CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 giugno 2021, n. 17312

Tributi – Accertamento – Reddito di impresa – Determinazione – Rettifica rimanenze iniziali – Onere dell’amministrazione di riliquidare in via automatica le rimanenze finali dell’anno precedente – Esclusione

Rilevato che

l’Agenzia delle Entrate ricorre con due motivi contro A.V.M. A. S.r.l., in fallimento per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 3544/44/2014, pronunciata in data 19 maggio 2014, depositata in data 1 luglio 2014 e non notificata, che ha rigettato l’appello dell’ufficio, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa dell’avviso di accertamento per maggiori Ires, Iva ed Irap a seguito della rettifica delle rimanenze iniziali dell’anno 2009, senza procedere alla rettifica delle dichiarazioni per gli anni 2008 e 2010;

con la sentenza impugnata, per quanto ancora di interesse, la C.t.r. richiamava il principio della continuità dei valori di bilancio, per cui le rimanenze finali di un esercizio costituiscono le rimanenze iniziali dell’esercizio successivo, nonché l’art. 92, comma 7, del T.u.i.r., secondo cui le rimanenze finali di un esercizio nell’ammontare indicato dal contribuente costituiscono le esistenze iniziali dell’esercizio successivo e l’art. 110, comma 8, del medesimo testo unico, secondo cui la rettifica da parte dell’ufficio delle valutazioni fatte dal contribuente in un esercizio ha effetto anche per gli esercizi successivi;

secondo il giudice di appello, in caso di contestuale controllo di più periodi di imposta, se l’ufficio rettifica le giacenze di un periodo d’imposta, è tenuto a considerare nella stessa nuova misura le corrispondenti rimanenze del periodo d’imposta attiguo, non potendo limitarsi a contestare soltanto la componente di reddito sfavorevole al contribuente, perché la scelta del legislatore è quella di considerare i vari esercizi nella logica automatica di uno sviluppo senza soluzione di continuità;

la C.t.r. ha anche richiamato la giurisprudenza di legittimità, che, con la sentenza n.28016/2009, ha stabilito che l’accertamento per violazione della competenza fiscale è nullo ove non abbia cagionato alcun danno all’erario, come sarebbe avvenuto nel caso di specie, in cui il rilievo riguarda la valutazione delle rimanenze di magazzino;

secondo il giudice di appello, nella fattispecie al suo esame, al di là del fatto che la valutazione finale del magazzino era stata certificata dalla perizia asseverata del dott. S.G. in € 2.941.893,00 e che nella dichiarazione dei redditi dell’anno di riferimento era stato indicato il valore coincidente di € 2.941.895,00, la ripresa dell’ufficio era riferita alla rettifica delle rimanenze iniziali di magazzino, che il contribuente aveva indicato in €.5311.682,00 quali rivenienti dall’esercizio 2008;

tuttavia, l’esercizio precedente non era stato oggetto di accertamento da parte dell’ufficio, per cui il dato relativo alle rimanenze finali, in ossequio al principio della continuità di bilancio, sarebbe divenuto definitivo;

il giudice , infine, richiamando il processo verbale di constatazione redatto in data 13/05/2011 da parte della Guardia di Finanza, evidenziava che, al secondo capoverso, era scritto testualmente: <<riguardo al valore delle giacenze iniziali di magazzino (al 01.01.2009),invece, i militari manifestano le seguenti perplessità…>>, il che, secondo la C.t.r, dimostrerebbe come già i verbalizzanti non fossero sicuri di quello che stavano accertando e come l’ufficio abbia emesso pedissequamente gli avvisi di accertamento per relationem senza effettuare un’analisi critica dei fatti contestati e giungere a proprie fondate conclusioni, in ciò spogliandosi dei poteri di accertamento e rendendo nullo l’accertamento che recepisce acriticamente il p.v.c.; a seguito del ricorso, il contribuente è rimasto intimato;

il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 25 marzo 2021, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n. 197;

il P.G. T. B. ha depositato requisitoria scritta, con cui ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

