CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 ottobre 2022, n. 30519
Inps – Omissione contributiva – Cartelle esattoriali – Notifica degli atti – Prescrizione quinquennale – Disconoscimento di conformità di copie di documenti agli originali – Valore probatorio della riproduzione informatica
Fatti di causa
1. La signora C.D.A. ha proposto opposizione, dinanzi al Tribunale di Larino, contro avvisi di addebito e cartelle di pagamento riguardanti contributi INPS.
A sostegno dell’opposizione, la ricorrente ha dedotto:
a) la mancata notifica degli atti;
b) il maturare della prescrizione quinquennale per i crediti portati da otto cartelle;
c) la decadenza ex art. 25 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, per il credito di cui alla prima cartella dell’elenco (02720100000183645).
Il Tribunale adìto, con sentenza n. 142 del 2019, pronunciata l’8 ottobre 2019 e depositata il 21 gennaio 2020, ha rigettato l’opposizione, rilevando che:
a) le cartelle e gli avvisi sono stati regolarmente notificati: le cartelle INPS sono state consegnate al destinatario, che ha apposto all’atto della ricezione la sua firma; per le cartelle di pagamento 02720100000183645 e 02720090003131156, l’eccepita irregolarità è stata sanata dal raggiungimento dello scopo almeno a decorrere dal 31 ottobre 2011, data in cui sono state presentate istanze di definizione agevolata;
b) l’opponente si è «limitata a contestare la documentazione prodotta dalle resistenti, censurandone l’efficacia probatoria, in quanto trattavasi di copie, disconoscendola, poi, formalmente, solo all’udienza di discussione»;
c) la prescrizione quinquennale è stata interrotta dai pagamenti e dalle richieste di definizione agevolata, che si configurano come riconoscimento dell’altrui diritto ai sensi dell’art. 2944 cod. civ.;
d) l’eccezione di decadenza è stata fatta valere tardivamente, anche a voler attribuire rilievo al termine di quaranta giorni previsto dall’art. 24, comma 4, del d.lgs. n. 46 del 1999 per le opposizioni attinenti al merito e non al termine di venti giorni sancito per le opposizioni agli atti esecutivi dall’art. 29, comma 2, del medesimo d.lgs. n. 46 del 1999.
2. C.D.A. ha interposto gravame.
2.1. L’atto d’appello deduce, anzitutto, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine al disconoscimento della documentazione depositata in fotocopia dalle controparti, senza alcuna attestazione di autenticità.
Per dimostrare la notificazione delle cartelle di pagamento, sarebbe necessaria la produzione degli originali, e non già di «copie fotostatiche prodotte disgiuntamente su fogli separati», che non consentirebbero di riscontrare alcun nesso con gli avvisi di addebito impugnati. Dai “referti” di notifica, prodotti in fotocopia, non si potrebbe desumere alcuna correlazione tra la cartolina e l’atto notificato.
Peraltro, molteplici elementi confermerebbero l’invalidità delle notificazioni.
Le firme sugli avvisi di ricevimento sarebbero illeggibili e non sarebbero riconducibili alla ricorrente; mancherebbe la firma dell’addetto alla distribuzione; sarebbe irregolare la notificazione mediante raccomandata, consegnata a persona diversa dal destinatario, senza l’espletamento dell’ulteriore formalità dell’invio di comunicazione dell’avvenuta notificazione.
2.2. Inoltre, il Tribunale avrebbe errato nel considerare generico il disconoscimento e nel richiedere la proposizione della querela di falso: a fronte del disconoscimento, la controparte che voglia avvalersi dei documenti disconosciuti ha l’onere di promuovere un giudizio di verificazione.
2.3. L’appellante si duole poi dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e della violazione di norme di legge, con riguardo alla prescrizione delle cartelle di pagamento. In mancanza della prova della notificazione delle cartelle e degli avvisi di addebito, il giudice di primo grado avrebbe dovuto dichiarare compiuta la prescrizione quinquennale.
