CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 febbraio 2021, n. 4361
Tributi – IRPEG – Confidi – Ritenute d’acconto subite su interessi attivi – Eccedenza – Rimborso
Rilevato che
La C. Soc. Coop. per azioni è società cooperativa di garanzia collettiva fidi (Confidi), avente per oggetto della sua attività il rilascio di garanzie fideiussorie a favore delle imprese proprie socie. Esponeva di essere, sotto il profilo soggettivo, soggetto passivo d’imposta in relazione all’art. 87, primo comma, lett. a) del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), nella sua formulazione applicabile ratione temporis, e che oggettivamente l’attività svolta comportava che i proventi percepiti, compresi i corrispettivi per le prestazioni di garanzia rese (escluse da IVA) concorrevano a formare il reddito d’impresa soggetto allora ad IRPEG, previa presentazione della dovuta dichiarazione dei redditi, recante il calcolo delle imposte dovute, e che pertanto gli interessi attivi percepiti, quale Confidi, erano soggetti a ritenuta a titolo di acconto ai sensi dell’art. 26, quarto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
Precisava quindi di non godere di alcuna esenzione da imposta, ma di godere della sola facoltà di sospendere la tassazione degli utili destinati in tutto o in parte alle riserve indivisibili, ai sensi dell’art. 12 della I. 16 dicembre 1977, n. 904, a condizione che fosse esclusa la possibilità di distribuire le somme destinate alle riserve indivisibili tra i soci sotto qualsiasi forma, sia durante la vita dell’ente che al suo scioglimento.
Avendo quindi la società registrato per l’anno 1995, rispetto all’IRPEG dovuta, per effetto delle ritenute alla fonte subite sugli interessi attivi percepiti, qualificate a titolo di acconto, un credito di lire 260.605.000, pari ad euro 134.591,25, formulò istanza di rimborso sulla quale, riscontrando istanza ulteriore di sollecito, l’Amministrazione finanziaria emise formale diniego di rimborso.
Detto provvedimento fu impugnato dalla società dinanzi alla Commissione tributaria provinciale (CTP) di Cagliari, che respinse il ricorso.
Avverso la pronuncia di primo grado la contribuente propose appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale (CTR) della Sardegna che, ugualmente, con sentenza n. 14/1/2016, depositata il 21 gennaio 2016, non notificata, rigettò il gravame.
Avverso la sentenza della CTR, in relazione a quanto in questa sede ancora rileva, la società ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
La controversia è stata rimessa alla sezione ordinaria con ordinanza della sezione 6-5, che ha ritenuto, all’esito di memoria depositata da parte ricorrente, non sussistere i presupposti per la definizione del giudizio ex art. 375 cod. proc. civ.
Parte ricorrente ha, in prossimità dell’adunanza camerale fissata dinanzi alla sezione ordinaria su istanza di sollecita trattazione, depositato memoria con costituzione di nuovo difensore, giusta procura speciale depositata in atti, in sostituzione dell’originario difensore deceduto.
Considerato che
1. Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione dell’art. 26, quarto comma, del d.P.R. n. 600/1973, quanto alla natura delle ritenute alla fonte operate sugli interessi attivi dei Confidi in presenza di somme accantonate alle riserve indivisibili in sospensione d’imposta, per effetto della previsione di cui all’art.12, della l. n. 904/1977, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
1.1. Lamentando anche un comportamento contraddittorio dell’Amministrazione finanziaria, che, in assenza di modifiche della normativa vigente, ne aveva dato applicazioni difformi, qualificando dette ritenute alla fonte subite come di acconto, tanto per alcune annualità pregresse (dal 1990 al 1993), quanto per altre successive (2000-2002), riconoscendo quindi il diritto al rimborso, viceversa attribuendo ad esse, per l’annualità oggetto della presente controversia, natura di ritenuta d’imposta, con conseguente diniego di rimborso, la ricorrente ha censurato come erronea in diritto la statuizione della CTR della Sardegna, che, nel confermare la sentenza di primo grado impugnata, ha fatto proprio l’indirizzo espresso da Cass. sez. 5, 14 marzo 2012, n. 4021.
