CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 novembre 2022, n. 33658

Lavoro – Appalto illecito – Interposizione fittizia di manodopera – Declaratoria di nullità – Messa in mora della società datrice – Differenze retributive – Detraibilità delle somme versate dall’appaltatore formale datore di lavoro – Esclusione

Rilevato che

1. la Corte d’Appello di Roma, decidendo sul gravame proposto da C. S.p.A. avverso la sentenza del Tribunale di Frosinone che aveva respinto opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto da L.R., in parziale riforma della sentenza impugnata, revocava il decreto opposto e condannava la società a pagare all’appellato la somma inferiore di € 5.408,60 a titolo di differenze retributive per il periodo gennaio-aprile 2012, oltre accessori;

2. si tratta di retribuzione non corrisposta per il periodo in cui il lavoratore, ottenuta una sentenza di accertamento di interposizione fittizia di manodopera per appalto illecito, aveva messo in mora l’azienda senza tuttavia percepire la retribuzione dovuta; la Corte d’Appello, in sintesi, dopo aver ritenuto che tali somme avessero natura retributiva sulla scorta dell’insegnamento di Cass. S. U. n. 2990/2018, ha escluso che le somme versate nel periodo oggetto di controversia dall’appaltatore formale datore di lavoro potessero costituire aliunde perceptum detraibile, avendo natura retributiva e non risarcitoria, pur riducendo la somma portata dal decreto ingiuntivo opposto a seguito di parziale riforma, con riguardo al solo inquadramento, della sentenza presupposta di declaratoria dell’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti;

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società soccombente con unico articolato motivo; ha resistito con controricorso L.R., il quale ha altresì comunicato memoria con la quale dà atto, tra l’altro, del passaggio in giudicato delle sentenze rese nel giudizio presupposto a seguito di pronuncia di questa Corte n. 4548/2022;

Considerato che

1. la società ricorrente denuncia: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, legge n. 1369 del 1960 e degli artt. 29, comma 3 bis, e 27, comma 2, del d. lgs n. 276 del 2003 (art. 360, n. 3, c.p.c.)”; si argomenta che la sentenza impugnata avrebbe errato ove non ha tenuto conto dell’’incidenza liberatoria dei pagamenti ricevuti dall’odierno controricorrente nel periodo oggetto di ingiunzione a titolo di retribuzione per lo svolgimento di attività di lavoro subordinato prestato a favore di soggetto diverso da C.;

2. la censura è infondata; il Collegio intende dare continuità alla pronuncia n. 27988/2021 intervenuta tra le stesse parti per questione analoga riguardante mensilità precedenti, le cui motivazioni qui si richiamano;

3. come insegnano le Sezioni unite di questa Corte (sent. n. 2990/2018): “La declaratoria di nullità dell’interposizione di manodopera per violazione di norme imperative e la conseguente esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato determina, nell’ipotesi in cui per fatto imputabile al datore di lavoro non sia possibile ripristinare il predetto rapporto, l’obbligo per quest’ultimo di corrispondere le retribuzioni al lavoratore a partire dalla messa in mora decorrente dal momento dell’offerta della prestazione lavorativa, in virtù dell’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003, che non contiene alcuna previsione in ordine alle conseguenze del mancato ripristino del rapporto di lavoro per rifiuto illegittimo del datore di lavoro e della regola sinallagmatica della corrispettività, in relazione agli artt. 3, 36 e 41 Cost.“; nella pronuncia si osserva che “a partire dalla sentenza con cui il giudice dichiara la nullità della interposizione di manodopera, a fronte della messa in mora (offerta della prestazione lavorativa) e della impossibilità della prestazione per fatto imputabile al datore di lavoro (il quale rifiuti illegittimamente di ricevere la prestazione), grava sull’effettivo datore di lavoro l’obbligo retributivo”; che, infatti, “dal rapporto di lavoro, riconosciuto dalla pronuncia giudiziale, discendono gli ordinari obblighi a carico di entrambe le parti ed, in particolare, con riguardo al datore di lavoro, quello di pagare le retribuzioni, e ciò anche nel caso di mora credendi e, quindi, di mancanza della prestazione lavorativa per rifiuto di riceverla”;

4. in ossequio al principio, proprio in materia di appalto illecito, si è considerato che, diversamente opinando, committente ed appaltatore potrebbero tranquillamente proseguire il contratto nullo senza conseguenza alcuna, in dispregio della legge, della sentenza, che risulterebbe inutiliter data, della messa a disposizione (a favore del committente) delle energie lavorative da parte del lavoratore e del diritto pur vittoriosamente da lui fatto valere in giudizio (in termini, da ultimo, Cass. n. 22798/2020); il principio è stato applicato anche in caso di accertata illegittimità della cessione di ramo d’azienda, per cui le retribuzioni corrisposte dal destinatario della cessione, che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore successivamente alla messa a disposizione di questi delle energie lavorative in favore dell’alienante, non producono un effetto estintivo, in tutto o in parte, dell’obbligazione retributiva gravante sul cedente che rifiuti, senza giustificazione, la controprestazione lavorativa, argomentandosi anche l’inoperatività dell’art. 1180 c.c. (tra molte: Cass. n. 17784 e 21158 del 2019); sancita la natura retributiva e non risarcitoria delle somme da erogarsi ai lavoratori da parte dell’inadempiente, non trova applicazione il principio della “compensatio lucri cum damno” su cui si fonda la detraibilità di quanto altrimenti percepito (Cass. n. 21160 del 2019);

5. neanche soccorre la tesi di parte ricorrente il passaggio della sentenza delle Sezioni unite citata in cui, ai fini dell’incidenza liberatoria del pagamento effettuato da un terzo, si richiamano le disposizioni contenute nel d. lgs. n. 276 del 2003, laddove all’art. 27, comma 2 (previsto in materia di somministrazione irregolare ma richiamato anche dall’art. 29, comma 3-bis, in tema di appalto illecito), si stabilisce che: “tutti i pagamenti effettuati dal somministratore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata“; ma la disposizione si riferisce evidentemente ai “pagamenti” effettuati dal soggetto somministratore o appaltatore rispetto al quale è stata accertata la somministrazione irregolare ovvero l’appalto illecito e non ai pagamenti effettuati dal qualsiasi altro datore di lavoro che abbia retribuito il dipendente in adempimento di una obbligazione propria, restando irrilevanti, stante l’inoperatività del principio della “compensatio lucri cum damno“, le somme eventualmente percepite dal lavoratore per rapporti di lavoro diversi da quello con il soggetto appaltatore che era parte dell’appalto dichiarato illecito; pertanto, la pretesa della ricorrente di detrarre dall’importo dovuto a titolo di retribuzioni le somme percepite per il lavoro prestato dal R. alle dipendenze di altro datore di lavoro e non dal soggetto rispetto al quale è stato accertato l’appalto illecito è, come ritenuto dalla Corte territoriale, infondata;

6. conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo; occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17,1. n. 228 del 2012 (Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020)

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese liquidate in € 2.000,00, oltre € 200,00 per esborsi, spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.