Altro motivo d’appello investe l’errata valutazione dell’istanza di rateazione, dalla quale non si potrebbe inferire la completa conoscenza dei titoli esecutivi.
2.4. La sentenza del Tribunale di Larino è impugnata anche nella parte in cui ha escluso la decadenza dal potere di riscossione per la cartella 02720100000183645, notificata solo il 9 febbraio 2010.
2.5. L’appellante reitera l’eccezione d’inammissibilità della costituzione di ADER con un avvocato del libero foro.
2.6. Infine, il giudice di primo grado non avrebbe correttamente valutato le contestazioni sulle cartelle di pagamento e sugli avvisi di addebito. Tali contestazioni investirebbero la fondatezza della pretesa, che spetterebbe all’istituto previdenziale dimostrare.
3. Con sentenza pronunciata il 19 marzo 2021 e depositata il 27 aprile 2021 (n. 57/2021), la Corte d’appello di Campobasso ha rigettato il gravame e ha condannato l’appellante alla rifusione delle spese del grado.
3.1. A fondamento della decisione, la Corte di merito ha ribadito la regolarità della notificazione delle cartelle e degli avvisi di pagamento. Ben può l’agente della riscossione provvedere a notificare le cartelle mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento.
3.2. Quanto al disconoscimento delle copie degli avvisi di ricevimento, correttamente il giudice di primo grado l’ha ritenuto irrilevante. Dal verbale dell’udienza del 9 aprile 2019, emerge che l’opponente «non ha contestato la conformità delle copie agli originali, ma piuttosto la inesistenza di questi ultimi, neppure chiedendo che le parti resistenti producessero gli originali».
La Corte di merito reputa «generico» il disconoscimento, in quanto «effettuato senza indicazione specifica di eventuali difformità».
Sono tardive le specificazioni contenute nelle note autorizzate del 17 settembre 2019 e confermano la «genericità dell’asserito disconoscimento all’udienza del 9 aprile 2019».
3.3. Quanto alla prescrizione dei crediti azionati, l’appellante si limita a sostenere che, dai pagamenti effettuati e dalle istanze di definizione agevolata, non si possa desumere la conoscenza delle cartelle di pagamento, ma non censura l’affermazione della sentenza impugnata circa l’efficacia interruttiva della prescrizione. Su tale punto, pertanto, si è formato il giudicato e inammissibile è il motivo d’appello.
3.4. Inammissibile è anche il motivo d’appello sulla decadenza del concessionario, in quanto la D’Ascenzo non impugna la statuizione sulla tardività dell’impugnazione.
3.5. Si deve ritenere rituale la costituzione di ADER con un avvocato del libero foro.
3.6. Non hanno pregio, infine, le censure in ordine alla distribuzione dell’onere della prova. Acclarata la regolarità della notificazione delle cartelle di pagamento e degli avvisi di addebito, la pretesa contributiva dell’INPS è oramai incontrovertibile.
4. Contro la sentenza della Corte d’appello di Campobasso, non notificata, C.D.A. ricorre per cassazione, con tre motivi, illustrati da memoria.
5. L’INPS e l’ADER Agenzia per la Riscossione replicano con controricorso.
6. Il ricorso è stato fissato per la trattazione in camera di consiglio dinanzi a questa sezione, in base agli artt. 375, secondo comma, e 380-bis.1. cod. proc. civ.
7. Il pubblico ministero non ha depositato conclusioni scritte.
Motivi della decisione
1. La signora C.D.A., a sostegno della richiesta di riforma della sentenza della Corte d’appello di Campobasso, articola tre motivi di ricorso.
1.1. Con il primo mezzo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., dell’art. 2702 cod. civ. e degli artt. 214, 215 e 216 cod. proc. civ.
La Corte territoriale avrebbe errato nel negare rilievo al disconoscimento dell’autenticità delle scritture e delle sottoscrizioni poste sugli avvisi di ricevimento. Tale disconoscimento sarebbe stato effettuato inequivocabilmente non solo ai sensi dell’art. 2719 cod. civ., ma anche ai sensi degli artt. 214 e 215, primo comma, n. 2, cod. proc. civ. e sarebbe tempestivo, in quanto svolto alla prima udienza successiva alla produzione, e in pari tempo specifico. Né le controparti avrebbero sollevato eccezioni di sorta sulla tardività, che sarebbe sottratta al rilievo officioso del giudice.
