CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 giugno 2021, n. 16701
Tributi – Accertamento – Redditi di capitale di provenienza estera – Quantificazione – Criteri
Rilevato che
1. La vicenda oggetto della presente controversia, così come narrata nella sentenza impugnata dinanzi a questa corte di legittimità, trae origine da due avvisi di accertamento e da altrettanti atti di contestazione emessi dall’Agenzia delle entrate nei confronti G.G., con i quali venivano recuperati a tassazione maggiori imposte ai fini Irpef, Irap ed Iva per gli anni 2003 e 2004. Nella ricostruzione in fatto della vicenda, la commissione tributaria regionale espone che nel luglio 2008 le autorità fiscali inglesi avevano inviato alle autorità fiscali italiane una richiesta di informazioni sulla posizione fiscale in Italia del G. che, a far data dal maggio 1997, aveva trasferito la sua residenza da Torino a Londra; che l’Agenzia delle entrate, valutata la posizione fiscale del G., riteneva sussistente la domiciliazione in Italia e, di conseguenza, emetteva un avviso di accertamento per l’annualità 2003 ed un altro per l’annualità 2004, con i quali assoggettava a tassazione il reddito percepito in Inghilterra dal contribuente, come consulente di una società farmaceutica svizzera, nonché le disponibilità bancarie estere facenti capo al G..
2. G.G. impugnava tali avvisi innanzi alla Commissione provinciale di Torino che, con sentenza n. 73/07/2010, previa riunione dei procedimenti, li respingeva.
3. La Commissione Regionale del Piemonte (di seguito, CTR), con la sentenza qui impugnata, in accoglimento dell’appello del contribuente, confermava la sentenza dei primi giudici sull’ assoggettabilità ad imposizione fiscale del G. in quanto soggetto non residente all’estero, mentre la riformava nella parte riguardante la quantificazione della disponibilità estera ai fini dell’imposta sostitutiva sui redditi di capitale e della sanzione ex art. 4, comma 1 e 5 d.l. n. 167 del 1990, affermando che la tassazione presuntiva sul reddito di capitale era dovuta limitatamente alle somme percepite dall’appellante negli anni oggetto di accertamento.
4. L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
5. G.G., nonostante la ritualità della notifica del ricorso, è rimasto intimato.
Considerato che
1. Con il primo mezzo, la ricorrente amministrazione deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 38 d.P.R. 29/09/1973 n. 600, 2697 cod. civ. e 6 del 28/06/1990 n. 167, nella parte in cui la CTR ha ritenuto l’erroneità del metodo di calcolo utilizzato dall’Ufficio per la disponibilità estera da sottoporre a tassazione.
1.2. Col secondo mezzo deduce la nullità della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ., là dove ha fatto uso, nell’esprimere il suo giudizio, a scienza privata.
1.3. Col terzo, deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ., là dove la CTR non ha considerato il passaggio in giudicato della decisione di inammissibilità del ricorso recante il numero di ruolo generale 1111/09 e della conseguenziale conferma dell’avviso ad esso relativo, senza che per esso fosse possibile rideterminare le sanzioni.
2. Il primo mezzo è fondato e va accolto.
2.1. La ricorrente amministrazione erariale ha esposto in ricorso (pag. 6) che per determinare il reddito dal G. per gli anni 2003 e 2004, ha sommato gli emolumenti percepiti dal sig. G. nel periodo compreso tra il 1998 (anno di inizio dell’attività di consulente per A. s.a. avente sede in Gran Bretagna) fino al 2003, emolumenti confluiti tutti sul conto corrente acceso presso la banca inglese “N.B.” e che, sulla somma così risultante, ha applicato il tasso medio ufficiale di sconto applicato in Italia per ciascun periodo di imposta di cui al d.l. 28/06/1990 n. 167.