1.2. Detta pronuncia ha affermato che «[i]n tema di imposte sui redditi, le cooperative di garanzia, pur non esercenti un’attività commerciale, sono soggette ad IRPEG ex art. 87, comma 1, lett. a) e b) del d.P.R. n. 917 del 1986 (vigente “ratione temporis”), ma, nel contempo, godono del beneficio concesso dall’art. 12 della legge 16 dicembre 1977, n. 904, in virtù del quale le somme destinate a riserve indivisibili non concorrono a formare il reddito imponibile, a condizione che sia esclusa la possibilità di distribuzione tra i soci. Peraltro, dovendo farsi applicazione del principio in forza del quale la qualificazione delle ritenute si opera sulla base del criterio oggettivo del regime cui è sottoposto il reddito e non di quello soggettivo connesso alla qualità del percettore degli utili, si tratta di una vera e propria esenzione di quel reddito dall’imposizione ai fini IRPEG, e, pertanto, le ritenute operate sui redditi destinati a riserve indivisibili vanno considerate effettuate a titolo di imposta e non possono dare luogo a diritto al rimborso».
2. In primo luogo deve ritenersi infondata l’eccezione formulata dalla difesa erariale d’inammissibilità dell’avverso ricorso per carenza di specificità in relazione al disposto dell’art. 360 bis cod. proc. civ.
Invero – né d’altronde avrebbe potuto ipotizzarsi il contrario, atteso che la sentenza in questa sede impugnata si basa proprio su recente conforme giurisprudenza in materia di questa Corte – il ricorso della società ricorrente dà espressamente atto di siffatto orientamento, non solo sottoponendolo a serrata critica, ma rilevando come lo stesso abbia in realtà segnato un mutamento rispetto a precedente indirizzo della stessa sezione tributaria di questa Corte (del quale, nella pronuncia espressamente citata dalla sentenza della CTR, non vi è traccia), per la cui riaffermazione sono stati offerti argomenti che il collegio ritiene che debbano essere condivisi.
3. Giova premettere che l’art. 26, secondo comma, del d.P.R. n. 600/1973, per quanto qui interessa, prevede che le poste italiane e le banche devono operare una ritenuta, la cui aliquota è stata oggetto nel tempo di plurime variazioni, con obbligo di rivalsa, sugli interessi e altri proventi corrisposti ai titolari di conti correnti e di depositi, anche se rappresentati da certificati.
Il quarto comma dello stesso articolo, nella formulazione applicabile ratione temporis, stabilisce che le ritenute previste nei commi precedenti sono applicate a titolo di acconto, tra l’altro, nei confronti di (lett. c): società ed enti di cui alle lettere a) e b) dell’articolo 87 del TUIR.
3.1. Detta norma (nel testo ante 2004, applicabile, ratione temporis, alla presente controversia), alla lett. a), individua, tra gli enti soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche, le società per azioni e in accomandita per azioni, le società cooperative e le società di mutua assicurazione residenti nel territorio dello Stato.
3.2. L’art. 12 della I. 16 dicembre 1977, n. 904, testualmente dispone che «[f]ermo restando quanto disposto nel titolo III», recante agevolazioni per la cooperazione, «del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601 e successive modificazioni ed integrazioni, non concorrono a formare il reddito imponibile delle società cooperative e dei loro consorzi le somme destinate alle riserve indivisibili, a condizione che sia esclusa la possibilità di distribuirle tra i soci sotto qualsiasi forma, sia durante la vita dell’ente che all’atto del suo scioglimento».
3.3. Infine l’art. 3, comma 1, della I. 18 febbraio 1999, n. 28, ha stabilito che «[l]a disposizione dell’articolo 12, primo comma, della l. n. 904/1977, riguardante l’esclusione delle somme destinate a riserve indivisibili dal reddito imponibile delle società cooperative e dei loro consorzi, deve intendersi nel senso che l’utilizzazione delle riserve a copertura di perdita è consentita e non comporta la decadenza dai benefici fiscali, sempre che non dia luogo a distribuzione di utili fino a quando le riserve non siano state ricostituite».