Non sarebbe necessaria l’indicazione analitica delle difformità tra originale e copia, quando la conformità sia disconosciuta in base all’art. 2719 cod. civ.
Nell’ipotesi di disconoscimento disciplinata dall’art. 215, primo comma, n. 2), cod. proc. civ., graverebbe su chi ha prodotto il documento disconosciuto l’onere di chiederne la verificazione. In difetto di tale istanza, il documento ritualmente disconosciuto non potrebbe essere assunto a fondamento della decisione.
1.2. Con il secondo motivo, C.D.A. censura la sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere omesso di pronunciarsi sul disconoscimento chiaro, specifico e tempestivo effettuato ai sensi degli artt. 214 e 215 cod. proc. civ., e sulla mancata instaurazione del procedimento di verificazione (art. 216 cod. proc. civ.).
1.3. Con la terza censura, la ricorrente lamenta, infine, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2944 cod. civ.
Avrebbe errato la Corte territoriale nell’attribuire efficacia interruttiva della prescrizione all’istanza di rateizzazione e ai pagamenti parziali, che non potrebbero assurgere a un riconoscimento univoco del debito, rilevante alla stregua dell’art. 2944 cod. civ.
2. Occorre, in linea preliminare, esaminare la richiesta formulata dalla ricorrente nella memoria illustrativa (pagina 2) e volta a ottenere la declaratoria di cessazione della materia di contendere per sei delle cartelle impugnate: per tali cartelle, la ricorrente potrebbe beneficiare della disciplina del “saldo e stralcio” dei debiti d’importo fino a 5.000,00 Euro, introdotta dall’art. 4, commi da 5 a 9, del decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41 (Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 21 maggio 2021, n. 69.
Tale richiesta non può, per molteplici ragioni, essere accolta.
2.1. La cessazione della materia del contendere presuppone che le parti si diano reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e sottopongano al giudice conclusioni conformi. La cessazione della materia del contendere non è esclusa dal permanere del contrasto sul solo riparto delle spese di lite, contrasto che il giudice, nella pronuncia, deve risolvere secondo il criterio della cosiddetta soccombenza virtuale.
Allorquando, invece, la sopravvenienza di un fatto che si assume suscettibile di determinare la cessazione della materia del contendere sia allegato da una sola parte e l’altra non aderisca a tale prospettazione, il suo apprezzamento, ove esso sia dimostrato, non può concretarsi in una pronuncia di cessazione della materia del contendere, ma può, a tutto concedere, riverberarsi sull’interesse ad agire (Cass., sez. III, 8 giugno 2005, n. 11962; di recente, Cass., sez. II, 29 luglio 2021, n. 21757).
L’INPS, che è titolare della pretesa dedotta in giudizio (Cass., S.U., 8 marzo 2022, n. 7514), non ha preso posizione su tali aspetti e non ha avvalorato l’adombrata cessazione della materia del contendere.
Ininfluenti sono le dichiarazioni rese dall’agente per la riscossione nella memoria illustrativa, in quanto non si configura come creditore, legittimato a disporre della posizione soggettiva.
Non si ravvisano, dunque, allegazioni concordi delle parti in ordine alla cessazione della materia del contendere.
Peraltro, come traspare dalle argomentazioni svolte anche nella memoria illustrativa, la ricorrente serba intatto – e coltiva anche in questo giudizio di legittimità, con dovizia di argomenti – l’interesse a una pronuncia sul merito della lite, che travolga i crediti vantati dall’ente previdenziale e renda dunque irrilevante l’annullamento d’ufficio sancito dallo ius superveniens. L’atteggiamento processuale non depone a favore di un sopravvenuto venir meno del contrasto in ordine alle posizioni sostanziali dedotte in causa.
