CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 gennaio 2019, n. 614
Lavoro – Dipendente postale – Trasferimento – Illegittimità – Mancata dimostrazione delle ragioni tecniche, organizzative e produttive
Rilevato che
La Corte d’appello di Roma confermava la pronuncia di primo grado che aveva accertato l’illegittimità del trasferimento intimato dalla s.p.a. Poste Italiane alla dipendente L. D. G. dalla sede di Roma a quella di Afragola, ed ordinato la sua riammissione nell’originario posto di lavoro.
La Corte territoriale a fondamento del decisum osservava, per quanto in questa sede rileva, che la società, nel dare esecuzione ad una sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva ritenuto la nullità del termine apposto al contratto di lavoro inter partes, ordinandone la riammissione nel posto di lavoro, aveva invitato il lavoratore a riprendere servizio in una sede diversa da quella di provenienza.
Argomentava al riguardo che siffatta assegnazione configurava a carico della società un inadempimento contrattuale, concretando un illegittimo trasferimento per mancata dimostrazione delle ragioni tecniche, organizzative e produttive che giustificano il provvedimento, non essendo al riguardo idonea la mera elencazione delle sedi eccedentarie prodotta in giudizio.
Precisava la Corte che, pur potendosi ritenere valido l’accordo sindacale del 29/7/2004 disciplinante i casi di riammissione in servizio in esecuzione di pronunce giudiziali, la società non aveva “allegato e dimostrato le circostanze di fatto in base alle quali poter affermare che sia stata correttamente seguita la procedura indicata dal predetto accordo sindacale”. Non aveva fornito, in particolare, alcuna specificazione circa il periodo cui si sarebbe riferita la dedotta eccedenza di organico presso gli uffici di Roma, se al momento della sentenza, quello dell’invito a riprendere servizio, o quello della effettiva riammissione in servizio; né era stata dimostrata l’impossibilità di fare ricorso agli altri criteri di priorità che indicavano in sequenza gli uffici siti nella medesima provincia, nella medesima regione e nelle regioni limitrofe. Da ultimo, la Corte rimarcava che la lavoratrice aveva in dettaglio indicato i lavoratori a tempo determinato riammessi in servizio in uffici siti nel comune di Roma, in provincia di Roma e nella Regione Lazio successivamente alla declaratoria di illegittimità del termine, ed anche successivamente alla riammissione in servizio, ma che su tali circostanze Poste Italiane non avevano fornito adeguate spiegazioni.
Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione Poste Italiane s.p.a. affidato a tre motivi ai quali resiste la lavoratrice con controricorso, successivamente illustrato da memoria.
Considerato che
1. Con il primo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 comma primo n. 3 c.p.c.
Ci si duole che la Corte distrettuale, nel l’afferma re il principio secondo cui l’onere della prova relativa alla sussistenza delle ragioni organizzative e tecnico-organizzative sottese al trasferimento, sia a carico della parte datoriale, abbia trascurato i dieta della Corte di legittimità secondo i quali l’onere probatorio relativo alla vacanza del posto grava sulla parte interessata al trasferimento in altra sede. Si rammenta che, nello specifico, la lavoratrice non aveva chiesto in alcun modo di provare la sussistenza di posti vacanti presso l’ufficio postale di originaria applicazione.
2. Il motivo è privo di fondamento.
Secondo l’insegnamento di questa Corte, l’ottemperanza del datore di lavoro all’ordine giudiziale di riammissione in servizio, a seguito di accertamento della nullità dell’apposizione di un termine al contratto di lavoro, implica il ripristino della posizione di lavoro del dipendente, il cui reinserimento nell’attività lavorativa deve quindi avvenire nel luogo precedente e nelle mansioni originarie, a meno che il datore di lavoro non intenda disporre il trasferimento del lavoratore ad altra unità produttiva, e sempre che il mutamento della sede sia giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive, fermo restando che, ove sia contestata la legittimità del trasferimento, il datore di lavoro ha l’onere di allegare e provare in giudizio le fondate ragioni che lo hanno determinato e, se può integrare o modificare la motivazione eventualmente enunciata nel provvedimento, non può limitarsi a negare la sussistenza dei motivi di illegittimità oggetto di allegazione e richiesta probatoria della controparte, ma deve comunque provare le reali ragioni tecniche, organizzative e produttive che giustificano il provvedimento (vedi Cass. 9/8/2013 n. 19095).
Va quindi ribadito che in tema di mutamento della sede di lavoro, sebbene il provvedimento di trasferimento non sia soggetto ad alcun onere di forma e non debba necessariamente contenere l’indicazione dei motivi, né il datore di lavoro abbia l’obbligo di rispondere al lavoratore che li richieda, ove sia contestata la legittimità del trasferimento, il datore di lavoro ha l’onere di allegare e provare in giudizio le fondate ragioni che lo hanno determinato e, se può integrare o modificare la motivazione eventualmente enunciata nel provvedimento, non può limitarsi a negare la sussistenza dei motivi di illegittimità oggetto di allegazione e richiesta probatoria della controparte, ma deve comunque dimostrare le reali ragioni tecniche, organizzative e produttive che giustificano il provvedimento (vedi, ex plurimis, Cass. 13/1/2017 n. 807).
3. Orbene, gli approdi ai quali è pervenuta la Corte di merito in tema di ripartizione dell’onere probatorio circa la legittimità del trasferimento, conformi agli enunciati e condivisi principi, si sottraggono alla critica formulata, che si è limitata a porre richiamo al dictum emesso sul tema, ben diverso rispetto a quello delibato in questa sede, attinente alla domanda di trasferimento proposta dal lavoratore ai sensi dall’art. 33, quinto comma, della legge n.104 del 1992 per la quale l’onere probatorio attinente alla sussistenza della vacanza e della disponibilità del posto, siccome concernente i fatti costitutivi del diritto al trasferimento di sede, compete al lavoratore attore.