4. In tale cornice normativa di riferimento la citata Cass. n. 4021/12 (si veda anche Cass. sez. 5, 21 marzo 2012, n. 4509), premesso che le cooperative di garanzia, al pari delle altre società cooperative, fruiscono del beneficio concesso dall’art. 12 della l. n. 904/1977, ha ritenuto – dovendosi fare applicazione del principio in forza del quale la qualificazione delle ritenute ai fini IRPEG va operata sulla base del criterio oggettivo cui è sottoposto il reddito e non di quello soggettivo connesso alla natura di soggetto esente, o meno, rivestita dal contribuente – che la disposizione di cui all’art. 12 succitato della l. n. 904/1977 abbia introdotto «una vera e propria forma di esenzione oggettiva del reddito in parola dall’imposizione IRPEG, con la conseguenza che le ritenute operate sui redditi destinati a riserve indivisibili vanno considerate effettuate a titolo di imposta, e non possono dare luogo, pertanto, a diritto al rimborso».
Nel contesto espositivo della pronuncia in esame, il cui principio di diritto la sentenza della CTR ha posto a base della propria decisione sfavorevole alla Confidi, si fa anche riferimento, quanto alla i qualificazione della ritenuta in termini di “imposta secca”, laddove il reddito non sia assoggettato ad IRPEG, a talune pronunce pregresse ( di questa Corte di legittimità, tra le quali Cass. 1563/07; 13572/07; Cass. n. 4412/10.
5. Il collegio ritiene che debba essere riaffermato in materia l’indirizzo, costantemente in precedenza espresso in materia da questa Corte, nella cornice normativa sopra delineata e riferita al TUIR ante 2004, secondo cui «[l]e società cooperative di garanzia, pur esercitando un’attività che non è considerata “commerciale” ai fini delle imposte sul reddito (art. 20, terzo comma, d.P.R. 1973, n. 598; art. 135 d.P.R. 1986, n. 917) e dell’IVA (art. 4, quinto comma, seconda parte, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633), sono ricomprese tra gli enti assoggettati ad IRPEG a norma dell’art. 2, primo comma, lett. a) del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, cui corrisponde […] l’art. 87, primo comma, lett. a) del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e pertanto le ritenute operate nei loro confronti sugli interessi bancari percepiti, ai sensi dell’art. 26, secondo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, sono da ritenere a titolo di acconto e non a titolo d’imposta, dato l’inequivoco tenore del quarto comma di tale articolo» (cfr., tra le molte, Cass. sez. 1, 12 maggio 1997, n. 4107; Cass. sez. 5, 8 maggio 2000, n. 5786; Cass. sez. 5, 18 novembre 2000, n. 14915; Cass. sez. 5, 14 marzo 2001, n. 3720; Cass. sez. 5, 14 marzo 2001, n. 3725; Cass. sez. 5, 22 novembre 2001, n. 14744; Cass. sez. 5, 13 agosto 2004, n. 15381).
5.1. La succitata Cass. n. 4021/12 non risulta condivisibile laddove, omettendo, nell’esegesi dell’art. 12, primo comma, della l. n. 904/1977, quale poi oggetto d’interpretazione autentica da parte dell’art. 3, comma 1, della l. n 28/1999 innanzi trascritto, di attribuire il dovuto rilievo alla clausola di salvezza delle disposizioni di cui al titolo III del d.P.R. 27 settembre 1973, n. 601, equipara quello che risulta essere, a determinate condizioni, un beneficio fiscale (la non concorrenza alla formazione del reddito imponibile delle società cooperative e dei loro consorzi delle somme – nel caso di specie gli interessi attivi percepiti da Confidi – destinate alle riserve indivisibili, per le quali sia esclusa la possibilità di distribuzione tra i soci sotto qualsiasi forma), ad una vera e propria esenzione oggettiva da imposta.
