CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 agosto 2022, n. 24894
Lavoro – Contratti definiti fittiziamente di “prestazione d’opera professionale” – Svolgimento di attività di reparto e di ambulatorio – Riconoscimento della natura subordinata dei rapporti di lavoro a termine
Svolgimento del processo
L.D.S., medico specialista in Oftalmologia, ha esposto che:
aveva sottoscritto dal 1° aprile 2003 con l’AUSL di Bologna una serie di contratti definiti fittiziamente di “prestazione d’opera professionale” a termine che prevedevano lo svolgimento di attività di reparto e di ambulatorio nell’ambito della divisione di Oftalmologia dell’Ospedale M. di Bologna;
in realtà, aveva svolto la sua attività con le modalità e le tempistiche del personale di ruolo;
il rapporto era stato rinnovato di scadenza in scadenza;
nel 2005 aveva partecipato ad un concorso pubblico bandito dall’AUSL di Bologna per la copertura di un posto di dirigente medico di Oftalmologia;
l’efficacia della relativa graduatoria, ove essa figurava al 23° posto, era stata prorogata fino al 31 dicembre 2010, ma l’AUSL di Bologna, dopo avervi attinto per scorrimento, non aveva chiamato essa ricorrente, nonostante vi fosse necessità di coprire il suo posto;
l’AUSL di Bologna aveva concluso un accordo con le organizzazioni sindacali con il quale si obbligava ad utilizzare le graduatorie esistenti per la “stabilizzazione del lavoro precario di dirigente medico”;
invece di adempiere all’accordo sindacale e di procedere allo scorrimento della graduatoria esistente ed ancora valida, l’AUSL di Bologna aveva espletato un nuovo concorso per la copertura di sei posti di dirigente;
in seguito al nuovo concorso, dal 31 luglio 2010 era stata assunta con contratto di lavoro a tempo indeterminato.
L.D.S. ha proposto ricorso presso il Tribunale di Bologna in data 24 novembre 2011 con il quale ha chiesto di:
a) accertare e dichiarare il suo diritto a vedere trasformare il rapporto di lavoro a tempo indeterminato a far data, in via gradatamente subordinata:
– dalla prima assunzione (10 aprile 2003);
– dal giorno in cui era divenuta utilizzabile la graduatoria del concorso 2005 all’esito del quale era stata dichiarata idonea (1° gennaio 2006);
– dal verbale di concertazione fra AUSL di Bologna ed organizzazioni sindacali (18 giugno 2008);
– dalla determina con la quale era stata riconosciuta la vacanza di sei posti per medici oftalmologi presso l’AUSL di Bologna o dall’approvazione della graduatoria dell’ultimo concorso (31 marzo 2010);
b) essere esentata dalla prova semestrale;
c) ottenere la ricostruzione giuridica ed economica del rapporto dalle date indicate;
d) ricevere il pagamento delle differenze retributive dovutele;
e) vedere ricostruito il rapporto previdenziale con rimborso delle somme versate all’ENPAM.
Il Tribunale di Bologna, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 1057/2013, ha accolto il ricorso individuando la nuova decorrenza del rapporto dal 31 dicembre 2009 in quanto in tale data sarebbe scaduto il termine utile per la stabilizzazione del suo rapporto di lavoro pattuito con le organizzazioni sindacali.
L.D.S. ha proposto appello.
L’AUSL di Bologna si è costituita e ha proposto appello incidentale.
La Corte d’appello di Bologna, con sentenza n. 726/2015, ha respinto l’appello principale e accolto quello incidentale.
In particolare, la corte territoriale ha ritenuto che:
L.D.S. non avesse richiesto in primo grado il riconoscimento della natura subordinata dei rapporti di lavoro a termine, mentre la relativa domanda avanzata in appello fosse tardiva;
la natura subordinata di tali rapporti non fosse stata provata;
non fossero stati allegati gli indici rivelatori del carattere subordinato del rapporto;
con l’accordo sindacale del 18 giugno 2008 non fosse sorto un diritto soggettivo perfetto in capo alla ricorrente;
la graduatoria nella quale era collocata la ricorrente non fosse più utilizzabile per scorrimento anche perché in essa erano presenti altri soggetti che la precedevano e non erano in rapporto di precariato con l’AUSL di Bologna.
L.D.S. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
L’AUSL di Bologna ha resistito con controricorso.