2.2. Dalla motivazione dell’avviso di accertamento, riportata per estratto alla pagina 2 del ricorso, risulta che l’imposta è stata calcolata sui redditi di capitale di provenienza estera; l’avviso motiva che «per i soggetti di cui all’art. 4 del d.l. 28/06/1990 n. 167, le somme in denaro costituite all’estero, senza che ne risultino dichiarati i redditi effettivi, si presumono, salva prova contraria, fruttiferi», e che i pagamenti effettuati in esecuzione del contratto di consulenza con s.a. A., per gli anni 1998-2003, sono stati eseguiti sul conto corrente bancario detenuto nel Regno unito dal G. presso la N.B.. L’avviso di accertamento, dopo aver riportato i pagamenti effettuati sul conto corrente del G. dal 1998 al 2003 e i tassi d’interesse applicati, evidenzia che poiché i periodi permanenza del G. in Inghilterra erano stati limitati nel tempo «è ragionevole presumere che quegli importi siano rimasti pressoché integri sul conto inglese per cui può presumersi che alla data del 21.12.2003 il G. disponesse di una consistenza bancaria pari alla somma degli importi incassati dalla società svizzera, somma che in quanto fruttifera, ha costituito, insieme agli interessi, il reddito di capitale da tassare».
2.3. La CTR ha ritenuto non corretto l’operato dell’Ufficio che ha «presunto che il sig. G. avrebbe non solo omesso i redditi percepiti negli anni 2003 e 2004 bensì anche quelli dal 1998 al 2003 (per l’anno di imposta 2003) e dal 1998 al 2004 (per l’anno di imposta 2004), pur non oggetto di accertamento, in quanto presumibilmente rimasti integri sul conto bancario»; viceversa, secondo l’assunto della CTR, poiché l’accertamento era limitato agli anni 2003-2004, solo questi ultimi avrebbero dovuto essere oggetto di calcolo per l’imposta sostituiva. Vieppiù, la circostanza che il G. avesse figli e moglie e svolgesse una vita anche con attività di svago e relazione, ha indotto la CTR a ritenere, secondo l’id quod plerumque accidit, che il contribuente avesse speso per sé e la sua famiglia parte dei proventi di cui all’attività di consulenza.
3. Come risulta dalla motivazione dell’avviso su riportata, il G. è stato interessato alla verifica fiscale ai sensi del disposto di cui all’art. 4, comma 1, d.l. 28/06/1990 n. 167, che prevede che «Le persone fisiche, gli enti non commerciali, e le società semplici ed equiparate ai sensi dell’articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, residenti in Italia che al termine del periodo d’imposta detengono investimenti all’estero ovvero attività estere di natura finanziaria, attraverso cui possono essere conseguiti redditi di fonte estera imponibili in Italia, devono indicarli nella dichiarazione dei redditi».
3.1. E’ evidente, dunque che, trattandosi di redditi di capitale non dichiarati, la motivazione che ha sorretto l’avviso di accertamento sull’integrità delle somme versate sui conti correnti inglesi e sulla fruttuosità dell’importo risultante dalla somma dei pagamenti effettuati in esecuzione del contratto di consulenza, appare idonea a sorreggere la presunzione a favore dell’Ufficio.
3.2. Ed infatti, è opinione comune che rientrano nella categoria dei redditi di capitale solamente i frutti dell’investimento (capitale) e che, pertanto, la tassazione di tali redditi avvenga “a lordo”, ovvero senza la possibilità per il contribuente di detrarre eventuali spese sostenute per la produzione del reddito. Ciò in quanto la produzione del reddito di capitale prescinde dallo svolgimento di un’attività da parte del contribuente, essendo, invece, una conseguenza naturale ed “automatica” della fruttuosità del “capitale”.
3.3. Tali considerazioni inducono a ritenere che la CTR ha erroneamente applicato le regole di riparto dell’onere della prova tra le parti, ex art. 2697 cod. civ., come pure ha violato gli artt. 2727 e 2729 c.c., in tema di presunzioni, potendosi, anche con un unico indizio, se preciso e grave, integrare la fattispecie di cui all’art. 2729 cod. civ. (Cass., 9 agosto 2002, n. 12060, in tema di accertamento sintetico ai sensi dell’art. 38 comma 4 del d.P.R. n. 600 del 1973; Cass. 30/05/2018, n. 13602; Cass., 14/02/2014, n. 3445; Cass., 08/10/2020, n. 21700).