4. Con il secondo motivo si prospetta omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 comma primo n. 5 c.p.c. e violazione degli artt.115-116 c.p.c. Ci si duole che la Corte territoriale, nel ritenere che la società avrebbe dovuto indicare in sequenza gli uffici siti nella medesima provincia, nella medesima regione ed in quelle limitrofe, aveva tralasciato di considerare i documenti prodotti ed allegati alla memoria di costituzione di primo grado, dai quali si desumeva che tutte le filiali della Regione Lazio presentavano eccedenze che non consentivano l’utile allocazione di ulteriore personale. Si deduce, quindi, che i giudici del gravame avrebbero dovuto valutare la legittimità del trasferimento e la sussistenza delle ragioni organizzative e produttive con riferimento al momento della riammissione in giudizio.
5. Il motivo presenta profili di inammissibilità e si palesa comunque infondato.
La Corte distrettuale infatti, all’esito della disamina dei dati documentali acquisiti e dando atto della validità dell’accordo sindacale, con articolata motivazione ha argomentato che la società non aveva fornito alcuna specificazione circa il periodo cui era riferibile l’eccedenza presso gli uffici del comune di Roma, né sul fatto che in tutti gli uffici postali vi fosse un’eccedenza superiore al 109%; con l’ulteriore precisazione che neanche era stata dimostrata l’impossibilità di fare ricorso agli altri criteri di priorità contemplati dall’accordo sindacale, che indicavano in sequenza gli uffici siti nella medesima provincia, nella medesima regione e nelle regioni limitrofe.
Tale essendo il tessuto motivazionale che innerva l’impugnata sentenza, non può negarsi che ci si trovi al cospetto di un accertamento di merito insuscettibile di sindacato, in considerazione degli stringenti limiti dell’interpretazione offerta, in relazione al n. 5 art. 360 comma primo cod. proc. civ., dalle Sezioni Unite di questa Corte con le sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014 (con principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite, v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici).
Le Sezioni Unite hanno infatti affermato su tale norma che: a) la disposizione deve essere interpretata, alla Iure dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 disp. prel. c.c., come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciatale in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; b) il nuovo testo introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia); c) l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie; d) la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, primo comma, n. 6), c. p. c. e 369, secondo comma, n. 4), c. p. c. – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso.
La motivazione della sentenza impugnata che ha esaminato funditus il materiale probatorio acquisito, non risponde, per quanto sinora detto, ai requisiti della assoluta omissione o della irredimibile contraddittorietà che ne avrebbe giustificato il sindacato in sede di legittimità.
La conclusioni alle quali sono pervenuti i giudici del gravame sulla questione considerata, in ogni caso, sono esenti da critiche perché conformi ai principi affermati da questa Corte, che vanno qui ribaditi, alla cui stregua in materia di trasferimento di dipendenti postali, il rispetto degli accordi 29 luglio e 15 ottobre 2004, che prevedono specifici criteri per individuare la collocazione dei lavoratori già assunti a termine riammessi in servizio presso sedi cd. eccedentarie, non vale ad esonerare la società Poste Italiane s.p.a. dalla prova delle ragioni tecniche, produttive ed organizzative legittimanti il singolo trasferimento, ai sensi dell’art. 2103 c.c. nel testo, “ratione temporis” applicabile, anteriore alle modifiche di cui al d.lgs. n. 81 del 2015 (vedi per tutte, Cass. 13/3/2017 n. 6407).
6. La terza critica concerne l’omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 comma primo n. 5 c.p.c.
Si nega la fondatezza della statuizione con cui la Corte aveva dato atto della indicazione da parte della G., di numerosi lavoratori a tempo determinato riammessi in servizio nel comune di Roma, in tempi diversi e successivi sia alla pronuncia di accertamento della nullità del termine apposto al contratto inter partes, sia al provvedimento di riammissione in servizio, in relazione ai quali si era dedotta la mancata allegazione da parte societaria, di alcuna adeguata spiegazione.
Posto che il momento da considerare ai fini della valutazione del presupposto di eccedentarietà della sede era quello della riammissione in servizio, nella specie verificatosi nel marzo 2007, irrilevanti erano da considerarsi le deduzioni formulate dalla lavoratrice, perché concernenti riammissioni in servizio nel periodo aprile-luglio 2007, di personale peraltro addetto anche a mansioni diverse da quelle alle quali era stata adibita la G., come dedotto in entrambi i gradi del giudizio di merito.
7. Il motivo non è ammissibile, perché ha ad oggetto una statuizione della pronuncia impugnata inidonea a configurare una ragione autonoma della decisione che era fondata sull’inadempimento della parte datoriale all’onere probatorio concernente la sussistenza delle ragioni organizzative,, tecniche e/o produttive che avrebbero giustificato il trasferimento.
Ed invero, come questa Corte insegna, è inammissibile, in sede di giudizio di legittimità, il motivo di ricorso che censuri un’argomentazione della sentenza impugnata svolta “ad abundantiam”, e pertanto non costituente una ” ratio decidendi” della medesima. Infatti, un’affermazione siffatta, contenuta nella sentenza di appello, che non abbia spiegato alcuna influenza sul dispositivo della stessa, essendo improduttiva di effetti giuridici non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse (vedi da ultimo, Cass. 10/4/2018 n. 8755).
8. In definitiva, al lume delle superiori argomentazioni, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza, con distrazione in favore dell’avv. R. R.
Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1 co 17 L. 228/2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 DPR 115/2002) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15%, ed accessori di legge da distrarsi in favore dell’avv. R. R.
Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater d.p.r. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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