CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 giugno 2018, n. 15487
Tributi – Atto di diniego di agevolazioni (esenzione) – Qualificazione – Atto di accertamento – Esclusione – Atto ammnistrativo
Fatto
1. La società T. srl, in persona del l.r., impugnava il diniego delle invocate esenzioni Ilor relativo all’anno di imposta 1997 ex art. 101 T.U. e L. 64/86 dinanzi alla CTP di Siracusa che accoglieva il ricorso con sentenza impugnata dall’Agenzia.
La CTR di Siracusa accoglieva l’appello con sentenza impugnata dalla contribuente dinanzi a codesta Corte che rigettava il ricorso con sentenza n. 15875/2009, che rendeva definitivo il provvedimento di diniego.
In data 18.12.2002, l’agenzia delle entrate notificava all’ente contribuente gli avvisi di accertamento relativi ad Ilor per l’anno di imposta 1997.
La società T. impugnava innanzi alla Commissione tributaria provinciale prima e regionale dopo i predetti avvisi, sostenendo che in presenza del diniego dell’esenzione, l’Ufficio avrebbe dovuto emettere atti di liquidazione dell’imposta e non avvisi di accertamento, stante l’identità oggettiva e soggettiva del diniego e degli avvisi. I ricorsi venivano respinti.
Avverso la sentenza indicata in epigrafe l’ente contribuente propone ricorso per cassazione svolgendo un unico motivo di ricorso.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Considerato che
2. Con il primo motivo del ricorso, si lamenta “vizio ex art. 360 n. 3 c.p.c.”, per violazione dell’art. 324 c.p.c. e del principio del ne bis idem, censurando l’impugnata pronuncia per aver violato il principi giurisprudenziale che riconosce nel diniego di un’agevolazione tributaria la natura di avviso di accertamento, con la conseguenza che la C.T.R. aveva errato nel dichiarare l’autonoma legittimità degli avvisi.
3. La censura è infondata.
Osserva il Collegio che secondo questa Suprema Corte “in tema di agevolazioni tributarie, il provvedimento di diniego, come pure il riconoscimento parziale della spettanza dell’agevolazione, sono equiparati agli atti di accertamento, alla luce del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16, e poi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, ai soli fini della loro impugnabilità, e quindi della tutela giurisdizionale del contribuente; ad essi, pertanto, non è applicabile, sotto altri profili, la disciplina propria degli atti di accertamento, come, per esempio, quella del regime di decadenza, previsto, per le imposte dirette dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43” (Cass. 335/05 e Cass. n. 7413/05).
Ed è altrettanto vero che siffatta “equiparazione” non comporta (e non può comportare) l’ulteriore conseguenza di identificare il diniego dell’agevolazione (o esenzione) con l’atto di accertamento in senso tecnico disciplinato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31 e segg..
Il provvedimento con cui l’Ufficio provvede sulla richiesta di esenzione, concedendola ovvero negandola ovvero annullando la precedente declaratoria di esenzione, ha natura di atto amministrativo, diverso da quello esplicativo del potere impositivo previsto e disciplinato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43. Ed invero, come già chiarito da questa Corte (Cass. 15874/2009), “se in base al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, l’Amministrazione determina l’imponibile ai fini della quantificazione del carico tributario, per contro con il provvedimento riguardante l’esenzione l’Ufficio si limita a riconoscere o a negare la sussistenza del diritto soggettivo all’esenzione, vantato dal contribuente sulla base dei presupposti della legislazione invocata, e quindi “il provvedimento sul diritto all’esenzione, anche quando rivesta la forma ed il contenuto dell’annullamento della precedente declaratoria di esenzione, non costituisce un atto di accertamento integrativo, espressione del potere impositivo, ma un atto di natura amministrativa e, in quanto tale, non è soggetto alla speciale disciplina dell’art. 43 citato bensì alle normale regole ed ai principi che disciplinano gli atti amministrativi (Cass. n. 21778/2012). Intanto, la necessità giurisprudenziale di “ampliare” la nozione dell’atto di accertamento per equiparare a tale atto il “diniego di agevolazioni”, al fine di giustificarne l’autonoma impugnabilità in presenza di una disposizione normativa (D.P.R. n. 636 del 1972, art. 16) che formalmente non la prevedeva, risulta definitivamente superata dalla circostanza che la nuova disciplina del contenzioso tributario (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19) include espressamente tra gli atti autonomamente impugnabili anche “il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari” (art. 19, comma 1, lettera h), che, peraltro, distingue, altrettanto esplicitamente, dall’avviso di accertamento”, ascritto ad una diversa categoria di atti autonomamente impugnabili (art. 19, comma 1, lettera a) (Cass. n. 16250/2007; Cass. n. 7413/2005).
Del resto, in pendenza del procedimento relativo alla legittimità del diniego dell’agevolazione – che ha efficacia pluriennale – l’ente finanziario deve emettere gli avvisi di accertamento per ogni singola annualità per non incorrere in decadenza. Ed una volta che il diniego diventa definitivo, l’obbligazione tributaria da adempiere non è quella risultante dalla richiesta agevolazione, ma quella originaria (in motivazione Cass. n. 994/2015; n. 20122/2013).
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con condanna della ricorrente alla refusione delle spese processuali sostenute dalla controparte, secondo il principio della soccombenza.
P.Q.M.
– Rigetta il ricorso;
Condanna il ricorrente alla refusione delle spese sostenute dall’Agenzia che liquida in euro 5.000,00, oltre spese prenotate a debito.
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