CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 11487 depositata il 3 maggio 2023
Tributi – Omesso versamento degli importi dovuti per IRPEF, IRAP e IVA – Provvedimento di confisca – Notificazione del ricorso – Violazione e/o falsa applicazione norme sulla soggettività passiva – Revoca confisca ‘ex tunc’ – Assoggettamento del patrimonio del contribuente a misura di prevenzione – Esiti dell’amministrazione “medio tempore” – Rigetto
Rilevato che
1. P.S. propone ricorso per cassazione, con due motivi, avverso la sentenza n. 1741/7/15 in data 9 giugno 2015 con cui la Commissione Tributaria Regionale del Veneto, in parziale accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate ed in conseguente parziale riforma della sentenza n. 364/5/2014 del 23 gennaio 2014 della Commissione Tributaria Provinciale di Treviso, confermava, con esclusione delle sanzioni, la legittimità di tre cartelle di pagamento emesse nei confronti del predetto a seguito di omesso versamento degli importi dovuti a titolo di Irpef, Irap ed Iva per l’anno 2009, siccome risultanti dalle rispettive dichiarazioni annuali presentate dall’amministratore giudiziario che, all’epoca, aveva in gestione i beni.
2. La CTR – premesso che i beni mobili ed immobili, l’azienda ed i capitali del P. erano stati sottoposti a sequestro di prevenzione con decreto del Tribunale di Palermo in data 19 luglio 2002, cui è seguito decreto di confisca emesso il 29 novembre 2007 e depositato il 30 gennaio 2008, oggetto, tuttavia, di “revoca” emessa dalla Corte d’appello di Palermo il 24 maggio 2010, e rilevato come la CTP avesse accolto i ricorsi, successivamente riuniti, avverso le tre cartelle, sul presupposto che nel periodo d’imposta 2009 il provvedimento di confisca era ancora efficace, operando detta “revoca” “ex nunc”, con conseguente responsabilità per l’omesso versamento in capo all’amministratore giudiziario, in quanto agente nell’interesse dello Stato e non del contribuente – osservava che le Sezioni unite penali della Suprema Corte di Cassazione, giusta sentenza n. 57 del 19/12/2006, avevano affermato il principio secondo cui il provvedimento di confisca è “revocabile” “ex tunc”.
Per tale ragione – proseguiva la CTR – la responsabilità in ordine al pagamento delle imposte era da imputarsi direttamente al contribuente, fermo tuttavia che le sanzioni relative all’omesso versamento, in quanto aventi natura personale, dovevano essere annullate, attesa la riferibilità della condotta unicamente all’Amministratore giudiziario.
3. Il contribuente proponeva ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Si costituiva con controricorso l’Agenzia delle entrate, instando per il rigetto del ricorso.
Il Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di cassazione Dott. G.F., in vista dell’udienza del 18 maggio 2022, depositava requisitoria addì 8 aprile 2022 ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23 comma 8-bis, convertito, con modificazioni, dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176, così concludendo: “(Il P.G.) chiede che la Corte di cassazione respinga il ricorso. Conseguenze di legge”.
Alla suddetta udienza, il Collegio disponeva il rinvio della causa a nuovo ruolo per l’acquisizione del fascicolo di merito, atteso che, con riferimento al primo motivo di ricorso, non risultava agli atti la relazione di notificazione dell’appello dell’Agenzia delle entrate al contribuente.
All’odierna udienza, la causa passa in decisione.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), nullità della sentenza e del procedimento per violazione del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 20 e 53.
1.1. Ad avviso del ricorrente, nella fattispecie, nonostante che la CTR abbia affermato che “l’appello risulta ritualmente notificato presso il difensore domiciliatario”, detta notifica in realtà non è stata compiuta. Il contribuente è invece venuto a conoscenza della sentenza impugnata in modo fortuito, essendo la stessa stata pubblicata su una nota banca-dati “online”, a pochi giorni dalla scadenza del termine di impugnazione.
2. Il motivo è manifestamente infondato.
2.1. Risulta agli atti l’avviso di ricevimento comprovante la notificazione del ricorso in appello al contribuente presso lo “S.L.C.”, recante sia le sottoscrizioni del ricevente e dell’incaricato della distribuzione che la data: “12/1/15”.
3. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e/o falsa applicazione delle norme sulla soggettività passiva in materia di Iva, Irap e sostituzione a titolo di acconto (d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 1, 4 e 5; d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 3; d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 23, 24 e 25).
3.1. Evidenzia il ricorrente che le obbligazioni tributarie alle quali si riferiscono le iscrizioni a ruolo sono sorte in presenza di fattispecie impositive poste in essere dall’Amministratore giudiziario in ragione di un’attività di impresa svolta per conto e nell’interesse della Pubblica Amministrazione. Pertanto, le conseguenze derivanti dall’inadempimento di dette obbligazioni non possono riflettersi sulla posizione di chi è stato solo successivamente reintegrato nel possesso dell’azienda. Ciò vale, non solo con riguardo agli effetti dell’esercizio del potere sanzionatorio, come confermato dallo stesso giudice d’appello, ma anche con riguardo agli effetti dell’esercizio del potere di riscossione, con riferimento al quale, invece, detto giudice ha indebitamente accolto l’appello della parte pubblica.
4. La censura è priva di fondamento, quantunque alla stregua di una motivazione diversa a quella addotta dalla CTR, che dunque necessita di essere corretta nei sensi che si passa ad illustrare.
4.1. Deve premettersi che, nella specie, il quadro normativo applicabile “ratione temporis” – tenuto conto che l’intera vicenda riguardante la sottoposizione del P. a misura di prevenzione reale si è esplicata nel periodo che si estende dal 2002 (con sequestro nel 2002 e confisca nel 2008) al 2010 (con ‘revoca’, “rectius”: ‘annullamentò, della confisca nel 2010) – è quello anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (cod. ant.), recante una disciplina organica (anche) della confisca di prevenzione.
In definitiva, l’assetto normativo rilevante e quello di cui alla L. 31 maggio 1975, n. 575, artt. 2-bis ss., nelle numerose versioni che si sono susseguite in progresso di tempo.
4.2. La CTR, a fondamento della decisione, evoca l’insegnamento, da cui ritiene non esservi ragione di discostarsi, enunciato da Sez. U Pen., n. 57 del 19/12/2006 (dep. 2007), A., Rv. 234955-01.
4.2.1. In tale arresto, le Sezioni unite penali di questa Suprema Corte hanno affermato il principio per cui “il provvedimento di confisca deliberato ai sensi della L. 31 maggio 1975 n. 575, art. 2-ter, comma 3, (disposizioni contro la mafia) è suscettibile di revoca ‘ex tunc’ a norma della l. 27 dicembre 1956, n. 423, art. 7 comma 2, (misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità), allorché sia affetto da invalidità genetica e debba, conseguentemente, essere rimosso per rendere effettivo il diritto, costituzionalmente garantito, alla riparazione dell’errore giudiziario, non ostando al relativo riconoscimento l’irreversibilità dell’ablazione determinatasi, che non esclude la possibilità della restituzione del bene confiscato all’avente diritto o forme comunque riparatorie della perdita patrimoniale da lui ingiustificatamente subita“.
4.2.2. Per comprendere la portata della sentenza A. e la sua irrilevanza nel caso che ne occupa occorre considerare come essa abbia esteso alla confisca l’insegnamento in precedenza affermato da Sez. U Pen., n. 18 del 10/12/1997 (dep. 1998), P., Rv. 21004101, con riferimento “tout court” alle misure di prevenzione. La sentenza P. aveva stabilito – e qui incomincia ad intravedersi la diversità della oggetto sia della stessa sia quindi anche della sentenza A. rispetto al caso che ne occupa – che, non potendo trovare applicazione, nel sistema della prevenzione, siccome testualmente non previsto, l’istituto della revisione penale, il quale, notasi, a termini dell’art. 629 c.p.p., ammette “in ogni tempo a favore dei condannati, nei casi determinati dalla legge, la revisione delle sentenze di condanna o delle sentenze emesse ai sensi dell’art. 444, comma 2, o dei decreti penali di condanna, divenuti irrevocabili, anche se la pena è già stata eseguita o è estinta”, la revoca della l. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 7, comma 2, costituiva mezzo utile allo scopo, in quanto idoneo, non solo a fronteggiare una mutata situazione di fatto, ma altresì a porre rimedio ad un’erronea valutazione ora per allora dei presupposti legittimanti la misura, di guisa da assumere le sembianze, ad un tempo, di revoca “ex nunc” per i profili di adattamento dell’efficacia del provvedimento all’evolvere delle contingenze e di revoca “ex nunc” per i profili di sindacato postumo di legittimità della misura.
