CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 dicembre 2021, n. 39806

Tributi – IRPEF – Redditometro – Disponibilità di auto di lusso incongruente con il reddito dichiarato – Liberalità del fratello – Onere di prova – Contratto di comodato – Registrazione successiva all’accertamento – Valenza probatoria – Esclusione

Rilevato che

C. M. ha chiesto la cassazione della sentenza n. 6582/12/2014, depositata il 2.07.2014 dalla Commissione tributaria regionale della Campania, sez. staccata di Salerno.

Ha riferito che a seguito di verifica condotta ex art. 38, comma 4, del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, l’Agenzia delle entrate aveva rideterminato il suo reddito per l’anno d’imposta 2006, chiedendo il pagamento della somma complessiva di € 54.757,00. Alla rideterminazione l’Ufficio era pervenuto per la constatata disponibilità di automobili (una Bentley Continental GT ed una Aston Martin Vanquish), il cui valore d’acquisto e manutenzione appariva incongruente con il reddito dichiarato dal contribuente, di professione infermiere.

Contestando i presupposti dell’atto impositivo, e sostenendo che i redditi necessari all’acquisto ed al mantenimento delle autovetture erano riconducibili al fratello, il ricorrente adì la Commissione tributaria provinciale di Avellino, che con sentenza n. 144/01/2012 accolse parzialmente le sue ragioni. La pronuncia fu impugnata da entrambe le parti, ciascuna per quanto soccombente, dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Campania che, con la sentenza ora al vaglio della Corte, rigettò l’appello principale del C., accogliendo invece quello incidentale della Amministrazione finanziaria. Il giudice regionale ha ritenuto che le spese sostenute dal C. non fossero giustificate dalla documentazione allegata, considerata priva di valenza probatoria.

Il ricorrente ha censurato la decisione affidandosi a due motivi, cui ha resistito l’Agenzia delle Entrate con controricorso.

Nell’adunanza camerale del 28 settembre 2021 la causa è stata trattata e decisa sulla base degli atti depositati dalle parti.

Considerato che

Il ricorrente si duole:

con il primo motivo della violazione e falsa applicazione dell’art. 38, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dell’art. 2728 cod. civ., dell’art. 53 Costituzione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., quanto al governo delle prove ed all’omesso esame della capacità contributiva del fratello del contribuente;

con il secondo motivo della violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2729 cod. civ., dell’art. 115 cod. proc. civ., dell’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 3, parte seconda, della tariffa allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., quanto alla valenza probatoria dei documenti allegati al processo a supporto delle proprie ragioni.

I due motivi possono essere trattati congiuntamente perché con essi, sotto il profilo dell’errore di diritto e sotto l’aspetto del vizio di motivazione, il contribuente pretende di dimostrare che le prove allegate erano idonee a superare la presunzione di maggior reddito deducibile dall’applicazione dell’accertamento sintetico mediante redditometro, per essere i fondi impiegati nell’acquisto e manutenzione delle autovetture nella disponibilità del fratello.

Va chiarito che questa Corte, in tema di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche, ha affermato che la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva. Resta invece a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass., 19 aprile 2013, n. 9539; 10 agosto 2016, n. 16912; 31 ottobre 2018, n. 27811). Qualora tale allegazione avvenga già in sede di contraddittorio endoprocedimentale, spetta alla Amministrazione finanziaria esaminare le giustificazioni del contribuente e valutare se, ed entro quali limiti, quelle prove rendano compatibile gli indici di spesa con il reddito dichiarato. Se l’Amministrazione ritiene di escluderne, in tutto o in parte, la rilevanza e completezza, deve darne atto in motivazione. Ciò vale in ogni caso in sede contenziosa, ed in tale ottica si è anche affermato che «…Al fine del più ampio rispetto del principio costituzionale di capacità contributiva, nel processo, che sia instaurato a seguito di accertamenti sintetici e induttivi per la determinazione dell’obbligazione fiscale del soggetto giuridico d’imposta, costituisce principio a tutela della parità delle parti quello secondo cui all’inversione dell’onere della prova, che impone al contribuente l’allegazione di prove contrarie a dimostrazione della inesistenza del maggior reddito attribuito dall’Ufficio, deve seguire, ove a quell’onere di allegazione il contribuente abbia provveduto, un esame analitico da parte dell’organo giudicante, che non può pertanto limitarsi a giudizi sommari, privi di ogni riferimento alla massa documentale entrata nel processo. Il principio, a garanzia della parità e del regolare contraddittorio processuale per la corretta definizione del rapporto giuridico d’imposta, è tanto più pervasivo quanto più si rifletta sulla limitazione di accesso nel settore tributario ai mezzi di prova, in parte inibiti dall’art. 7, comma 4, d.lgs. n. 546 del 1992» (Cass., 8 ottobre 2020, n. 21700).