2.2. Per le medesime ragioni, non si può neppure pervenire a una declaratoria di sopravvenuta carenza d’interesse.
2.2.1. La scelta di ribadire e sviluppare gli argomenti di merito a sostegno della nullità delle cartelle e degli avvisi non denota una cessazione dell’interesse ad una pronuncia di questa Corte, anche in ordine ai crediti portati dalle cartelle che potrebbero giovarsi dell’annullamento d’ufficio.
2.2.2. Si deve rilevare, in secondo luogo, che la disciplina dell’art. 4 del d.l. n. 41 del 2021, nel disporre l’annullamento automatico dei debiti residui d’importo fino a 5.000,00, lo subordina a requisiti puntuali: il beneficio è accordato a «persone fisiche che hanno conseguito, nel periodo d’imposta 2019, un reddito imponibile ai fini delle imposte sui redditi fino a 30.000 euro e dei soggetti diversi dalle persone fisiche che hanno conseguito, nel periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2019, un reddito imponibile ai fini delle imposte sui redditi fino a 30.000 euro» (art. 4, comma 4, del d.l. n. 41 del 2021).
La definizione delle modalità e delle date dell’annullamento è demandata a un decreto del Ministero dell’economia e delle finanze (art. 4, comma 5, del d.l. n. 41 del 2021) e si affianca a prescrizioni specifiche, anche in merito alle fattispecie escluse dal beneficio (per tale aspetto, art. 4, comma 9, del d.l. n. 41 del 2021).
Su tali presupposti, essenziali ai fini del riconoscimento dell’applicabilità della disciplina invocata, la ricorrente non offre elementi di fatto circostanziati, idonei a suffragare in termini univoci una sopravvenuta carenza d’interesse, che anche questa Corte possa riscontrare ex actis, senza ulteriori e più laboriose indagini di fatto.
Anche per tali ragioni, l’istanza dev’essere disattesa.
Occorre, dunque, scrutinare i motivi di ricorso formulati dalla D’Ascenzo.
3. Il ricorso dev’essere rigettato.
4. I primi due motivi, tra loro connessi, possono essere esaminati congiuntamente.
4.1. La ricorrente imputa alla sentenza impugnata un’omessa pronuncia, come emerge dalla rubrica, che richiama per entrambi i motivi qui scrutinati l’art. 112 cod. proc. civ.
L’omessa pronuncia si coglierebbe su un duplice versante, che attiene al disconoscimento, puntuale e tempestivo, espresso dalla ricorrente e alla mancata proposizione di un’istanza di verificazione da parte dell’ente previdenziale e dell’agente per la riscossione.
4.2. Le doglianze sono in parte infondate e in parte inammissibili.
La Corte territoriale ha esaminato il disconoscimento effettuato dalla ricorrente, per giudicarlo generico e tardivo e, dunque, inidoneo a vincere la forza probatoria della documentazione prodotta.
Il giudice ha dunque assolto all’obbligo di «pronunciare su tutta la domanda» e sulle eccezioni proposte dalle parti (art. 112 cod. proc. civ.).
Non sussiste il vizio denunciato di omessa pronuncia, che postula la mancata statuizione su un tema dedotto in giudizio come oggetto di decisione.
5. Sul profilo oggi riproposto in questa sede di legittimità, la sentenza impugnata ha motivato ampiamente, confermando la valutazione espressa dal giudice di primo grado e sviluppando argomenti che resistono alle censure formulate.
5.1. Il Tribunale di Larino, a dispetto del richiamo agli artt. 214 e 215 cod. proc. civ., ha ricondotto il disconoscimento a quello della conformità della copia all’originale (art. 2719 cod. civ.) e ha osservato che il disconoscimento formale è intervenuto solo con le note autorizzate (pagina 2 della sentenza d’appello).
La Corte territoriale ha condiviso le conclusioni del Tribunale e ha posto in risalto la genericità del disconoscimento, sguarnito di ogni «indicazione specifica di eventuali difformità» e solo tardivamente integrato con le note autorizzate del 17 settembre 2019 (pagina 7).