La ricorrente e l’AUSL di Bologna hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1) Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omesso esame della fattispecie sottoposta a giudizio, l’omessa applicazione della direttiva 1999/70/CE nonché la violazione dell’art. 36 d.lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 2126 c.c. poiché la corte territoriale non avrebbe tenuto conto che nelle conclusioni di primo grado aveva espressamente domandato la trasformazione del suo rapporto di lavoro a tempo indeterminato sul presupposto di avere sempre svolto la propria attività in regime di subordinazione.
Inoltre, essa afferma di avere articolato, in primo grado, delle istanze istruttorie e di avere depositato documenti per dimostrare la natura subordinata del rapporto in questione ove fosse stato contestato (circostanza, però, non verificatasi).
L.D.S. si duole, poi, del fatto che la Corte d’appello di Bologna non abbia considerato che essa aveva rappresentato che i lavoratori a tempo determinato non potevano ricevere un trattamento deteriore rispetto a quello dei dipendenti a tempo indeterminato in violazione della direttiva 1999/70/CE e che, comunque, aveva svolto le stesse mansioni dei dipendenti di ruolo.
D’altronde, la sua stessa stabilizzazione (incontestata) dimostrava che l’attività da lei svolta era stata di natura subordinata.
2) Con il secondo motivo la ricorrente contesta la falsa applicazione di accordi collettivi, la violazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001 e l’omesso esame della fattispecie sottoposta a giudizio perché la corte territoriale non avrebbe tenuto conto che la stessa documentazione allegata dall’AUSL di Bologna provava la natura sostanzialmente dipendente dell’attività da lei svolta.
In particolare, venivano in rilievo l’accordo sindacale sottoscritto dall’AUSL di Bologna il 18 giugno 2008 ed il protocollo regionale del 30 luglio 2007, entrambi volti alla stabilizzazione del rapporto per eliminare l’illegittima apposizione del termine ai rapporti di lavoro e non alla formazione di un nuovo rapporto di lavoro (la stessa AUSL di Bologna avrebbe definito il suo rapporto di lavoro “a tempo determinato”).
3) Con il terzo motivo la ricorrente lamenta l’omesso esame della fattispecie sottoposta a giudizio e la falsa applicazione degli artt. 345 ss. c.p.c., nonché la falsa applicazione dei contratti collettivi e la violazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001 in quanto la corte territoriale avrebbe errato nel non riconoscere l’esistenza di un suo diritto soggettivo perfetto a fare data dall’accordo del 2008.
4) I motivi, da trattare congiuntamente in quanto intrinsecamente connessi, sono infondati.
La corte territoriale ha basato la propria pronuncia di diniego del riconoscimento di un rapporto di lavoro ad initio subordinato su una duplice ratio decidendi:
a) la relativa domanda era nuova rispetto al petitum di cui al giudizio di primo grado;
b) non erano stati allegati gli elementi essenziali e gli indici rivelatori del carattere subordinato del rapporto di lavoro de quo che, peraltro, dall’istruttoria di causa non risultava dimostrato.
Le doglianze di L.D.S., ancorché idonee a rappresentare che, in effetti, la natura subordinata (fin dall’origine) della relazione lavorativa in esame era stata affermata sin dal giudizio di prime cure, non sono sufficienti, però, a superare il difetto di allegazione summenzionato.
Inoltre, la ricorrente non ha riportato il contenuto del verbale di udienza del giudizio di primo e di secondo grado, avente ad oggetto le prove sulla sussistenza della subordinazione, asseritamene ritenute non necessarie, trovando applicazione, quindi, in ordine alla prova per testi, l’indirizzo giurisprudenziale (sviluppatosi con riguardo al rito ordinario di cognizione, ma pacificamente applicabile, con i necessari adattamenti, a quello lavoro) per il quale, in sede di ricorso per cassazione, qualora il ricorrente intenda lamentare la mancata ammissione da parte del giudice di appello della prova testimoniale – non avvenuta in primo grado perché superflua e riproposta in secondo grado – egli deve dimostrare, a pena di inammissibilità, di avere ribadito la richiesta istruttoria in sede di precisazione delle conclusioni davanti al giudice di appello (Cass., Sez. 3, n. 22883 del 13 settembre 2019).
L.D.S. non ha neppure dedotto di avere chiesto, all’udienza di discussione, al Tribunale di Bologna e alla Corte d’appello di Bologna di ammettere la prova per testi da essa articolata, con la conseguenza che le doglianze concernenti questo aspetto della vicenda processuale sono inammissibili nella presente sede.
Quanto alla documentazione richiamata nel ricorso a pagina 11, si evidenzia la genericità della sua menzione, senza che sia stata riportata la collocazione della stessa nei fascicoli di primo e di secondo grado.
