CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 maggio 2018, n. 12338
Rapporti di somministrazione a termine – Apposizione del termine – Conversione – Indennità omnicomprensiva
Rilevato che
La Corte d’Appello di Palermo, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Marsala accogliendo la domanda proposta da A.P., ha dichiarato la conversione dei rapporti di somministrazione a termine intercorsi dal 2/1/2009 al 15/1/2009 e dal 1/4/2009 al 30/4/2009, quest’ultimo poi prorogato fino al 30/9/2009, con imputazione in capo alla società utilizzatrice B.A. S.p.a. in liquidazione, nonché la nullità dell’apposizione del termine sotto diversi profili, e ha condannato la società a corrispondere all’appellante un’indennità omnicomprensiva pari a tre mensilità della retribuzione. Ha ritenuto inoltre che, sebbene l’ultimo contratto fosse scaduto al momento dell’entrata in vigore della L. n.183/2010 e succ. mod., l’appellante non fosse decaduto dall’impugnazione rivolta ad ottenere la declaratoria di illegittimità dei contratti a termine in quanto quest’ultima, pur proposta solo il 24/2/2012 risultava in termini, potendo il lavoratore giovarsi della proroga del termine decadenziale al 31/12/2011, introdotto dalla novella dell’art.32, co. 1 bis I. n.183/2010, ad opera del d.l. n. 225/2010 conv. in I. n.10/2011, applicabile anche ai contratti a termine scaduti.
Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la B.A. S.p.a. con tre censure, cui resiste con tempestivo controricorso A.P..
Il P.G. ha chiesto l’accoglimento del secondo motivo il rigetto del primo e l’assorbimento del terzo.
Considerato che
Con la prima censura, formulata ai sensi dell’art. 360, co.1, n.3 cod. proc. civ., la ricorrente deduce “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32 I. 4/11/2010, n.183”. La Corte d’Appello avrebbe ritenuto che l’appellante non fosse decaduto dall’impugnazione sulla base dell’erroneo presupposto secondo cui, la proroga introdotta dal d.l. n.225/2010, convertito in I. n.10/2011 la quale sancisce che in sede di prima applicazione, la decorrenza del dies a quo del nuovo termine di impugnativa introdotto dall’art. 32 I. n.183/2010 sia quella del 31/12/2011 e non quella del 27/2/2011, data di entrata in vigore della I.n.10 di conversione del d.l. n.225, debba estendersi retroattivamente ai rapporti a termine scaduti nel breve lasso di tempo intercorso fra la data di entrata in vigore del “Collegato Lavoro” (24/11/2010) e quella della legge di conversione del d.l. n.225/2010 (27/2/2011). La locuzione “In sede di prima applicazione” contenuta nell’art. 32, co.1 bis che ha posposto la decorrenza del dies a quo del termine decadenziale alla fine del 2011 non può interpretarsi nel senso di avvalorare una volontà del legislatore volta a prolungare i termini per situazioni già ampiamente consolidatesi alla data dell’entrata in vigore del Collegato lavoro (24/11/2010), per le quali già era trascorso un congruo termine per approntare difese, secondo il significato attribuito dalla giurisprudenza comunitaria al criterio di ragionevolezza. Il contratto era scaduto prima dell’entrata in vigore del Collegato Lavoro, per cui il termine per la sua impugnazione doveva considerarsi già spirato il 23/1/2011, avendo il ricorrente proposto per la prima volta l’impugnazione soltanto il 24/2/2012.
Con la seconda censura, formulata ai sensi dell’art. 360, co.1, n.3 cod. proc. civ., si contesta “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 27 e 86 del d.lgs. n. 273/2003 in relazione anche agli artt. 35 e 36 del d.lgs. n.165/2001 e all’art.25 d.l. n.1/2012 conv. nella I. n.27/2012”. La censura si appunta sulla natura della B.A. S.p.a. quale società “in house providing”, alla quale, secondo giurisprudenza di legittimità, non configurandosi un rapporto di alterità con l’ente pubblico partecipante (nella specie Provincia di Trapani e Comuni appartenenti all’Ambito territoriale Ato TP2) alla conversione dei rapporti di lavoro a tempo determinato farebbe da ostacolo la natura pubblicistica dell’ente di gestione integrata del servizio dei rifiuti (art. 86, co.9 d.lgs. n. 273/2003).