La CTR avrebbe dovuto verificare l’eventuale prova contraria offerta dal contribuente se idonea oppur non – entro i limiti della tassazione a lordo – a superare la presunzione a favore dell’Ufficio.
4. Anche il secondo mezzo è fondato.
4.1. La CTR ha fondato la sua decisione di parziale accoglimento dell’appello sull’apprezzamento di fatti, ritenuti favorevoli al contribuente – quali l’esistenza di una famiglia estesa nonché l’attività di svago e di relazione (la pesca di altura in Florida e la collezione di pesci) svolte dal contribuente – per dedurne logicamente, secondo l’id quoad plerumque accidit, che lo stesso avesse speso, per sé e per la sua famiglia, parte dei proventi, rendendo così non corretto il calcolo dell’Ufficio.
4.2. Fermo quanto sopra evidenziato circa la “tassazione a lordo” dei redditi di capitale, quanto alle nozioni di comune esperienza, questa Corte ha chiarito che esse, poiché riguardano fatti acquisiti alla conoscenza della collettività, possono costituire argomenti di prova solo se abbiano in sé un grado di oggettività e di certezza, sì da apparire indubitabili ed incontestabili; per converso, quando tali fatti implicano cognizioni particolari ovvero nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice, poiché determinano l’esercizio di un potere discrezionale, essi possono comportare la violazione dell’art. 115, comma 2, cod. proc. civ. là dove il giudice ne abbia fatto positivamente uso e non anche ove non abbia ritenuto necessario avvalersene, venendo in tal caso la censura ad incidere su una valutazione di merito insindacabile in sede di legittimità (Cass., 20/03/2019, n. 7726; Cass., 20/02/2020, n. 4428; Cass., 31/08/2020, n. 18101).
4.3. Alla luce di tali principi, il riferimento alla famiglia del contribuente e alle sue attività di svago quali sicure fonti di spesa, come fatti idonei ad intaccare l’entità delle somme di denaro depositate presso la banca inglese, appare una valutazione non pertinente, in quanto priva dei caratteri dell’ indubitabilità e dell’incontestabilità sui cui avrebbe dovuto reggersi il giudizio, risultando, invece, un apprezzamento proprio del giudice, tale da determinare la violazione denunciata.
5. Il terzo ed ultimo motivo pure è fondato.
5.1. Come risulta anche dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata, nel corso del giudizio di primo grado, l’Agenzia delle entrate aveva eccepito l’inammissibilità del ricorso del Signor G. con riferimento all’atto di contestazione R31C00300562 perché proposto oltre il termine di 60 giorni e tale eccezione era stata accolta dalla Commissione tributaria provinciale che, di conseguenza, dichiarava inammissibile II ricorso proposto avverso tale atto di contestazione e recante il n. RG 1111/09.
5.2. Avverso tale pronuncia il contribuente non ha proposto gravame con la conseguenza che su di essa si è formato il giudicato interno. Ha errato, dunque, la CTR a non considerare tale giudicato nella parte in cui ha statuito, per tutti gli atti di contestazione (v. sentenza, pagg. 4 e 5: «l’esattezza del calcolo dell’ufficio non è suffragato da alcuna prova, il cui onere incombeva sull’ A.F. : ciò porta il collegio ad annullare gli atti in parte qua laddove non riferiti ai redditi prodotti e/o comunque riferibili ai soli anni d’imposta 2003 e 2004 mandando all’Ente impositore il calcolo d’imposta e le sanzioni come ridotte salvo il diritto di ripetizione delle somme già eventualmente versate dal contribuente») essere dovuta la tassazione presuntiva sul reddito di capitale limitatamente alle somme percepite dall’ appellante negli anni oggetti di accertamento.
5.3. In conclusione, il ricorso va interamente accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR del Piemonte, in diversa composizione, affinché proceda ad un nuovo esame della controversia alla luce dei principi su esposti.
5.4. La CTR in sede di rinvio, è tenuta a provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione regionale del Piemonte, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.