CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 settembre 2018, n. 22336
Tributi – Accertamento – Dichiarazioni fiscali – Rettifica – Emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti
Rilevato che
– l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sez. dist. di Brescia, depositata il 4 luglio 2013, di accoglimento dell’appello proposto dal Fallimento della S. di V. e Z. s.n.c. avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso presentato per l’annullamento di un avviso di accertamento con cui era stata rettificata la dichiarazione ai fini i.r.a.p. e i.v.a., anche in relazione alla contestazione dell’emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, e recuperate a tassazione le maggiori imposte non versate;
– dall’esame della sentenza impugnata e dalle concordi ricostruzione delle parti si evince che l’Ufficio, per l’anno 2003, aveva notificato alla ricorrente un primo avviso di accertamento, oggetto di specifica impugnazione ancora non definita, e che, per il medesimo periodo di imposta, aveva successivamente proceduto (in data 2 dicembre 2008), alla notifica di un secondo avviso di accertamento, ai sensi dell’art. 41 bis, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, anch’esso impugnato dalla contribuente;
– a seguito dell’accoglimento di tale ultima impugnazione, l’Ufficio aveva provveduto a notificare un ulteriore avviso di accertamento, in sostituzione di quello annullato in sede giurisdizionale, ai sensi dell’art. dell’art. 43, d.P.R. n. 600 del 1973, su cui, a seguito di impugnazione della contribuente, era stata emessa la sentenza impugnata in questa sede;
– il giudice di appello ha accolto il gravame in quanto l’avviso di accertamento era stato emanato prima della scadenza del termine di sessanta giorni dalla data del verbale di chiusura delle operazioni ispettive;
– aggiunge, inoltre, che l’Ufficio era decaduto dal potere di accertamento, non avendo dimostrato la ricorrenza dei presupposti per il raddoppio dei termini ordinari, e, infine, che la sostituzione dell’avviso di accertamento originariamente emesso con altro oggetto della impugnazione in esame non era legittima poiché l’originario avviso era stato annullato in sede giurisdizionale;
– il ricorso è affidato a cinque motivi;
– resiste con controricorso il Fallimento della S. di V. e Z. s.n.c., il quale, inoltre, deposita memoria ai sensi dell’art. 380 bis. 1 primo comma, c.p.c.;
Considerato che
– con il primo motivo l’Agenzia denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 43, terzo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 57, terzo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e 2, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, per aver la sentenza impugnata ritenuto che l’Amministrazione fosse decaduta dal potere impositivo al momento della notifica dell’avviso di accertamento emesso in sostituzione di quello originariamente emesso, annullato in via di autotutela, non applicandosi il raddoppio del termine ordinario in difetto della presentazione di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000;
– il motivo è fondato;
– l’art. 37, comma 24, d.l. 4 luglio 2006, n. 223, integrando il terzo comma dell’art. 43, d.P.R. n. 600 del 1973, ha stabilito che in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, gli ordinari termini di decadenza per l’accertamento sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione;
– l’art. 37, comma 25, del medesimo d.l. n. 223 del 2006, introduce *[ analoga disposizione in materia di i.v.a., previa modifica dell’art. 57, d.P.R. n. 633 del 1972;
– tali disposizioni trovano applicazione al caso in esame, benché relativo a periodo di imposta antecedente l’entrata in vigore delle richiamate disposizioni, in quanto, ai sensi del comma 26 del menzionato art. 37, il raddoppio dei termini si applica dal periodo d’imposta per il quale, alla data di entrata in vigore del decreto legge, siano ancora pendenti i termini ordinari per l’accertamento, per cui interessa anche il caso in esame relativo ad un avviso di accertamento emesso in relazione al periodo di imposta 2003;
– non vengono, invece, in rilievo, le modifiche introdotte, dapprima, dall’art. 2, primo e secondo comma, d.lgs. 3 agosto 2015, n. 128, che ha circoscritto il raddoppio dei termini di accertamento per violazioni penali solo ai casi in cui la denuncia è effettivamente presentata e trasmessa all’autorità giudiziaria entro il termine ordinario di decadenza dal potere di accertamento, quindi, dall’art. 1, commi da 130 a 132, della I. 28 dicembre 2015, n. 208, che hanno, tra le altre disposizioni, eliminato la fattispecie del raddoppio dei termini ordinari;