Infatti, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. – quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU S. e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 – non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, con la conseguenza che la parte non può essere obbligata a trascrivere integralmente gli atti e documenti posti a fondamento del ricorso. Peraltro, affinché il detto principio sia rispettato è necessario che nel ricorso sia quantomeno puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (Cass., SU, n. 8950 del 18 marzo 2022) il che, nella specie, non è avvenuto.
Per ciò che concerne, poi, il riferimento all’accordo sindacale sottoscritto dall’AUSL di Bologna il 18 giugno 2008 ed al protocollo regionale del 30 luglio 2007, entrambi asseritamente volti alla stabilizzazione del rapporto per eliminare l’illegittima apposizione del termine ai rapporti di lavoro, si sottolinea la non decisività di tale documentazione, non idonea a dimostrare che proprio nel caso della ricorrente fosse stata riconosciuta dall’AUS.1 di Bologna la natura subordinata dei rapporti di lavoro a termine.
Privo di pregio è il richiamo alla direttiva europea 1999/70/CE, in mancanza di prova dell’originaria natura subordinata del rapporto di lavoro a termine.
Allo stesso modo, la circostanza che la ricorrente fosse stata stabilizzata non comporta automaticamente che essa fosse titolare da prima di un rapporto di lavoro subordinato a termine.
D’altra parte, come affermato da questa Corte di cassazione in una controversia analoga (Cass., Sez. L, n. 33419 dell’11 novembre 2021), non esiste una stabilizzazione con assunzione diretta sic et simpliciter (che sarebbe costituzionalmente illegittima: Corte cost., nn. 67 e 69 del 3 marzo 2011) considerato che, in materia di pubblico impiego privatizzato, i processi di stabilizzazione sono effettuati – in presenza dei requisiti soggettivi previsti – nei limiti delle disponibilità finanziarie e nel rispetto delle disposizioni in tema di dotazioni organiche e di programmazione triennale del fabbisogno.
Ne deriva che, in assenza dei presupposti, non è configurabile un diritto soggettivo alla stabilizzazione – escludendosi, pertanto, l’esistenza di qualsivoglia diritto di natura risarcitoria in capo ai suoi potenziali destinatari – né un diritto alla proroga dei contratti a termine in scadenza, ammissibile solo nell’ipotesi di concreta possibilità di definire utilmente la procedura finalizzata alla trasformazione del rapporto a tempo indeterminata.
Le assunzioni, in presenza delle indicate condizioni, avvengono solo a fare data dalla stipula del contratto dopo la nomina dei vincitori di concorso ovvero dopo lo scorrimento della graduatoria, non potendovi essere né assunzioni retrodatate né trasformazioni di rapporto.
La Corte d’appello di Bologna ha pure sottolineato che la procedura di regolarizzazione sarebbe dovuta avvenire entro la fine del 2010 e che, dunque, la ricorrente non poteva dolersi di un ritardo nella sua attuazione.
Nella fattispecie, inoltre, non poteva esservi alcuna retrodatazione del rapporto per effetto del concorso per la stabilizzazione conclusosi nel 2005, in relazione al quale lo scorrimento era stato possibile solo per alcune delle posizioni utili, in quanto, come affermato dalla corte territoriale, dopo queste vi erano candidati idonei non precari e, quindi, non aventi titolo alla stabilizzazione, che precedevano la ricorrente.
L’accordo del 18 giugno 2008 e il menzionato protocollo, pur essendo volti a regolarizzare la posizione dei precari, non potevano, però, giungere ad imporre una modifica di fatto della graduatoria del concorso pubblico del 2005,, danneggiando candidati che avevano più diritto all’assunzione a tempo indeterminato di L.D.S..
La domanda di retrodatazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato alla data dell’accordo del 18 giugno 2008 non può, infine, essere accolta perché le censure di L.D.S. mirano a contrapporre all’interpretazione, offerta dalla corte territoriale, dell’inciso “purché non si pregiudichi il diritto di alcuno” (contenuto nel detto accordo) e della sua incidenza sullo scorrimento delle precedenti graduatorie, una diversa lettura delle clausole dell’intesa citata, senza neppure denunciare correttamente la violazione dei canoni interpretativi.
Ne deriva l’insussistenza del diritto soggettivo vantato dalla ricorrente.
5) Il ricorso è respinto.
Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello prescritto per il ricorso, ove dovuto a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
P.Q.M.
– rigetta il ricorso;
– condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in C 200,00 per esborsi ed C 4.000,00 per compensi, oltre accessori di legge e spese generali in misura del 15%;
– ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d,P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello prescritto per il ricorso, ove dovuto a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
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