4.2.3. Per completezza rilevasi che la necessità dell’estensione alla confisca dell’insegnamento della sentenza P. effettuata dalla sentenza A. nasceva da ciò che, mentre, al momento della sentenza P., era prevista l’applicazione congiunta delle misure personali e di quelle reali, con la legge Rognoni-La Torre, ossia la l. 13 settembre 1982, n. 646, modificativa della l. 31 maggio 1965, n. 575, fu introdotta la cd. pericolosità dei beni ed in parallelo la possibilità dell’apposizione di un vincolo reale suscettibile – giusta le evoluzioni di cui al d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla l. 24 luglio 2008, n. 125, sino alla l. 15 luglio 2009, n. 94 – di aver luogo disgiuntamente dall’applicazione di misure personali.
4.2.4. Nondimeno il punto fermo è che il presupposto per l’applicabilità della revoca della confisca ai sensi della sentenza A. è identico a quello in origine affermato dalla sentenza P., ossia la definitività del provvedimento ablatorio, derivante, come di consueto, dall’esaurimento dei mezzi di impugnazione.
4.3. La revoca di cui si tratta costituisce, pertanto, una conformazione affatto peculiare della revoca propriamente detta: questa produce, a procedimento ancora pendente, fisiologici effetti “ex nunc” a fronte della cessazione o del mutamento della causa che ha determinato la confisca, non ancora definitiva, mentre, a procedimento concluso, produce eccezionali effetti “ex tunc” nei casi che, a termini dell’art. 360 c.p.c., legittimerebbero la revisione della confisca, ormai necessariamente definitiva. La riprova di quel che si va dicendo consiste in ciò che, nel linguaggio sia della dottrina, sia anche della giurisprudenza, la revoca “ex tunc” è indicata, proprio per distinguerla dalla revoca “ex nunc” o revoca “tout court”, come ‘revoca in funzione di revisione’. In effetti, nell’attuale assetto normativo, il d.lgs. n. 159 del 2011, art. 28 ragiona ormai “tout court” di “revocazione della confisca”.
4.4. Tornando, a mente di quanto appena detto, al caso di specie, la ‘revoca’, nel 2010, ad opera della Corte d’appello, della confisca, disposta, nel 2008, dal Tribunale, nei confronti del P., non è una ‘revoca in funzione di revisione’, non emergendo, né dalla sentenza impugnata, né dal ricorso, né dal controricorso, che la confisca era divenuta definitiva. Anzi, il ricorso è esplicito nell’affermare (cfr. in part. il par. 4, p. 2) che “il Geom. P. proponeva appello avverso il decreto sopra indicato ‘sub’ 3”, ossia il decreto di confisca in data 29 novembre 2007-30 gennaio 2008 del Tribunale di Palermo (giust’appunto indicato nel paragrafo immediatamente precedente).
La ‘revoca’ della Corte d’appello – di cui opinano sentenza impugnata, ricorso e controricorso – costituisce dunque, in realtà, mera conseguenza dell’ ‘annullamento’ in grado d’appello, a seguito di impugnazione pacificamente ordinaria, del provvedimento di confisca assunto ad esito del primo grado di giudizio (cd. confisca non definitiva).