– infatti, quanto alla prima modifica, in virtù dell’apposita norma di salvaguardia prevista dall’art. 2, d.lgs. n. 128 del 2015, la stessa non si applica alle violazioni punibili constatate in processi verbali notificati prima del 2 settembre 2015 e seguite dalla notifica di atti impositivi entro il 31 dicembre 2015, quali sono quelle in oggetto, in cui la notifica dell’avviso di accertamento è intervenuta in data 30 giugno 2010;
– quanto alla ulteriore modifica, il regime transitorio previsto dalla l. n. 208 del 2015 per i periodi d’imposta anteriori a quello in corso al 31 dicembre 2016 – secondo cui il raddoppio dei termini di accertamento, quali stabiliti dal secondo periodo del comma 132, opera, nel caso delle indicate violazioni penali, solo a condizione che la denuncia penale sia presentata o trasmessa dall’amministrazione finanziaria entro il termine stabilito nel primo periodo del medesimo comma 132 – riguarda solo le fattispecie non regolate dal precedente regime transitorio, cioè i casi in cui non sia stato notificato un atto impositivo (o di irrogazione di sanzioni) entro il 2 settembre 2015, in quanto, ai sensi dell’art. 3, secondo comma, d.lgs. n. 128 del 2015 sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore di tale decreto (cfr. Cass. 16 dicembre 2016, n. 26037; Cass. 9 agosto 2016, n. 16728);
– ciò posto, secondo la disciplina applicabile al caso in esame, il raddoppio dei termini deriva dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p.,
indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento penale del reato, restando irrilevante, in particolare, che l’azione penale non sia proseguita o sia intervenuta una decisione penale di proscioglimento, di assoluzione o di condanna (cfr., altresì, Cass., ord., 30 maggio 2016, n. 11171);
– infatti, come, evidenziato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n.247 del 2011, l’unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo adempimento, sicché «il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta «prognosi postuma») circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento»;
– pertanto, la Corte territoriale, nell’attribuire rilevanza determinante, al fine di valutare la ricorrenza della condizione per il raddoppio del termine, alla mancata presentazione di una denuncia, non ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi;
– con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c., 43, commi primo e quarto, d.P.R. n. 600 del 1973, e 5, commi primo e quarto, d.P.R. n. 633 del 1972, per aver il giudice di appello ritenuto che, a seguito dell’annullamento, disposto con sentenza passata in giudicato, dell’avviso di accertamento originariamente emesso, l’Amministrazione non avrebbe potuto emettere un nuovo avviso di accertamento in via di autotutela sostitutiva;
– evidenzia che l’originario avviso di accertamento era stato annullato dalla Commissione tributaria provinciale perché erroneamente basato sul dichiarato esercizio del potere di accertamento parziale in luogo di quello integrativo di cui all’art. 43, quarto comma, d.P.R. n. 600 del 1973, e che, pertanto, aveva provveduto all’emanazione di un nuovo avviso di accertamento, fondato su tale ultima disposizione normativa, con cui si reiterava la medesima pretesa impositiva;
– il motivo è fondato;
– non è in contestazione il fatto che l’originario avviso di accertamento annullato dalla Commissione provinciale è stato reiterato con un ulteriore atto dal contenuto identico e recante il riferimento al predetto art. 43 per conformarsi alla pronuncia del giudice;
– orbene, si deve ritenere che l’avviso di accertamento emesso in sostituzione di quello originario precedentemente annullato in sede giurisdizionale non si risolve in una mera integrazione di quest’ultimo, ma costituisce esercizio dell’ordinario potere di accertamento, non consumatosi attraverso l’emanazione dell’atto annullato, nonché del generale potere di autotutela, in ordine alla quale, peraltro, l’Amministrazione non gode di alcun margine di discrezionalità (diversamente da quanto accade ordinariamente), trattandosi di integrare le parti che hanno dato luogo all’invalidità dell’atto precedente, in ottemperanza alla sentenza di annullamento: la sua emissione, pertanto, non presuppone la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, come prescritto dall’art. 43, terzo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (cfr. Cass 20 giugno 2007, n. 14377);
