CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 agosto 2021, n. 22819
Licenziamento per giustificato motivo soggettivo – Assenza ingiustificata dal lavoro – Mancata effettuazione della visita medica preventiva ex art. 41 d. lgs. 81/2008 – Rifiuto a riprendere l’attività lavorativa
Rilevato che
1. La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 22.11.2018, respingeva il reclamo proposto da F. A. avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva respinto l’opposizione proposta dalla predetta avverso l’ordinanza ex art. 1, co. 51, I. 92/2012 di rigetto della domanda intesa ad ottenere la declaratoria di nullità o di illegittimità del licenziamento con preavviso, intimato alla lavoratrice per giustificato motivo soggettivo da T. s.p.a. in relazione all’assenza ingiustificata dal lavoro protrattasi per 10 giorni;
2. la Corte distrettuale, premetteva: – che l’A. aveva svolto mansioni di Capo Servizi treno dal 4.1.2009 all’1.4.2014, che era stata assente per tre maternità e congedi parentali, fino al rientro il 2.4.2014, data in cui era stata collocata presso gli uffici di T. in Roma, in via dello Scalo di S. Lorenzo, ed il 29.5.2014, all’esito di visita medica, era stata dichiarata idonea alle attività non attinenti la sicurezza in via temporanea, ossia alle mansioni di capotreno; – che, caduta in malattia il successivo 5.8.2014, T. le aveva comunicato, il 27.8.2015, l’imminente scadenza del periodo di comporto, informandola della possibilità di usufruire di un periodo di aspettativa per motivi di salute, di cui all’art. 32 del CCNL applicato, della durata massima di 12 mesi, e che, con lettera del 3.12.2015, la A. ne aveva domandato la fruizione per 12 mesi; – che, con mail del 7.12.2016, la predetta aveva chiesto informazioni circa il suo rientro in servizio, manifestando la volontà di non tornare presso gli uffici di via Scalo e di essere collocata in altra sede e non tra il personale viaggiante; – che, contattata telefonicamente da M.R. dipendente della società, era stata sollecitata a presentarsi l’indomani presso gli uffici di via dello Scalo per poi essere sottoposta, nei giorni successivi, a visita medica; – che la lavoratrice non si era presentata sul luogo di lavoro né il 13.12.2016, né nei giorni successivi, senza alcuna giustificazione; – che, il 19.12.2016, T., pur non essendovi tenuta, le aveva inviato un telegramma in cui la invitava a presentarsi con immediatezza presso il luogo di lavoro; – che l’A. aveva ribadito che la propria assenza era giustificata dalla mancanza di risposta alla sua comunicazione del 7.12.2016 ed aveva contestato l’esistenza di un formale provvedimento datoriale di assegnazione presso gli uffici del quartiere San Lorenzo; – che T. le aveva contestato l’assenza ingiustificata dal servizio, all’esito di procedimento disciplinare irrogandole la sanzione del licenziamento con preavviso, con lettera del 12.1.2017;
3. la Corte capitolina rilevava, quanto alle doglianze della A., secondo le quali ella non avrebbe potuto iniziare la prestazione lavorativa prima di essere sottoposta alla visita medica prevista dall’art. 41, co. 2, lett. e-ter) del d. lgs. 81/2008, che quest’ultima integrava un controllo che la legge non configurava come condicio iuris della ripresa dell’attività lavorativa e che la stessa andava attivata su iniziativa datoriale e non del lavoratore; aggiungeva che la finalità della visita disposta per la data del 14.12.2016 era quella di evitare che la lavoratrice potesse riprendere a svolgere mansioni per le quali era stata giudicata temporaneamente inidonea e non a quelle provvisoriamente attribuitele;
4. posto che la visita medica preventiva di cui all’art. 41 d. lgs. 81/2008 non costituiva condizione per la ripresa del lavoro, il rifiuto a riprendere l’attività lavorativa configurava un’assenza ingiustificata, rispetto alla quale la sanzione espulsiva era proporzionata; infine, non rilevava, secondo il giudice del gravame, la circostanza che la società avesse indicato un periodo di aspettativa di durata inferiore a quella normativa consentita, a fronte di una motivazione del licenziamento non fondata sul superamento del periodo di comporto e del periodo di aspettativa;
5. di tale decisione domanda la cassazione l’A., affidando l’impugnazione ad unico motivo – illustrato nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis. 1 c.p.c. -, cui resiste, con controricorso, la società; per quest’ultima si è costituito nuovo difensore – a seguito della rinuncia al mandato da parte del precedente – che ha depositato memoria illustrativa.