4.5. Ai sensi, infatti, della l. n. 575 del 1965, art. 3ter, comma 2, nella versione originaria, ossia nella versione di detto articolo risultante dall’aggiunta disposta dalla l. 13 settembre 1982, n. 646, art. 15 si prevedeva che “le impugnazioni contro (i) provvedimenti (indicati nel comma 1)” – ossia “i provvedimenti con i quali il tribunale, a norma degli artt. 2-ter e 3-bis, dispone, rispettivamente, la confisca dei beni sequestrati, la revoca del sequestro ovvero la restituzione della cauzione o la liberazione delle garanzie o la confisca della cauzione o la esecuzione sui beni costituiti in garanzia” – “sono regolate dalle disposizioni della l. 27 dicembre 1956, n. 1423, commi quinto, sesto, settimo e ottavo dell’art. 4”. Nondimeno, in forza delle modifiche risalenti alla fine degli anni ‘80 del secolo scorso (l. 3 agosto 1988, n. 327, artt. 10, comma 1, e d.l. 14 giugno 1989, n. 230, 5, comma 2, convertito, con modificazioni, dalla l. 4 agosto 1989, n. 282), al riportato comma 3 è stata effettuata un’aggiunta, a termini della quale “i provvedimenti che dispongono la confisca dei beni sequestrati, la confisca della cauzione o l’esecuzione sui beni costituiti in garanzia diventano esecutivi con la definitività delle relative pronunce”. Donde, tenuto conto che gli originari commi quinto, sesto, settimo e ottavo della l. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4 in seguito medesimamente rimasti gli ultimi quattro commi dell’art. 4 in parola, disciplinavano le impugnazioni dinanzi alla corte d’appello (“anche per il merito”) e poi dinanzi alla Corte di cassazione, si chiarisce la ragione per la quale la confisca disposta dal Tribunale ben poteva considerarsi, non solo non definitiva, ma soprattutto non esecutiva, giacché, a seguitare a produrre effetti, era in realtà solo l’originario sequestro.
4.5.1. Ne derivava – così come oggi concettualmente seguita a derivarne (cfr. il secondo periodo del d.lgs. n. 159 del 2011, comma 2, dell’art. 27 da leggersi in combinato disposto con il comma 3-bis del medesimo articolo, che significativamente recita: “I provvedimenti della corte di appello che, in riforma del decreto di confisca emesso dal tribunale, dispongono la revoca del sequestro divengono esecutivi dieci giorni dopo la comunicazione alle parti, salvo che il procuratore generale, entro tale termine, ne chieda la sospensione alla medesima corte di appello. In tal caso, se la corte entro dieci giorni dalla sua presentazione non accoglie la richiesta, il provvedimento diventa esecutivo; altrimenti l’esecutività resta sospesa fino a quando nel procedimento di prevenzione sia intervenuta pronuncia definitiva”) – una caratterizzazione della confisca non definitiva quale passaggio, bensì rilevante a fini procedimentali, in quanto comportante tra l’altro il subentro dell’Agenzia Nazionale all’Amministratore giudiziario nella custodia (salva la possibilità per la prima di mantenere il secondo nelle funzioni) e legittimante eventuali alienazioni per la soddisfazione del ceto creditorio, ma meramente ‘intermediò sul piano ablativo, in funzione della (futura) ricostituzione del diritto, a titolo originario, e perciò senza vincoli ed oneri, in capo all’Erario.
4.6. A questo punto, l’intrinseca ‘provvisorietà’ ed ‘instabilità’ della confisca non definitiva, poiché suscettibile, come accaduto nella specie, di ‘caducazione’ – e non di ‘revoca in funzione di revisione’, ai sensi, in passato, della l. n. 1423 del 1956, art. 7 comma 2, e, ora del d.lgs. n. 159 del 2011, art. 28 – a seguito di eventuale ‘annullamento’ del decreto del Tribunale da parte della Corte d’appello, rende ragione della natura dell’amministrazione del compendio appreso dalla procedura sul fondamento dell’originario sequestro – in capo all’Agenzia Nazionale e per essa all’Amministratore giudiziale – alla stregua di un’amministrazione “in incertam personam” (o per conto di chi spetta), secondo uno schema analogo a quello predicato dal diritto civile classico in rapporto all’eredità giacente (art. 529 c.c.).
4.6.1. Invero, nella prevenzione, se la confisca non definitiva si consolida in definitiva, poiché confermata dalla corte d’appello e dalla corte di cassazione, si realizza l’ablazione del diritto, con contestuale sua ricostituzione in capo all’Erario, a cagione di ciò estinguendosi per confusione (e non per compensazione: cfr., oggi, “apertis verbis”, l’art. 50, comma 2, cod. ant.) i debiti tributari erariali; se invece la confisca non definitiva non si consolida in definitiva, poiché viene annullato, con decisione irrevocabile, il decreto che la dispone, si risolve ‘ora per allora’ il vincolo già risalente – con meri effetti anticipatori – al sequestro, imponendo la restituzione del compendio (o dell’equivalente, in caso di autorizzate alienazioni) al proposto.
Quest’ultimo, per l’effetto, rientra nella disponibilità di tutti i rapporti, attivi ma anche passivi, nella consistenza risultante dalla gestione per suo conto “medio tempore” effettuata, di cui non ha mai dismesso la titolarità, posto che la confisca, come visto, acquisiva prima, ed acquisisce ora, esecutività ‘ablatoria’ solo con la definitività.
