CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 26484 depositata il 13 settembre 2023
Tributi – Avvisi di accertamento – IRES – IRAP – IVA – Accertamento analitico-induttivo – Sottofatturazione – Art. 92, comma 7, del D.P.R. n. 917/1986 – Determinazione del reddito d’impresa – Principio della continuità di bilancio – Contabilità formalmente regolare ma inattendibile – Evasione di imposta – Accoglimento
Rilevato che
1. Con sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna n. 1725/4/2016 veniva rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Parma n. 21/1/2012, la quale aveva a sua volta accolto il ricorso introduttivo notificato alla società (…) S.r.l., ora in liquidazione, società esercente attività di compravendita di autoveicoli; il processo aveva ad oggetto tre avvisi di accertamento con i quali l’Amministrazione finanziaria riprendeva nei confronti della società maggiori II.DD. (IRES e IRAP), IVA sanzioni e accessori per le annualità 2005, 2006 e 2007.
2. Le riprese traevano origine da un accertamento analitico-induttivo ex art. 39 comma 1 lett. d) del D.P.R. n. 600/73 nell’ambito del quale veniva contestata alla contribuente la sottofatturazione nei suddetti periodi di imposta, sulla base delle rilevate differenze tra rimanenze finali e iniziali rispettivamente indicate in bilancio e nel libro inventari della società in tale arco temporale.
3. Il giudice di prime cure annullava gli atti impositivi, accogliendo la preliminare censura sollevata dalla società di violazione dell’art. 12, comma 7, l. n. 212/2000, per ritenuto mancato rispetto del contraddittorio procedimentale obbligatorio, oltre che, nel merito, per l’assenza di gravità, precisione e concordanza delle presunzioni addotte dall’Agenzia. Il giudice d’appello riteneva superabile la questione, trattandosi di accertamento originato da verifiche c.d. “a tavolino” e in assenza di superamento della c.d. “prova di resistenza” quanto all’IVA, ossia allegazione circostanziata di violazione dell’effettivo diritto di difesa, ma, nel merito, riteneva infondata la prospettazione dell’Amministrazione finanziaria.
4. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia deducendo un unico motivo, cui ha replicato la contribuente con controricorso.
Considerato che
5. In via preliminare, la controricorrente eccepisce l’inammissibilità del ricorso di controparte relativamente alle annualità 2005 e 2006 per presunta acquiescenza dell’Ufficio alla sentenza di primo grado e in applicazione del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c.. Secondo la società, dal momento che in primo grado aveva lamentato la violazione dell’art. 12, comma 7, della l. n. 212/2000 e il ricorso era stato accolto sotto tale profilo e che l’Agenzia avrebbe proposto appello limitatamente all’annualità 2007, sarebbe maturato il giudicato interno per gli anni di imposta 2005 e 2006.
6. L’eccezione è infondata, in quanto l’appello ha investito tutte e tre le annualità e i corrispondenti avvisi di accertamento e la sentenza della CTR ne dà chiaramente conto sia nella motivazione (“L’appello è, come detto, infondato nel merito. Rileva l’Agenzia che nei bilanci 2005, 2006, 2007 (…)”, cfr. p.6 sentenza) sia nel dispositivo che conferma integralmente la sentenza di primo grado, relativa a tutti i periodi di imposta.
7. Viene quindi eccepita l’inammissibilità del ricorso quanto a tutte le annualità oggetto di giudizio, in applicazione del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c. per acquiescenza ai sensi dell’art. 346 c.p.c.. In buona sostanza secondo la società, dal momento che ha riproposto nelle controdeduzioni in appello tutte le questioni rimaste assorbite in primo grado e che l’Agenzia non avrebbe preso posizione a riguardo, sarebbe maturata l’acquiescenza su tutte tali questioni, inclusa la “carenza di delega dell’ufficio a svolgere l’accertamento relativamente agli anni 2005 e 2006” come si legge a pag.10 del controricorso.
