizione della teste B., che lavorava 40 ore a settimana, non era incompatibile con il maggiore orario di 50 ore, in quanto la teste aveva dichiarato che quando iniziava a lavorare lo S. era già al lavoro e che quando finiva di lavorare alcune volte aveva visto lo S. rimanere al lavoro.
Era incontestata la circostanza dell’applicabilità del CCNL aziende calzaturiere artigiane e dell’inclusione del lavoratore nel secondo livello di inquadramento.
che avverso la sentenza ha proposto ricorso L.P., articolato in tre motivi, cui L.S. non ha opposto difese;
che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti – unitamente al decreto di fissazione dell’udienza – ai sensi dell’articolo 380 bis codice di procedura civile.
Considerato
che la parte ricorrente ha dedotto:
– con il primo motivo – ai sensi dell’articolo 360 numero 3 codice di procedura civile – violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 cod.civ., per avere il giudice dell’appello ritenuto la prova di un periodo di lavoro non regolarizzato.
Ha assunto che i testi del lavoratore, già dipendenti della ditta, avevano reso dichiarazioni vaghe e per nulla circostanziate non solo quanto alla data di inizio dell’attività lavorativa ma anche quanto al suo svolgimento all’interno della ditta. Nessuno dei testi aveva indicato il periodo esatto di lavoro ed alcuni di essi, come la teste B., non avevano un ricordo preciso neanche del proprio periodo lavorativo. La stessa Corte territoriale contraddiceva l’accertamento compiuto in sentenza là dove affermava che le dichiarazioni dei testi del lavoratore «apparivano» probatoriamente credibili.
La ragione di inattendibilità dei testi da essa introdotti era stata individuata nella mancanza di specificazione del proprio periodo di lavoro, che essi non avevano indicato semplicemente per averlo considerato irrilevante; anche i testi indicati dal lavoratore non avevano precisato la durata del proprio rapporto di lavoro.
Nulla era poi emerso dalla prova circa il vincolo di subordinazione dello S. durante l’assunto periodo di lavoro irregolare;
– con il secondo motivo – ai sensi dell’articolo 360 numero 5 codice di procedura civile – omesso esame circa un fatto decisivo della controversia, per avere il giudice dell’appello accertato il periodo di lavoro senza motivare sulle prove poste a fondamento della decisione ed omettendo di esaminare altri fatti emersi nel corso del giudizio di primo grado, ritenendo acquisita la prova sulla base di probabilità e non di dati certi.
Si denunzia l’omessa considerazione del fatto che dall’esame dei testi non emergeva la prova della retribuzione mensile percepita dal lavoratore nel presunto periodo di lavoro irregolare nonché la obliterazione dei dati emergenti dalle buste-paga e dal libretto di lavoro dello S., rilasciato soltanto l’11 settembre 1996.
Si evidenzia che la ditta era stata sottoposta a controlli da parte dell’Ispettorato del lavoro senza che venisse riscontrata alcuna irregolarità circa la posizione dei dipendenti.
Si assume che il quadro istruttorio lasciava indeterminato anche l’orario di lavoro svolto e che uno dei testi del lavoratore (P.P.) aveva individuato un orario non conforme a quello indicato in sentenza.
Si denunzia la contraddittorietà della condotta del lavoratore, che, dopo aver assunto che le buste-paga nel periodo di lavoro regolarizzato indicavano un numero di ore inferiore a quello effettivo e che non era applicato il contratto collettivo di categoria, non rivendicava differenze di retribuzione per tale periodo;
– con il terzo motivo – ai sensi dell’articolo 360 numero 5 cod.proc.civ. – violazione dell’articolo 116 codice di procedura civile.
La parte ricorrente ha lamentato la erronea valutazione delle risultanze probatorie quanto al periodo ed all’orario di lavoro. Sul primo punto, i testi C.G. e F.P., da essa introdotti, avevano indicato il proprio periodo di lavoro, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata; quanto all’orario di lavoro, i testi C.C. e C.G. avevano indicato un orario di 40 ore settimanali anche per il periodo anteriore al marzo 2002, oggetto delle rivendicazioni dello S.
Si contesta, altresì, I’ accertamento dell’inquadramento del lavoratore nel secondo livello del CCNL aziende calzaturiere artigiane, assumendo non essere emersa alcuna conferma dello svolgimento delle mansioni descritte ricorso.
che ritiene il Collegio si debba dichiarare inammissibile il ricorso; che, invero:
i tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto si prestano ad analoghi rilievi, contestano l’accertamento di fatto compiuto dal giudice del merito in ordine alla decorrenza del rapporto di lavoro ed all’orario di lavoro osservato nel periodo di lavoro irregolare.
Trattasi dell’accertamento del fatto storico sulla base della valutazione degli elementi istruttori, attività propria del giudice del merito, censurabile in questa sede di legittimità esclusivamente attraverso la allegazione, ai sensi dell’articolo 360 nr. 5 cod.proc.civ., di un fatto storico, oggetto di discussione tra le parti e di rilievo decisivo, non esaminato nella sentenza impugnata.
I motivi di censura non specificano alcun fatto storico non esaminato ma, piuttosto sottopongono a critica il giudizio di attendibilità dei testi espresso dalla Corte di merito (primo motivo), la valutazione di raggiungimento della prova del lavoro irregolare e della prestazione straordinaria (secondo motivo), la mancata valorizzazione delle deposizioni dei propri testi (terzo motivo).
Per costante giurisprudenza di questa Corte anche nel testo dell’articolo 360 nr. 5 cod.proc.civ. previgente alla riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato sulla motivazione restava riservata al giudice del merito la individuazione delle fonti del proprio convincimento, ed, in proposito, la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e la concludenza, la selezione, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr., ad esempio, in termini, Cassazione civile, sez. IlI, 04/03/2010, n. 5205 Cass. 6 marzo 2006, n. 4766)
Sempre nella stessa ottica, altresì, Cass. 27 febbraio 2007, n. 4500; Cass. 19 dicembre 2006, n. 27168; Cass. 8 settembre 2006, n. 19274; Cass. 25 maggio 2006, n. 12445).
Appare, dunque, evidente la estraneità delle censure ai più stringenti confini del vizio di motivazione definiti dalla riforma del 2012.
Da ultimo, parte ricorrente contesta genericamente in questa sede l’accertamento dell’inquadramento del lavoratore nel livello secondo del CCNL di categoria laddove la sentenza, sul punto non specificamente censurata, ha affermato (alla pagina 3) essere incontestata la inclusione del lavoratore appellante nel II livello di inquadramento;
che, pertanto, essendo condivisibile la proposta del relatore, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con ordinanza in camera di consiglio ex articolo 375 cod.proc.civ.;
che non vi è luogo a provvedere sulle spese per la mancata costituzione dell’intimato;
che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi dell’art. 1 co 17 L. 228/2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 DPR 115/2002) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
Dichiara la inammissibilità del ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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