4.7. Proprio in funzione dell’incertezza relativamente alla definitiva spettanza del compendio incombe all’Amministratore giudiziario, tra sequestro e confisca non definitiva, e all’Agenzia Nazionale ovvero per essa, ancora, all’Amministrazione giudiziario, tra confisca non definitiva e provvedimento conclusivo del giudizio divenuto irrevocabile, sicuramente, e doverosamente, di adempiere alle incombenze dichiarative e di liquidare le imposte, ma altresì, nei limiti delle risorse e delle autorizzazioni, di assolvere ai debiti tributari insorti durante la gestione. Attualmente, ne offre conferma, per le imposte dirette, l’art. 51, comma 2, il quale infatti dispone che “se il sequestro si protrae oltre il periodo d’imposta in cui ha avuto inizio, il reddito derivante dai beni sequestrati relativo alla residua frazione di tale periodo e a ciascun successivo periodo intermedio è determinato ai fini fiscali in via provvisoria dall’amministratore giudiziario, che è tenuto, nei termini ordinari, al versamento delle relative imposte, nonché agli adempimenti dichiarativi e, ove ricorrano, agli obblighi contabili e a quelli previsti a carico del sostituto d’imposta (…)”.
4.8. In forza di quanto precede, in caso di restituzione del compendio al proposto, i pagamenti che, ancorché traenti titolo nelle dichiarazioni regolarmente presentate, non abbiano potuto essere effettuati, ridondano in pregiudizio del medesimo, siccome compiuti per suo conto e (a differenza di quanto ritenuto in ricorso) nel suo ‘postumo’ (ancorché eventuale) interesse.
4.9. Le superiori considerazioni possono essere condensate nel principio di diritto che si procede ad enunciare:
In tema di assoggettamento del patrimonio del contribuente a misura di prevenzione ai sensi della l. n. 575 del 1965 e succ. mod., qualora il provvedimento di confisca “medio tempore” emesso dal Tribunale sia stato annullato dalla Corte d’appello, tenuto all’assolvimento delle obbligazioni scaturenti dall’omesso versamento di tributi risultanti dalle dichiarazioni annuali presentate dall’amministratore giudiziario, il quale non abbia potuto provvedere ai pagamenti, è il contribuente, atteso che, non avendo questi dismesso la titolarità del diritto, l’amministrazione del compendio, attivatasi sul fondamento dell’originario sequestro, che a sua volta seguita a spiegare efficacia sino alla definitività della decisione sulla revoca, è svolta “in incertam personam”, o per conto di chi spetta, e dunque anche nell’interesse del medesimo, una volta che, per effetto della revoca, sia restituito “in bonis”.
5. In conclusione, la decisione adottata dalla CTR nella sentenza impugnata è legittima, ancorché debba correggersene la motivazione nel senso che, versandosi in ipotesi di annullamento da parte della Corte d’appello del decreto di confisca non definitiva, non vengono in rilievo i portati della sentenza Adduino circa la valenza “ex tunc” della ‘revoca in funzione di revisione’, ma gli effetti conseguenti a detto annullamento, consistenti nella restituzione del compendio confiscato, e già sequestrato, al proposto, nella consistenza attuale, risultante cioè dagli esiti dell’amministrazione “medio tempore”, per suo conto e nel suo ‘postumo’ interesse, effettuata: ragion per cui egli è responsabile dei debiti tributari insorti per effetto delle dichiarazioni presentate in corso di amministrazione e successivamente nei suoi confronti recuperati, in quanto debiti che non abbiano potuto dal dichiarante essere regolati.
6. Ritiene il Collegio che l’estrema complessità della materia oggetto del secondo, preponderante, motivo di ricorso, acuita dal riferimento ad un quadro normativo anteriore al d.lgs. n. 159 del 2011, in uno all’assenza di precedenti specifici, consenta di compensare tra le parti, per l’intero, le spese del presente grado di giudizio.
6.1. Il rigetto del ricorso comporta, nondimeno, la dichiarazione di sussistenza dei presupposti per la corresponsione del cd. Doppio contributo unificato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Compensa integralmente tra le spese del presente grado di giudizio.
Ai sensi del d.p.r. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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