5.2. La Corte territoriale, nell’inquadrare domande e contestazioni della parte ricorrente, ha fatto applicazione dell’art. 2719 cod. civ., che regola sia l’ipotesi di disconoscimento della conformità della copia al suo originale sia quella di disconoscimento della autenticità di scrittura o di sottoscrizione (Cass., sez. III, 5 luglio 2019, n. 18074).
L’art. 2719 cod. civ. esige l’espresso disconoscimento della conformità delle copie fotografiche o fotostatiche all’originale.
Quanto alla specificità del disconoscimento, questa Corte è ferma nel ribadire che la contestazione della conformità all’originale di un documento prodotto in copia non può avvenire con clausole di stile e generiche o onnicomprensive, ma va operata – a pena d’inefficacia – in modo chiaro e circostanziato, attraverso l’indicazione specifica sia del documento che si intende contestare, sia degli aspetti per i quali si assume differisca dall’originale (Cass., sez. II, 30 ottobre 2018, n. 27633; di recente, Cass., sez. III, 20 dicembre 2021, n. 40750).
In tema di notifica della cartella esattoriale, laddove l’agente della riscossione produca in giudizio copia fotostatica della relata di notifica o dell’avviso di ricevimento (recanti il numero identificativo della cartella) e l’obbligato contesti la conformità delle copie prodotte agli originali, ai sensi dell’art. 2719 cod. civ., il giudice è chiamato a valutare le specifiche difformità contestate alla luce degli elementi istruttori disponibili, compresi quelli di natura presuntiva (Cass., sez. trib., 26 ottobre 2020, n. 23426; Cass., sez. VI-3, 11 ottobre 2017, n. 23902).
Anche da questo punto di vista, trova conferma il requisito di specificità delle contestazioni che occorre formulare ai sensi dell’art. 2719 cod. civ. Requisito che la ricorrente revoca in dubbio, senza confrontarsi con le oramai pacifiche acquisizioni della giurisprudenza di questa Corte.
Per quel che attiene ai tempi del disconoscimento, questa Corte ha puntualizzato che la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta, tanto nella sua conformità all’originale quanto nella scrittura e sottoscrizione, se non venga disconosciuta in modo formale e inequivoco alla prima udienza, o nella prima risposta successiva alla sua produzione (Cass., sez. VI-3, 6 febbraio 2019, n.3540).
È indispensabile un atto processualmente rilevante compiuto alla presenza di entrambe le parti, in ragione dell’esigenza dell’immediatezza della conoscenza del disconoscimento in capo al soggetto che ne è destinatario: non si può intendere, pertanto, come prima risposta il mero deposito di note difensive autorizzate, proprio perché effettuato in assenza della controparte (Cass., sez. lav., 3 giugno 2019, n. 15113).
5.3. Il verbale d’udienza debitamente trascritto nel ricorso attesta l’impugnazione e la contestazione, ad opera della D., dì «tutto quanto ex adverso dedotto, prodotto, eccepito e richiesto dalle controparti». Con particolare riguardo alla documentazione prodotta dall’agente per la riscossione e agli avvisi di ricevimento, la difesa della ricorrente replica in udienza che «sono mere fotocopie» atti «non firmati e quindi non ricevuti dalla ricorrente, e non riconducibili agli avvisi di addebito e cartelle di pagamento qui impugnate».
Il procuratore dell’INPS, nella medesima udienza, ha contestato tali rilievi, rilevando la genericità del disconoscimento «non avendo la parte ricorrente indicato in quali specifiche parti i documenti prodotti non sarebbero conformi agli originali».
Dalla disamina del verbale, riprodotto negli stralci significativi a corredo dei motivi di ricorso, si può evincere che il disconoscimento è stato onnicomprensivo e generico e che non è corroborato dall’indicazione di specifiche difformità, come richiede la giurisprudenza di questa Corte. La genericità è stata tempestivamente eccepita dalla difesa dell’INPS.
Il disconoscimento è, oltre che generico, tardivo.