Con riguardo poi alla prova di cui il contribuente è onerato, la giurisprudenza ha identificato le fonti economiche che possono giustificare la spesa, circoscrivendone peraltro i confini entro cui esse assumono efficacia di prova contraria ai fattori-indice di capacità contributiva evidenziati dalla Amministrazione finanziaria. Per quanto qui d’interesse, si è in particolare chiarito che la prova contraria ivi ammessa, richiedendo la dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso, da parte del contribuente, di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, implica un riferimento alla complessiva posizione reddituale dell’intero suo nucleo familiare, costituito dai coniugi conviventi e dai figli, soprattutto minori, atteso che la presunzione del loro concorso alla produzione del reddito trova fondamento, ai fini dell’accertamento, nel vincolo che li lega (cfr. Cass., 7 marzo 2014, n. 5365; 21 novembre 2019, n. 30355). Valorizzandosi peraltro la qualità del vincolo, minor rilievo assume la circostanza della convivenza, quando in sé considerata, così escludendosi la desumibilità da quest’ultima del possesso di redditi prodotti da un parente diverso o da un affine, in quanto tale estraneo al nucleo familiare (Cass., 5365/2014, cit.). Nella ricerca di un filo logico, lungo cui spiegare una ricostruzione giuridica che non prescinda dagli aspetti pratici e dalle ricadute di un accertamento di tipo induttivo sul rapporto tra contribuente e fisco, si è anche avvertito che nell’accertamento sintetico del reddito, quando il contribuente deduca che la spesa sia frutto di liberalità o di altra provenienza, deve fornire adeguata prova documentale non solo della disponibilità all’interno del nucleo familiare di tali redditi, ma anche della loro entità e della durata del possesso, ancorché non sia tenuto a dimostrare la specifica destinazione alle spese contestate (Cass., 28 marzo 2018, n. 7757; 13 novembre 2018, n. 29067; 4 agosto 2020, n. 16637).

Deve inoltre allegare documenti che abbiano data certa (sulla certezza della data della scrittura privata in materia tributaria ex multis cfr. Cass., 11 aprile 2014, n. 8535; 27 luglio 2018, n. 20035; 5 marzo 2021, n. 6159). Deve in altri termini offrire la tracciabilità delle fonti di spesa, pervenute nella propria disponibilità, ma che siano comunque escluse dalla formazione della base imponibile. Si tratta di un orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, cui questo Collegio intende dare continuità.

Perimetrato l’alveo entro cui, nelle controversie su accertamenti induttivi fondati su indici di spesa, il giudice è tenuto a valutare il materiale probatorio confluito nel processo, dalla lettura della sentenza impugnata è dato evincere che la Commissione regionale ha esaminato partitamente la documentazione allegata dal contribuente a giustificazione delle spese formalmente incompatibili con il reddito dichiarato, concludendo per l’inidoneità di quella documentazione. Il percorso argomentativo del giudice d’appello è corretto e conforme ai principi giuridici.

Correttamente quel collegio ha evidenziato che il contratto di comodato, registrato in data successiva alla notificazione dell’avviso di accertamento, era privo di rilevanza ai fini probatori. Con orientamento consolidato questa Corte ha affermato che l’assenza nell’art. 2704, primo comma, cod. civ., di un’elencazione tassativa dei fatti in base ai quali la data di una scrittura privata non autenticata possa ritenersi opponibile nei confronti dei terzi, consente al giudice di merito di valutare, col suo prudente apprezzamento, se sussiste un fatto, diverso dalla registrazione, che sia idoneo a dimostrare con certezza l’anteriorità della formazione del documento rispetto ad una data determinata (da ultimo cfr. Cass., 21 luglio 2021, n. 20813). Ebbene, a fronte di tale orientamento, cui questo collegio intende dare continuità, a nulla rileva l’invocazione dell’art. 3, Tariffa II, seconda parte, del d.P.R. n. 131 del 1986, che afferisce all’obbligo di registrazione della scrittura privata solo in caso d’uso, prescrizione che tuttavia non ha alcun riflesso sulla valenza probatoria processuale della scrittura medesima per fatti anteriori alla registrazione medesima. E alla postdatazione della registrazione della scrittura di comodato rispetto alla data di notificazione dell’avviso di accertamento il giudice d’appello ha attribuito valore, senza che tale valutazione di fatto, riservata al giudice di merito, possa essere oggetto di critica dinanzi al giudice di legittimità. Parimenti inadeguate si rivelano le ragioni sostenute dalla difesa del contribuente in riferimento alla valenza della dichiarazione resa dal venditore dell’autovettura, attestante che la fattura di acquisto degli autoveicoli fosse stata pagata dal fratello del contribuente. Senza escludere la astratta forza probatoria, quale prova presuntiva, delle dichiarazioni rese da terzi a favore del contribuente, ancorché formate fuori dal processo e dal contraddittorio (in tal senso cfr. Cass., 16 marzo 2018, n. 6616; 19 novembre 2018, n. 29757), resta il fatto che si tratta pur sempre di dichiarazioni dal valore indiziario, la cui valutazione, unitamente ad altri indizi, va comunque rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito nel caso concreto. E nel caso di specie al giudice d’appello è risultato inspiegabile perché gli asseriti pagamenti, in parte con permuta -di una autovettura pure intestata all’odierno contribuente-, ed in parte in contanti per cifre rilevanti (€ 85.000,00) dovessero essere dimostrati mediante la dichiarazione del concessionario d’auto e non attraverso la tracciabilità bancaria dei pagamenti stessi. Le argomentazioni del collegio regionale sono tutt’altro che illogiche e non pertinenti. Se poi con le proprie difese il ricorrente ha inteso sollecitare una rivalutazione degli elementi indiziari allegati a giustificazione degli incongrui indici di spesa rilevati dalla Amministrazione finanziaria, la richiesta sarebbe inammissibile perché inibito in sede di legittimità ogni riesame del merito della controversia.

Il ricorso deve essere dunque rigettato. All’esito del giudizio segue la soccombenza del ricorrente nelle spese processuali, che si liquidano nella misura specificata in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquidano in € 3.800,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.