CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 novembre 2019, n. 29798

Ente impositore – Riscossione – Intimazione di pagamento – Mancata notifica degli atti

Ritenuto

V.V. ha proposto opposizione, ai sensi dell’art. 615 cod. proc. civ., avverso un’intimazione di pagamento emessa da Equitalia Servizi di Riscossione s.p.a., contestandone la legittimità per mancata notifica degli atti presupposti e la conseguente prescrizione del credito. Deduceva inoltre che l’intimazione era sprovvista di qualsivoglia riferimento all’origine del preteso credito, risultando addirittura impossibile evincere quale fosse l’ente impositore.

Il Giudice di pace di Roma, nel contraddittorio con l’agente di riscossione, accoglieva l’opposizione.

Equitalia Servizi di Riscossione s.p.a. appellava la sentenza e il Tribunale di Roma riteneva fondato il gravame, rilevando la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dell’ente impositore Roma Capitale. Per l’effetto, rimetteva la causa al primo giudice ai sensi dell’art. 354, secondo comma, cod. proc. civ.

Tale decisione è stata fatta oggetto, da parte del V., di ricorso per cassazione articolato in due motivi. La parte intimata non ha svolto attività difensiva.

Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 380-bis cod. proc. civ. (come modificato dal comma 1, lett. e), dell’art. 1 -bis d.l. 31 agosto 2016, n. 168, conv. con modif. dalla I. 25 ottobre 2016, n. 197), ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata.

Considerato

In considerazione dei motivi dedotti e delle ragioni della decisione, la motivazione del presente provvedimento può essere redatta in forma semplificata, conformemente alle indicazioni contenute nelle note del Primo Presidente di questa Corte del 14 settembre 2016 e del 22 marzo 2011.

Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 102 cod. proc. civ. In particolare, il ricorrente sostiene che egli non avrebbe avuto alcun onere di integrare il contraddittorio nei confronti dell’ente impositore, essendo semmai facoltà dell’agente di riscossione chiamarlo in causa.

Il motivo è fondato.

Questa Corte, infatti, ha già ripetutamente affermato che, in tema di riscossione di crediti mediante iscrizione a ruolo, deve escludersi la configurabilità di un litisconsorzio necessario tra l’ente creditore ed il concessionario del servizio di riscossione qualora il giudizio sia promosso da quest’ultimo o nei confronti dello stesso, non assumendo a tal fine alcun rilievo che la domanda abbia ad oggetto, non la regolarità o la ritualità degli atti esecutivi, ma l’esistenza stessa del credito, posto che l’eventuale difetto del potere di agire o di resistere in ordine a tale accertamento comporta l’insorgenza solo di una questione di legittimazione, la cui soluzione non impone la partecipazione al giudizio dell’ente creditore (Sez. 1, Sentenza n. 9016 del 05/05/2016, Rv. 639535 – 01; da ultimo Sez. 1, Ordinanza n. 13929 del 22/05/2019, Rv. 654264 – 01).

In tal senso è dirimente quanto previsto dall’art. 39 del d.lgs. n. 112 del 1999 (Riordino del servizio nazionale della riscossione), a mente del quale «il concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l’ente creditore interessato; in mancanza, sponde delle conseguenze della lite». Dunque, la chiamata in causa dell’ente creditore deve essere ricondotta all’art. 106 cod. proc. civ., secondo cui ciascuna parte può chiamare nel processo un terzo al quale ritiene comune la causa o dal quale pretende essere garantita.

Pertanto, la chiamata in causa dell’ente creditore deve avvenire per iniziativa dell’agente di riscossione e previa autorizzazione del giudice. Autorizzazione rimessa all’esclusiva valutazione discrezionale del giudice del merito, il cui esercizio non è censurabile né sindacabile in sede di ricorso per cassazione (Sez. L, Sentenza n. 25676 del 04/12/2014, Rv. 633471 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 15362 del 06/07/2006, Rv. 592025 – 01).

In continuità con i citato orientamento, va quindi riaffermato il seguente principio di diritto:

Nelle cause di opposizione all’esecuzione forzata di crediti erariali mediante iscrizione a ruolo, non sussiste litisconsorzio necessario fra l’ente creditore e il concessionario del servizio di riscossione, non assumendo rilievo la circostanza che l’opposizione abbia ad oggetto, non la regolarità o la ritualità degli atti esecutivi, ma l’esistenza stessa del credito. Infatti, ai sensi dell’art. 39 del d.lgs. n. 112 del 1999 (Riordino del servizio nazionale della riscossione), spetta al concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, chiamare in causa l’ente creditore interessato“.

In applicazione di tale principio, il primo motivo di ricorso è fondato, con assorbimento del secondo motivo.

Infatti, non sussistendo litisconsorzio necessario fra agente della riscossione ed ente impositore, ha errato il Tribunale – nella funzione di giudice d’appello – nel dichiarare la nullità del giudizio, con remissione della causa al primo giudice ai sensi dell’art. 354, secondo comma, cod. proc. civ.

Pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al medesimo Tribunale, in persona di diverso magistrato, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia al Tribunale di Roma in persona di diverso magistrato, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.