Non configurano un disconoscimento tempestivo le integrazioni racchiuse nelle successive note autorizzate, giacché la contestazione dev’essere immediata e deve avvenire non oltre la prima udienza o la prima risposta successiva alla produzione. Quanto all’adombrata acquiescenza della controparte alla tardività del disconoscimento, la deduzione è sprovvista di argomenti che consentano a questa Corte di verificarne ex actis la fondatezza e la decisività.
5.4. Si può dunque concludere, in continuità con recenti decisioni di questa Corte che hanno scrutinato fattispecie analoghe e analoghe doglianze (Cass., sez. VI-L, 11 maggio 2022, n. 14994 e n. 14991), che non si configurano le violazioni di legge denunciate e non si ravvisa un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalle pertinenti norme di legge.
L’interpretazione della portata del disconoscimento effettuato, la valutazione in ordine alla genericità e alla tempestività del disconoscimento attengono all’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, esterna all’esatta interpretazione della norma e riconducibile alla tipica valutazione del giudice di merito, che, in sede di legittimità, si può censurare solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione.
Mediante la deduzione di un vizio di violazione di legge, la ricorrente tende dunque a ottenere una diversa, più favorevole, valutazione dei fatti. Ne consegue l’inammissibilità, in questa parte, delle censure.
Peraltro, il vizio di omesso esame, nel caso di specie, non potrebbe essere utilmente dedotto, sia perché si configura un’ipotesi di “doppia conforme”, sia perché neppure si tratta di un “fatto storico”, nei termini enucleati da Cass., S.U. 7 aprile 2014, n. 8053, ma di un procedimento – il disconoscimento di conformità di copie di documenti agli originali – che implica una valutazione giuridica.
6. Posta l’inammissibilità del disconoscimento operato, si deve affermare, in continuità con recenti pronunce di questa Corte che hanno deciso controversie in larga misura equiparabili a quella odierna, che «la mancanza di specificità del disconoscimento della conformità delle copie informatiche agli originali, considerato peraltro che non vi è obbligo per il concessionario di produrre gli originali (vd. Cass. 20769 del 2021), ha pienamente legittimato l’accertamento decisivo della esistenza delle notifiche non potendo, contrariamente alla prospettazione della ricorrente, porsi una questione di disconoscimento dell’autenticità delle sottoscrizioni e delle scritture con consequenziale operatività necessaria del procedimento di verificazione ex art. 215 c.p.c. contenute nelle dette relate di notifica che rivestono la natura di atto pubblico; così già Cassazione civile, sez. II, 27/04/2004, n. 8032, ha avuto modo di affermare, in tema di notificazione a mezzo posta, che si perfeziona, per il destinatario, con la consegna del plico, che l’avviso di ricevimento, parte integrante della relazione di notifica, ha natura di atto pubblico che – essendo munito della fede privilegiata di cui all’art. 2700 c.c. in ordine alle dichiarazioni delle parti e agli altri fatti che l’ufficiale giudiziario attesta avvenuti in sua presenza – costituisce, ai sensi della L. n. 890 del 1982, art. 4, comma 3, il solo documento idoneo a provare – in riferimento alla decorrenza dei termini connessi alla notificazione – sia l’intervenuta consegna del plico con la relativa data sia l’identità della persona alla quale è stata eseguita e che ha sottoscritto l’atto, salvo che, ai sensi del successivo comma 4 della norma citata, la data di consegna non risulti apposta o sia comune incerta, sicché in tal caso i termini connessi alla notificazione decorrono dalla data risultante dal timbro postale. Ne consegue che la parte, qualora intenda dimostrare la non veridicità delle risultanze dell’avviso di ricevimento, deve proporre la querela di falso – anche se l’immutazione del vero non sia ascrivibile a dolo ma soltanto ad imperizia, leggerezza o a negligenza dell’ufficiale giudiziario – a meno che dallo stesso contesto dell’atto non risulti in modo evidente l’esistenza di un mero errore materiale compiuto dall’ufficiale giudiziario nella redazione del documento; in mancanza di un errore materiale rilevabile in modo immediato e diretto dall’esame obiettivo dello stesso atto, l’accertamento della non rispondenza al vero, postulando un giudizio di incompatibilità della data o di altri dati apposti con altri elementi di valutazione acquisiti al processo, può avere luogo soltanto nell’ambito del procedimento previsto dagli artt. 221 c.p.c. e ss. per l’invalidazione degli atti pubblici (Cass., sez 6-5, 31 luglio 2015, n. 16289; Cass. Sez. un., 27 aprile 2010, n. 9962)» (Cass., sez. lav., 28 giugno 2022, n. 20698; negli stessi termini, Cass., sez. lav., 24 giugno 2022, n. 20451, n. 20450, n. 20448 e n. 20447).