5.2. Ciò, proprio per effetto della ricordata clausola di salvezza, è vero limitatamente alle cooperative che godono di un vero e proprio regime di esenzione dall’imposta IRPEG, come, ad esempio, ai sensi dell’art. 10 del citato d.P.R. n. 601/1973, le cooperative agricole e di pesca (si noti come Cass. sez. 5, 24 gennaio 2007, n. 1563, pur citata da Cass. n. 4021/12 a sostegno dell’orientamento assunto, sia stata resa in fattispecie riferita appunto a cooperativa agricola).
5.3. Tale regime non è peraltro riferibile alle cooperative di garanzia, come confermato anche da Cass. sez. 5, 11 giugno 2007, n. 13572 e da Cass. sez. 5, 24 febbraio 2010, n. 4412, quantunque pur esse richiamate da Cass. n. 4021/12, in quanto, pur non svolgendo attività commerciale, sono espressamente considerate, dal ricordato art. 87, primo comma, lett. a) del TUIR nella sua formulazione applicabile ratione temporis, tra gli enti assoggettati ad IRPEG, come tali tenuti alla dichiarazione annuale dei redditi ai fini di detta imposta; di modo che, escluso che detto reddito sia in esenzione da imposta, la ritenuta praticata sugli interessi attivi, purché destinati alle riserve indivisibili, dovrà ritenersi sempre operata in acconto, dovendosene valutare la congruità in sede di consuntivo, potendo generare, all’esito dell’esercizio di riferimento, o un ulteriore debito d’imposta o, qualora le ritenute operate risultino eccedenti l’imposta dovuta dal contribuente, un credito d’imposta con conseguente diritto al rimborso.
5.4. Laddove invece si ritenesse, diversamente da quanto desumibile dal dato normativo di cui al menzionato art. 26, quarto comma, del d.P.R. n. 600/1973, che le ritenute subite dalla Confidi siano ritenute d’imposta, dovrebbe addivenirsi alla conclusione che la natura della ritenuta, come d’imposta, dipenda in concreto dal risultato economico raggiunto, l’esenzione giustificandosi per l’effetto che l’ente abbia chiuso il bilancio in pareggio o in perdita, in tal modo venendo meno la base imponibile di commisurazione dell’imposta, pur permanendo in capo a Confidi la qualifica di soggetto passivo d’imposta.
5.5. Si tratta di conclusione che, con ogni evidenza, non pare potersi fondatamente sostenere.
6. Di non secondario rilievo, nel quadro della problematica in esame, risulta anche la posizione espressa dalla stessa Amministrazione finanziaria nei propri documenti di prassi, che si è espressa favorevolmente in ordine alla tesi esposta dalle parti private.
6.1. Già la Circolare del Ministero delle Finanze 20 maggio 1995, n. 150, qualificava come ritenute d’imposta le sole ritenute sugli interessi attivi delle cooperative risultanti in regime di esenzione d’imposta, ai sensi del succitato art. 10 del d.P.R. n. 601/1973.
6.2. Con la risoluzione n. 228/E del 18 dicembre 2003, l’Agenzia delle Entrate – con riferimento a fattispecie relativa al regime giuridico delle ritenute subite sugli interessi di conto corrente bancario dalle cooperative agricole alle quali, per effetto dell’art. 6, quarto comma, del d.l. 15 aprile 2002, n. 63, convertito, con modificazioni, nella I. 15 giugno 2002, n. 112, non si applicava, per i due esercizi successivi a quello in corso al 31 dicembre 2001, l’esenzione dall’IRPEG, recata dall’art. 10 del succitato d.P.R. n. 601/1973, – si espresse nel senso che le cooperative agricole assoggettate al regime transitorio di cui all’art. 6 del d.l. n. 63/2002, in quanto non sono destinatarie dell’esenzione d’imposta di cui all’art. 10 del d.P.R. n. 601/1973, non sono riconducibili tra i “soggetti esenti” di cui al comma 4 dell’art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973, con la conseguenza che, dovendo ad esse attribuirsi, nel periodo transitorio sopra richiamato, la natura di soggetto passivo d’imposta ex art. 87, primo comma, lett. a) del TUIR nella sua formulazione applicabile ratione temporis, le ritenute subite nel detto periodo di riferimento sugli interessi di conto corrente bancario dovessero intendersi effettuate a titolo d’acconto.