8. L’eccezione è inammissibile per difetto di specificità, dal momento che la Corte non è messa in alcun modo in grado di valutare se e come l’Agenzia abbia preso posizione sulle questioni addotte dalla controricorrente.
9. Con un unico motivo di ricorso, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, viene dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 39 comma 1 lett. d) D.P.R. n. 600/73, 2697 e 2729 c.c. da parte della sentenza impugnata, nella parte in cui ritiene che l’impianto dell’accertamento sarebbe carente quanto alla prova della sottofatturazione, dedotta presuntivamente dall’Agenzia muovendo dalla alterazione della contabilità pacificamente posta in essere dalla società nei tre anni di imposta.
10. Il motivo è fondato.
L’art. 92, comma 7, del d.p.r. n. 917/1986, prevede che “Le rimanenze finali di un esercizio nell’ammontare indicato dal contribuente costituiscono le esistenze iniziali dell’esercizio successivo”. Inoltre, in generale, questa Corte ha affermato il principio secondo cui “in tema di determinazione del reddito d’impresa, trova applicazione il principio della cd. continuità di bilancio sancito dall’art. 91 del d.p.r. n. 917 del 1986, con la conseguenza che le rimanenze finali di un esercizio costituiscono esistenze iniziali di quello successivo, fermo restando, peraltro, il potere dell’Amministrazione finanziaria, in sede di accertamento, di rideterminare il valore delle rimanenze medesime” (Cass. n. 22932/2018).
11. Nel caso di specie, è pacifica la discrasia accertata dall’Agenzia delle entrate tra il dettaglio delle rimanenze iniziali indicate nel libro inventario e i dati inseriti in bilancio e nella dichiarazione dei redditi della società. La contabilizzazione di rimanenze finali in misura superiore a quella reale e dettagliata nell’inventario ha creato un’apparenza di minor volume delle vendite, idonea a fondare la presunzione di occultamento dei ricavi ai fini delle II.DD. e di mancato versamento dell’IVA corrispondente. Questa alterazione nelle scritture si è protratta per tutti gli anni di imposta oggetto di contestazione incidendo tra l’altro nel riporto dei dati da un’annualità alla successiva.
12. Pertanto, premesso che la misura della ripresa analitica-induttiva è questione di merito, non pertinente è il ragionamento condotto dal giudice d’appello sul principio di neutralità ai fini dell’imposta armonizzata. Infatti, attraverso l’artificio contabile descritto non solo, per il principio di continuità di bilancio, la società ha potenzialmente goduto di un eguale importo da contabilizzare come componente negativo di reddito l’anno successivo, ma ha anche mancato di assolvere l’IVA sui maggiori importi contabilizzati.
Siffatta condotta non risulta giustificata in alcun modo dalla società, se non con il riferimento alla responsabilità del professionista incaricato, profilo che comunque non esime da responsabilità la dichiarante per evidente culpa in eligendo e in vigilando, ed è secondo il Collegio astrattamente idonea a fondare le presunzioni di cui all’accertamento analitico-induttivo ex art. 39, comma 1, lett. d, del D.P.R. n. 600 del 1973. Ciò rileva sia ai fini della determinazione del reddito di impresa per omessa contabilizzazione di ricavi, sia ai fini IVA, in presenza di contabilità formalmente regolare, ma intrinsecamente inattendibile per il comportamento tenuto dalla contribuente che, alterando i valori indicati in bilancio rispetto al dettaglio degli inventari, è pienamente idoneo a generare presunzioni semplici, ossia gravi, precise e concordanti, di evasione di imposta per occultamento di ricavi dovuti alla sottofatturazione.
13. In conclusione il ricorso dev’essere accolto e la sentenza va cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna in diversa composizione in relazione al profilo suddetto e a quelli rimasti assorbiti davanti al giudice del merito, oltre che per il regolamento delle spese di lite.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, in relazione al profilo accolto, a quelli assorbiti e per le spese.