L’accertamento della fondatezza della pretesa dell’INPS è immune, pertanto, dai vizi censurati, attinenti alla nullità della notificazione degli atti impugnati.
7. Inammissibile, infine, è l’ultimo mezzo, che deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2944 cod. civ. e si duole dell’attribuzione di un’efficacia interruttiva della prescrizione ad atti che non integrano alcun riconoscimento del debito altrui.
Coglie nel segno, a tale riguardo, l’eccezione formulata dall’INPS nel controricorso (pagina 7).
A fondamento della decisione, la Corte territoriale argomenta che la ricorrente non ha censurato l’idoneità a interrompere la prescrizione che il giudice di prime cure ha riconosciuto con riguardo ai pagamenti effettuati e alle istanze di definizione agevolata. Tale statuizione, pertanto, deve oramai ritenersi irretrattabile (pagina 7 della sentenza).
A fronte di tale motivazione, il motivo di ricorso si limita a reiterare gli argomenti in ordine all’inidoneità degli atti richiamati dalla Corte d’appello a interrompere il corso della prescrizione, senza confrontarsi con la ratio decidendi che reputa questo punto controverso oramai inoppugnabile in difetto di tempestive e specifiche censure.
La ricorrente, allo scopo d’infirmare la ratio decidendi che sorregge la pronuncia impugnata, avrebbe dovuto allegare e dimostrare, con il supporto dei necessari riferimenti testuali agli atti di causa, che nessun giudicato interno si è formato sulla specifica questione.
A tale onere la ricorrente non ha ottemperato e le censure si rivelano dunque inammissibili, perché eccentriche rispetto alle ragioni addotte dal giudice del gravame.
Peraltro, se un atto abbia o meno valenza ricognitiva dell’altrui diritto e dunque interrompa il corso della prescrizione, è questione eminentemente di fatto, devoluta all’apprezzamento del giudice del merito, incensurabile in cassazione se non nei rigorosi limiti tracciati da Cass., S.U., 7 aprile 2014, n. 8053.
8. In applicazione dell’art. 385, primo comma, cod. proc. civ., la ricorrente dev’essere condannata alla rifusione delle spese in favore della controricorrente INPS, nella misura liquidata in dispositivo in proporzione al valore della controversia e all’attività processuale svolta.
Nulla si deve disporre in ordine alle spese nel rapporto processuale tra la ricorrente e l’agente della riscossione.
Posto che la legittimazione a contraddire compete al solo ente impositore, quale unico titolare della situazione sostanziale dedotta in giudizio (Cass., S.U., 8 marzo 2022, n. 7514), si deve ritenere che l’evocazione in giudizio dell’agente per la riscossione sia fatta a mero titolo di litis denuntiatio. La pronuncia sul riparto delle spese, ai sensi dell’art. 91 cod. proc. civ., presuppone la qualità di parte del giudizio (Cass., 15 novembre 2021, n. 34174).
A norma dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228), il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si deve dare atto con la presente ordinanza (Cass., S.U., 27 novembre 2015, n. 24245), per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per l’impugnazione, ove sia dovuto (Cass., S.U., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rifondere alla parte controricorrente INPS le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, in Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese generali nella misura del 1 5 % e agli accessori di legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo dì contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.