Considerato che

con il primo motivo, l’Agenzia ricorrente denunzia la violazione degli artt. 7, 92 e 110 d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.;

secondo la ricorrente, la C.t.r. avrebbe erroneamente ritenuto, come già aveva fatto la C.t.p., che, in virtù del principio di continuità dei valori contabili, l’Ufficio non potesse rettificare il valore delle rimanenze iniziali relative ad un periodo di imposta senza modificare anche le rimanenze finali relative al periodo precedente e che, pertanto, l’omessa rettifica del valore di queste ultime precludesse la possibilità di rettificare il valore delle rimanenze iniziali, dei periodo successivo;

con il secondo motivo, la ricorrente denunzia la violazione degli artt. 42 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 e 7 I. 27 luglio 2000 n. 212, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.;

secondo la ricorrente, la C.t.r. avrebbe altresì errato nel ritenere nullo l’avviso di accertamento che, come nel caso di specie, si limiti a recepire acriticamente le risultanze del presupposto P.V.C. della Guardia di Finanza, dal momento che è legittimo che l’ufficio, nell’emanare un avviso di accertamento, ritenga di condividere e recepire in toto le risultanze del P.V.C. della Guardia di Finanza, già portato a legale conoscenza del contribuente, come avvenuto nel caso di specie, senza necessità di compiere alcuna attività accertativa e/o valutativa nuova e diversa, rimanendo impregiudicato il diritto di difesa del contribuente; i motivi sono fondati e vanno accolti;

con riferimento al primo motivo, in linea generale, questa Corte ha affermato il principio secondo cui <<in tema di determinazione del reddito d’impresa, trova applicazione il principio della cd. continuità di bilancio sancito dall’art. 92 del d.P.R. n. 917 del 1986, con la conseguenza che le rimanenze finali di un esercizio costituiscono esistenze iniziali di quello successivo, fermo restando, peraltro, il potere dell’Amministrazione finanziaria, in sede di accertamento, di rideterminare il valore delle rimanenze medesime>> (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 22932 del 26/09/2018);

l’art. 92 comma 7 d.p.r. 917/1986, prevede che << Le rimanenze finali di un esercizio nell’ammontare indicato dal contribuente costituiscono le esistenze iniziali dell’esercizio successivo>>;

come rilevato da questa Corte con ordinanza n. 29347/2020, tale articolo deve essere posto in relazione all’art. 110, comma 8, d.p.r. 917/1986, che dispone che <<la rettifica da parte dell’ufficio delle valutazioni fatte dal contribuente in un esercizio ha effetto anche per gli esercizi successivi>>;

pertanto, in tal caso, l’ufficio deve tener conto delle rettifiche operate e deve procedere a modificare di conseguenza le valutazioni relative agli esercizi successivi;

l’art. 110 T.u.i.r., dunque, sancisce il principio della continuità dei valori di bilancio, ponendo l’obbligo a carico dell’ufficio accertatore di tenere conto del maggior valore attribuito alle rimanenze anche negli esercizi successivi (Cass., sez. 5, 26 settembre 2018, n. 22932, citata);

nel caso di specie, in cui l’Agenzia delle entrate ha accertato l’insussistenza di parte delle rimanenze iniziali di magazzino, ben può incidere sulle stesse, senza che vi sia violazione del principio della continuità dei valori di bilancio;

infatti, se è vero che, in caso di rettifica del valore delle rimanenze finali di un esercizio, l’Ufficio deve provvedere automaticamente a rettificare e riliquidare la dichiarazione dei redditi relativa all’anno successivo, senza che, a questo fine, si renda necessaria una qualunque attivazione da parte del contribuente e a prescindere da una specifica attività di accertamento avente ad oggetto tale periodo d’imposta, tuttavia, non è vero il contrario;

in altri termini, accertate dall’ufficio le rimanenze all’inizio del 2009, non per questo – stante il principio di autonomia dei periodi di imposta, sancito dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 7, – devono essere considerate dello stesso valore anche le giacenze dell’esercizio precedente;

inoltre, come questa Corte ha già avuto modo di chiarire, in caso di definizione del valore delle rimanenze iniziali di un periodo di imposta, l’Agenzia delle entrate mantiene, comunque, il diritto/potere di rettificare il valore delle rimanenze finali dell’esercizio precedente (Cass., sez. 5, 12 settembre 2012, n. 15250);

passando al secondo motivo, come questa corte ha già precisato, <<in tema di avviso di accertamento, la motivazione per relationem con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio>> (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 32957 del 20/12/2018);

nel caso di specie, il motivo è fondato, in quanto l’avviso di accertamento fa riferimento al p.v.c. della G.d.F., già noto al contribuente e sufficientemente analitico e chiaro in ordine alla contestazione relativa alla rettifica delle rimanenze iniziali dell’anno 2009;

in conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla C.t.r. della Lombardia, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità;

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.t.r. della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.