Considerato che
1. l’A. denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 41 del d. lgs. n. 81 del 2008 e, conseguentemente, dell’art. 1460 c.c., osservando che l’art. 41, comma 2, d. lgs. 81/2008 prevede che la sorveglianza sanitaria da garantire da parte del datore di lavoro e del medico competente nominato dal primo comprende una serie di visite distinte per tipologia, tempistiche e contenuto e che quella di cui alla lettera e-ter), e cioè la visita medica precedente alla ripresa del lavoro, che deve essere effettuata in caso di “assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi”, è volta a verificare l’idoneità alle mansioni, e cioè, in primis, il ripristino dell’idoneità all’attività lavorativa in generale, e non alla mansione specifica, come previsto nelle altre lettere di cui all’art. 41, comma 2, riguardanti i lavoratori che si sono assentati per un prolungato lasso di tempo perchè malati; assume che tale visita deve essere precedente alla ripresa del lavoro e deve verificare l’idoneità alla mansione, essendo strettamente funzionale alla corretta e sicura ripresa dell’attività lavorativa, ed è a cura e spese del datore di lavoro;
2. l’art. 41 del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (“Testo unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro”) prevede, tra gli strumenti della “sorveglianza sanitaria” (comma 2) anche l’effettuazione di una “visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare la idoneità alla mansione” (lett. eter);
3. come di recente osservato da questa Corte, con riferimento ad una ipotesi di recesso per giusta causa in relazione ad analoga mancanza della lavoratrice ricorrente, “la norma va letta – secondo un’interpretazione conforme tanto alla sua formulazione letterale come alle sue finalità – nel senso che la “ripresa del lavoro”, rispetto alla quale la visita medica deve essere “precedente”, è costituita dalla concreta assegnazione del lavoratore, quando egli faccia ritorno in azienda dopo un’assenza per motivi di salute prolungatasi per oltre sessanta giorni, alle medesime mansioni già svolte in precedenza, essendo queste soltanto le mansioni, per le quali sia necessario compiere una verifica di “idoneità” e cioè accertare se il lavoratore possa sostenerle senza pregiudizio o rischio per la sua integrità psicofisica”;
4. è stato osservato che il lavoratore, ove nuovamente destinato alle stesse mansioni assegnategli prima dell’inizio del periodo di assenza, può astenersi ex art. 1460 cod. civ. dall’eseguire la prestazione dovuta, posto che l’effettuazione della visita medica prevista dalla norma si colloca all’interno del fondamentale obbligo imprenditoriale di predisporre e attuare le misure necessarie a tutelare l’incolumità e la salute del prestatore di lavoro, secondo le previsioni della normativa specifica di prevenzione e dell’art. 2087 cod. civ.; sicché la sua omissione, integrando un inadempimento della parte datoriale di rilevante gravità, risulta tale da determinare una rottura dell’equilibrio sinallagmatico e da conferire, pertanto, al prestatore di lavoro una legittima facoltà di reazione (cfr. Cass. 7566/2020 cit.);
5. ciò risulta, del resto, conforme a principi già sanciti da questa Corte a ss. uu., laddove, per la parte di interesse, è stato chiarito che “l’art. 41, comma 2, lett. e-ter), d.lgs. n. 81 del 2008, come modificato dalla legge n. 106 del 2009,” … “si limita a prevedere che la sorveglianza sanitaria sia effettuata dal medico competente (di cui al precedente art. 38), anche mediante visita sanitaria precedente alla ripresa del lavoro a seguito di assenza per motivi di salute protrattasi per più di sessanta giorni continuativi, visita finalizzata a verificare l’idoneità alle mansioni” e che “si tratta di controllo che la legge non configura come condicio iuris della ripresa dell’attività lavorativa e che, per di più, va attivato ad iniziativa datoriale e non del lavoratore”; è stato evidenziato che “il comma 4 del cit. art. 41 stabilisce che le visite mediche di cui al comma 2 sono «a cura e spese del datore di lavoro», al punto che la loro omissione può anche costituire grave inadempimento del datore di lavoro che, se del caso, legittima l’eccezione di inadempimento del lavoratore ex art. 1460 cod. civ. (cfr. Cass. ss. uu. 22 maggio 2018 n. 12568, con richiamo a Cass. n. 24459/16);