– è, infatti, legittimo l’esercizio del potere di autotutela anche nei confronti di atti annullati in sede giurisdizionale, attraverso la modificazione di presupposti di fatto e la rimozione o integrazione delle parti oggetto della statuizione di illegittimità (così, Cass. 30 giugno 2010, n. 15557);
– anzi, la pronuncia di una sentenza che dichiari la nullità dell’avviso di accertamento per motivi di forma, sia o meno passata in giudicato, non solo non preclude la possibilità, ma impone all’Amministrazione finanziaria di emettere un nuovo avviso, il quale autoannullerà, se necessario, il precedente, purché siano rispettati i termini di cui ai primi due commi dell’art. 43, d.P.R. n. 600 del 1973, e ciò in quanto, se ancora in tempo, non è in potere dell’ Amministrazione rinunciare con l’inerzia all’azione di recupero del credito fiscale (cfr. Cass. 12 maggio 2011, n. 10376);
– infatti, il giudicato (eventuale) sull’atto annullato giurisdizionalmente, in quanto determinato da considerazioni di ordine formale, non produce alcun effetto di carattere sostanziale nei confronti del nuovo provvedimento, immune da vizi (cfr. Cass. 14 maggio 2007, n. 10949);
– con il terzo motivo si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 36, secondo comma, n. 4, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per omessa motivazione in ordine alla sussistenza della pretesa impositiva;
– il motivo è fondato;
– la sentenza impugnata ha motivato, sul punto, affermando che «non [è] provato il comportamento fraudolento ipotizzato del contribuente»;
– si è, dunque, in presenza di una motivazione che, oltre ad essere estremamente succinta, non indica gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, omettendo di indicare per quale ragione gli elementi offerti dall’Ufficio risultano inidonei a dimostrare l’assunto, per cui non rende possibile il controllo sulla logicità del ragionamento inferenziale seguito;
– con il quarto motivo l’Agenzia lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 100 c.p.c. e 2909 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per aver la Corte territoriale omesso di dichiarare inammissibile, per carenza di interesse e, comunque, per giudicato esterno formatosi, il motivo di appello fondato sulla nullità dell’atto impositivo per mancato rispetto del termine dilatorio di sessanta giorni dalla chiusura delle operazioni di verifica, in quanto relativo ad avviso di accertamento annullato in via di autotutela e sostituito da altro avviso di accertamento e, in ogni caso, a vizio escluso dalla sentenza di annullamento passata in giudicato;
– il motivo è fondato;
– il giudice di appello ha accertato l’illegittimità dell’avviso di accertamento per mancato rispetto del termine di sessanta giorni dalla redazione del verbale di chiusura delle operazioni ispettive, così facendo, all’evidenza, riferimento all’avviso di accertamento oggetto dell’atto di autotutela, diverso da quello, emanato in sua sostituzione, oggetto dell’impugnazione da parte della contribuente;
– risulta, dunque, palese il difetto di interesse, atteso che l’accertamento investe la legittimità di un atto privo di effetti e, comunque, non oggetto di contestazione giudiziale in questa sede;
– all’accoglimento del quarto motivo di ricorso segue l’assorbimento dell’ultimo motivo, con cui si allega la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, settimo comma, I. 27 luglio 2000, n. 212, in ragione del fatto che, in relazione all’originario avviso di accertamento notificato (e poi annullato), la sentenza di appello non aveva tenuto conto delle ragioni di urgenza espresse nell’atto e, quanto al successivo avviso, i fatti accertati nella decisione impugnata evidenziavano il rispetto del termine in esame;
– la sentenza va, dunque, cassata con riferimento ai motivi accolti e rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, sez. dist. di Brescia, in diversa composizione;
P.Q.M.
Accoglie il primo, secondo, terzo e quarto motivo di ricorso e dichiara assorbito il quinto; cassa la sentenza impugnata con riferimento ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, sez. dist. di Brescia, in diversa composizione.
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