6.3. Infine, appare utile menzionare la consulenza giuridica n. 954-55/2012 del 18 febbraio 2013, resa dall’Agenzia delle Entrate in risposta a quesito espresso dalla Associazione delle Federazioni dei Confidi italiani, proprio in ordine alla qualificazione delle ritenute previste dall’art. 26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 sugli interessi dei conti correnti e depositi bancari e postali corrisposti ai Confidi.
6.3.1. La difesa erariale ha eccepito l’irrilevanza del riferimento, operato da parte ricorrente, a detto documento di prassi, essendo stato reso il parere ivi espresso in un mutato contesto normativo, seguito all’entrata in vigore del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, come convertito, con modificazioni, dalla I. 24 novembre 2003, n. 326, che, all’art. 13, ha dettato disposizioni in tema di “[disciplina dell’attività di garanzia collettiva dei fidi”.
6.3.2. Sennonché la relativa disposizione, che mira a ricondurre ad una disciplina sostanzialmente unitaria disposizioni dapprima inserite in una variegata cornice normativa, non pare apportare sostanziali novità quanto alla fruizione dei benefici ed alla qualificazione di detti enti secondo la normativa previgente come soggetti passivi d’imposta.
6.3.3. In particolare, il comma 44 del citato art. 13 stabilisce che «[i] confidi fruiscono di tutti i benefici previsti dalla legislazione vigente a favore dei consorzi e delle cooperative di garanzia collettiva fidi: i requisiti soggettivi ivi stabiliti si considerano soddisfatti con il rispetto di quelli previsti dal presente articolo». Ed ancora, il comma 45 del medesimo succitato art. 13 stabilisce che «[a]i fini delle imposte sui redditi i confidi, comunque costituiti, si considerano enti commerciali».
6.4. Non pare dunque potersi disconoscere una sostanziale continuità con la normativa di riferimento applicabile ratione temporis quale sopra esaminata nel senso che i benefici di cui all’art. 12, primo comma, della l. n. 904/1977 debbano essere riferiti ad enti, quali i confidi, che risultano soggetti passivi d’imposta.
6.5. Pertanto, il parere espresso dall’Amministrazione finanziaria su sollecitazione dell’Associazione delle Federazioni dei Confidi Italiani, che ritiene di riaffermare – pur nella consapevolezza dell’indirizzo manifestato dalle due pronunce del 2012 di questa Corte innanzi citate – la qualificazione in termini di ritenuta d’acconto alla ritenuta alla fonte prevista dall’art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973 sugli interessi e sui proventi derivanti dai conti correnti bancari e postali corrisposti ai Confidi – appare di non secondario rilievo nella decisione della controversia in esame. Decisione che – anche con riferimento all’impatto che detto documento di prassi può avere ragionevolmente sortito quale argine ad un nuovo contenzioso di tipo seriale tra gli uffici finanziari e le società cooperative collettive di garanzia fidi – si ritiene dunque, alla stregua delle argomentazioni sopra espresse, poter essere assunta da questa sezione tributaria in conformità all’orientamento pregresso, solo isolatamente contraddetto delle due pressoché coeve pronunce del 2012 sopra citate.
7. Il ricorso va pertanto accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata ed affermazione del seguente principio di diritto: «Le società cooperative di garanzia sono ricomprese tra gli enti assoggettati ad IRPEG prima e ad IRES poi; pertanto le ritenute operate nei loro confronti sugli interessi bancari percepiti, ai sensi dell’art. 26, secondo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, sono da ritenere a titolo di acconto e non a titolo d’imposta, dato il tenore non equivoco del quarto comma di tale articolo».
8. Non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, investendo la controversia unicamente questione di diritto risolta nei termini sopra esposti, la causa può dunque essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, ultima parte, cod. proc. civ. con accoglimento dell’originario ricorso della società cooperativa di garanzia fidi C.
9. In considerazione del contrasto rilevato nella giurisprudenza in materia della sezione tributaria di questa Corte, possono essere compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie l’originario ricorso della contribuente. Dichiara compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.
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