Corte di Cassazione sentenza n. 16884 depositata l’ 11 agosto 2020
processo tributario – impugnabilità del provvedimento di diniego dell’interpello disapplicativo
RITENUTO CHE:
In data 24 febbraio 2010, la società Società Immobiliare deila Murge s.a.s. di Petreili Pasquale & C.(di seguito società),presentava istanza di interpello disapplicativo, ai sensi dell’articolo 30, comma 4 bis, della legge 23/12/1994 n. 724 e dell’art. 37 bis, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 29/09/1973 n. 600, in relazione alla disciplina delle cd. società di comodo, richiesta che non veniva accolta dall’Agenzia delle Entrate per carenza di presupposti all’uopo necessari.
Avverso il silenzio rifiuto dell’Amministrazione finanziaria, proponeva ricorso la società contribuente che veniva accolto dalla Commissione Tributaria Provinciale di Bari. Interponeva appello l’Agenzia delle entrate, che veniva accolto dalla Commissione Tributaria Regionale con la sentenza di cui in epigrafe.
Contro tale sentenza propone ricorso per cassazione la società, affidato a quattro motivi.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Il PG ha presentato conclusioni scritte con le quali ha chiesto l’accoglimento del primo motivo di ricorso e l’assorbimento dei restanti.
CONSIDERATO CHE:
2. Col primo motivo, la società assume la violazione e falsa applicazione dell’art. 19, d.lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 10 cod.proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n.3, censurando la sentenza impugnata per avere escluso dal novero degli atti impugnabili, ai sensi dell’art. 19 I. cit., il diniego di agevolazione e per aver qualificato detto atto come un parere privo di natura impositiva; deduce che la sentenza della CTR si pone in contrasto con i principi enunciati in materia dalla giurisprudenza di legittimità, richiamando all’uopo Cass. 8613 del 2011, Cass. 1929 del 2014 e Cass. 20394 del 2012 e che affermano l’impugnabilità del provvedimento di diniego dell’interpello disapplicativo.
Col secondo motivo,la ricorrente assume la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., dell’art. 30, comma 4 bis, della legge n. 724 del 1994 e successive modificazioni, nonché 3 e 5 del d.P.R. n. 917 del 1986, in rapporto all’art. 360, comma 1, n. 3,cod. proc. civ.,deducendo l’errore dei secondi giudici per aver escluso l’idoneità probatoria della documentazione prodotta attestante che il mancato raggiungimento dei ricavi minimi non è dipesa da scelte arbitrarie ma da conseguenze oggettive del mercato.
Col terzo motivo la società deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, inerente l’omessa valutazione della documentazione relativa alla dimostrazione della presenza di cause di esclusione dell’applicazione dell’art.30 I. cit., in rapporto all’art. 360, comma 1, n. 5, cod.proc. civ..
Il primo motivo è fondato e va accolto, con assorbimento dei restanti motivi.
Questo Collegio intende dare continuità all’orientamento di questa Corte secondo cui «In tema di contenzioso tributario, l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 ha natura tassativa, ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli stessi l’Amministrazione porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche, siccome è possibile un’interpretazione estensiva delle disposizioni in materia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), ed in considerazione dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la legge 28 dicembre 2001, n. 448. Ne consegue che il contribuente ha la facoltà, non l’onere, di impugnare il diniego del Direttore Regionale delle Entrate di disapplicazione di norme antielusive ex art. 37 bis, comma 8, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, atteso che lo stesso non è atto rientrante nelle tipologie elencate dall’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, ma provvedimento con cui l’Amministrazione porta a conoscenza del contribuente, pur senza efficacia vincolante per questi, il proprio convincimento in ordine ad un determinato rapporto tributario»(cfr. Sez. 5, n. 17010 del 05/10/2012; conf. Sez. 5 n. 11929 del 28/05/2014; secondo Cass. n. 8663 del 2011 – pur essa richiamata dal ricorrente – il diniego disapplicativo è un atto definitivo in sede amministrativa e recettizio con immediata rilevanza esterna, da qualificarsi come un’ipotesi di diniego di agevolazione; cfr. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13963 del 05/06/2017, Rv. 644401 e Cass. n. 19962 del 2017).
Nel caso di specie, sulla base dei superiori principi, la società contribuente aveva dunque un interesse qualificato, ai sensi dell’art. 100 cod.proc.civ., a insorgere contro un atto che non era meramente consultivo ma che aveva una sua lesività in quanto la risposta all’interpello ha avuto l’effetto di incidere, comunque, sulla condotta del soggetto istante, in ordine alla dichiarazione dei redditi, in relazione alla quale l’istanza è stata inoltrata.
Non avendo la CTR fatto buon governo dei principi appena espressi, nella parte in cui ha escluso la facoltà della contribuente di impugnare il diniego del Direttore Regionale delle entrate di disapplicazione di norme antielusive ex art. 37 bis, comma 8, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, la sentenza impugnata va cassata con rinvio ai secondi giudici perché procedano all’esame del merito della controversia con la verifica delle concrete ragioni fattuali e giuridiche in base alle quali, poi, ritenere o meno applicabile la normativa antielusiva, fermo restando che è onere della contribuente che chiede la disapplicazione della normativa di cui all’art.30I. n. 724 del 1994 di documentare la sussistenza di oggettive ragioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi.
L’assorbimento del secondo e del terzo motivo – con i quali si censura la sentenza in epigrafe per aver ritenuto applicabili le norme antielusive di cui all’articolo 30 l. cit.- incontra i principi affermati da questa Corte, secondo cui«qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità con la quale si è spogliato della potesta suidicandi in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata» (cfr. Sez. U., Sentenza n. 3840 del 20/02/2007, Rv, 595555-01).
La CTR in sede di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.
PQM
Accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti i restanti. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Puglia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.
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