6. il precedente per primo menzionato chiarisce, tuttavia, la diversità della situazione che si verifica quando, invece, il lavoratore rifiuti preventivamente anche di ripresentarsi in azienda, osservando come non possa ritenersi consentito al prestatore di lavoro di astenersi anche dalla presentazione sul posto di lavoro, una volta venuto meno il titolo giustificativo della sua assenza (come nella specie, la ricorrente avendo superato il periodo di aspettativa richiesto) e che tale presentazione è da considerarsi momento distinto dall’assegnazione alle mansioni, in quanto diretta a ridare concreta operatività al rapporto e ben potendo comunque il datore di lavoro, nell’esercizio dei suoi poteri, disporre, quanto meno in via provvisoria e in attesa dell’espletamento della visita medica e della connessa verifica di idoneità, una diversa collocazione del proprio dipendente all’interno della organizzazione di impresa (cfr. Cass. 7566/2020);
7. rispetto a tale ricostruzione della portata della disposizione normativa, non rileva ai fini voluti dalla ricorrente invocare la diversa visita medica regolata dalla disposizione di RFI spa n. 55 del 28.11.2006, recante “Norme relative alle visite mediche per l’assunzione e la revisione del personale utilizzato in attività connesse con la sicurezza della circolazione dei treni e dell’esercizio ferroviario”, che, secondo la ricorrente, è quella presa in esame dalla Corte distrettuale;
8. anche questa prevede che “il personale che si assenti dal servizio per motivi diversi da quelli di salute indicati agli artt. 8 e 10 della presente disposizione e per periodi superiori alle 180 giornate continuative dovrà essere inviato, a cura del datore di lavoro, a controllo della persistenza dei requisiti fisici di idoneità all’attività di sicurezza presso l’Unità Sanitaria Territoriale della Direzione Sanitaria di RFI, territorialmente competente, prima della riammissione in servizio”;
9. ad onta di un’asserita diversità delle due normative sul piano che in tale giudizio rileva, anche quella di natura regolamentare si esprime in termini analoghi quanto a necessità di visita preventiva, ma ciò non consente di superare il rilievo, correttamente evidenziato dalla Corte distrettuale, che la lavoratrice non poteva rifiutarsi di presentarsi sul luogo di lavoro al termine del periodo di aspettativa goduto e ciò senza mancare di osservare che le iniziali difese prospettate con riferimento alla diversa normativa regolamentare non risultano ribadite nella memoria illustrativa, che si incentra esclusivamente sull’esame dell’art. 41 co 2 lett. e ter) del d. Igs 81/2008;
10. essendo la doglianza prospettata dalla ricorrente incentrata unicamente sulla dedotta violazione e/o falsa applicazione della norma esaminata, che costituisce la base del ritenuto inadempimento della lavoratrice posto a fondamento del recesso, con riferimento a norma collettiva del codice disciplinare (art. 63 lett. g) CCNL: assenza per 6 giorni solari consecutivi), il ricorso deve essere respinto alla stregua delle esposte considerazioni;
11. le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo;
12. sussistono per la ricorrente le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 115 del 2002;
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 5.250,00 per compensi professionali oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese generali in misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.13, comma1bis, del citato D.P.R., ove dovuto.
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