Con la terza censura, formulata ai sensi dell’art. 360, co.1, n.3 cod. proc. civ., si lamenta “Violazione e falsa applicazione dell’art. 32, co. 5, I. n. 183/2010, come autenticamente interpretata dall’art. 1, co.13, I. n.92/2012, in relazione all’art. 18, co.2 bis del d.l. n.112/2008, conv. nella I. 133/2008, introdotto dall’art. 19 del d.l. 78/2009, conv. nella I. 102/2009”. Dalla ritenuta interpretazione circa la natura dichiarativa e non costitutiva della pronuncia si evincerebbe una sottovalutazione, da parte della Corte territoriale, del dato testuale di cui all’art. 32, co.5 della I. n.183/2010 secondo l’interpretazione autentica offertane dall’art. 1, co. 13 I. n.92/2012, là dove il legislatore della riforma afferma che la pronuncia del giudice “ricostituisce” il rapporto, di tal che la Corte d’appello avrebbe dovuto diversamente ritenere la natura costitutiva della sentenza che dichiara la conversione, l’efficacia ex nunc dei suoi effetti sulla eventuale conversione del rapporto, per giungere alla conclusione che la stessa sarebbe stata impedita dalla disciplina vincolistica al reclutamento del personale, ratione temporis applicabile alla fattispecie. In applicazione del principio della ragione più liquida, il quale, imponendo un nuovo approccio interpretativo con la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello tradizionale della coerenza logico-sistematica, consente di sostituire il profilo di evidenza a quello dell’ordine di trattazione delle questioni cui all’art. 276 cod.proc.civ., con una soluzione pienamente rispondente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, ormai anche costituzionalizzata (cfr., in termini espressi, Cass. 23621/2011 e, indirettamente, sulle conseguenze di tale postulato in materia di giudicato implicito, Cass. Sez. Un. 20932/2011, n. 24883/2008, n.29523/2008, Cass. n.11356/2006), il ricorso deve essere accolto sulla base dello scrutinio delle questioni, poste con il terzo motivo, assorbenti per quanto si dirà nel prosieguo, senza che sia necessario esaminare previamente tutte le altre censure, formulate nei motivi primo e secondo.
Era stato accertato nel giudizio di merito che i contratti di lavoro a termine di A.P. con B.A. S.p.a. erano stati stipulati rispettivamente il 2/1/2009 e l’1/4/2009, dunque in pieno regime di divieto di conversione dei contratti a termine illegittimamente prorogati.
E’ pur vero che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che “In materia di assunzioni dei lavoratori subordinati con illegittima apposizione della clausola di durata, trova applicazione, alla stregua del principio “tempus regit actum”, la disciplina vigente al momento della stipulazione del contratto a termine (…) e non quella in vigore al momento della pronuncia della sentenza con effetti costitutivi (…), tenuto conto che la conversione del rapporto di lavoro in contratto a tempo indeterminato non costituisce una sanzione atipica ma l’effetto della nullità del termine.” (Cass. n.24330/2009), tuttavia, nel caso in esame, il principio di diritto richiamato non ha ricevuto corretta applicazione da parte della Corte territoriale.
Quest’ultima non ha, infatti, tenuto conto che il divieto di conversione in capo alle società pubbliche partecipate, sancito dalla I. n. 112/2008, convertita in I. n.133/2008, all’art. 18, co.2 bis, introdotto dall’art. 19 del d.l. n. 78/2009, convertito nella I. n.102/2009, è applicabile al caso in esame, in quanto la novella legislativa vigeva dal 22/10/2008 ed i contratti di cui è causa erano stati stipulati in data successiva. (V. Cass. S.U. 3621/2018 e Cass. 10525/2018A).
La prima e la seconda censura sono, di conseguenza, assorbite.
In definitiva, essendo la terza censura fondata e la prima e la seconda assorbite, il ricorso va accolto. La sentenza va cassata e la causa decisa nel merito, con rigetto dell’originaria domanda. Le spese dell’intero processo, tenuto conto delle oscillazioni in tema della giurisprudenza di merito e del recente assestarsi della giurisprudenza di legittimità in materia di società in house, vanno compensate.
P.Q.M.
Accoglie la terza censura, assorbite le altre. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda. Compensa le spese dell’intero processo.
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