CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 febbraio 2019, n. 4936
Tributi – Dazi doganali – Importazioni – Titolare di certificati AGRIM – Importazione di merce da fornitore extracomunitario usufruendo del trattamento daziario di favore – Rivendita ad altro importatore tradizionale senza trasferire i titoli – Effettivo importatore – Abuso del diritto
Rilevato che
– la C. F. and S. S.p.a., in persona del legale rappresentante prò tempore, attraverso il proprio rappresentante F. S. A. & F. s.r.l., importò nel 2008 una partita di carne bovina congelata di provenienza dall’Uruguay usufruendo di un trattamento daziario agevolato nell’ambito dei contingenti stabiliti in sede comunitaria (c.d. contingente GATT), essendo titolare dei certificati AGRIM utili alla fruizione dell’agevolazione;
– con avviso di rettifica dell’accertamento Prot. 3648 del 14 marzo 2001, l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, in relazione all’operazione di importazione di carne congelata del 2008, richiese alla C. F. and S. s.p.a. maggiori diritti doganali a seguito del disconoscimento del trattamento daziario agevolato, ritenendo che la contribuente avesse aggirato il contingentamento della carne bovina imposto dalla disciplina dell’Unione europea attraverso un meccanismo fraudolento mediante il quale la Quali F. s.p.a. che aveva diretto le operazioni, aveva utilizzato titoli di importazione (titolo AGRIM – contingente GATT) rilasciati alla C. F. and S. s.p.a. che fungeva da società di comodo, vendendo a quest’ultima, tramite F. F. S. A. & F. s.r.l., la partita di carne congelata con emissione di fatturazione allo stato estero e indi riacquistando la medesima dopo l’assolvimento delle formalità doganali. In tal modo la effettiva società importatrice Quali F. s.p.a. – secondo la contestazione – aveva acquistato prodotti senza il pagamento dei maggiori diritti di confine e per quantità superiori a quelle a essa spettanti nell’ambito del contingentamento, utilizzando titoli che consentivano l’importazione con dazio di favore da parte della C. F. and S. s.p.a. nel contingente ad essa assegnato;
– la contribuente impugnò l’avviso e la Commissione tributaria provinciale di Savona, con sentenza n. 51/3/12, accolse il ricorso;
– avverso la sentenza di primo grado l’Agenzia delle dogane propose appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Liguria che, lo respinse, osservando, in punto di diritto, per quanto di interesse, che: l)secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia (caso Halifax), il comportamento abusivo è il conseguimento di un vantaggio fiscale contrario agli obiettivi perseguiti dal legislatore comunitario, senza che sia impedito al contribuente di scegliere tra due regimi alternativi previsti dal legislatore quello fiscalmente più vantaggioso; 2) non sussistendo, nella fattispecie, il divieto di cessione del titolo, C. F. and S. s.p.a. nello scegliere, in luogo di cedere i certificati AGRIM, di sdoganare essa stessa la merce a dazio agevolato e rivederla una volta nazionalizzata, non aveva sottratto dazi allo Stato italiano, senza realizzare alcun indebito risparmio di imposta; 3) la correttezza del comportamento della società contribuente era stata confermata dal parere del Ministero del Commercio Internazionale del 14 maggio 2007;
– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle dogane propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resiste, con controricorso, la società contribuente;
– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, secondo comma, e dell’art. 380-bis.l cod. proc. civ., introdotti dall’art. 1 -bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, 197.
Considerato che
– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dei Reg. CE n. 1291/2000, Reg. CE n. 1254/1999, Reg. CE 954/2002, Reg. CE 715/2005 e Reg. CE 704/2006, per avere la CTR, nel rigettare l’appello dell’Agenzia ritenendo illegittimo l’avviso di rettifica dell’accertamento, violato la normativa comunitaria in tema di trasferibilità – solo a determinate condizioni, nella specie, ad avviso della ricorrente, non rispettate – dei titoli agevolativi nell’importazione delle carni bovine, normativa preposta a garantire l’utilizzo del trattamento daziario agevolato nell’ambito dei contingenti stabiliti in sede comunitaria (c.d. contingente GATT);
– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione dei principi elaborati dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea e dalla Corte di cassazione in materia di “abuso del diritto”, per avere la CTR, nel rigettare l’appello dell’Ufficio, ritenuto che l’avviso di rettifica dell’accertamento fosse illegittimo, senza considerare che, nella specie, la traslazione – attraverso l’acquisto da parte della C. F. S. s.p.a. della carne bovina allo stato estero e la successiva rivendita della stessa dopo lo sdoganamento allo stesso fornitore – su un altro soggetto fiscale, effettivo importatore – Quali F. s.p.a. – del profitto dello sconto daziario, al fine di conseguire un evidente risparmio di spesa, realizzava un aggiramento della normativa comunitaria in materia di utilizzo e trasferimento dei titoli agevolativi (nell’ambito del c.d. contingente GATT);
– va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per non avere la ricorrente, in difetto di autosufficienza, trascritto i titoli AGRIM, trattandosi di certificati la cui titolarità in capo alla C. F. and S. s.p.a., al momento dello sdoganamento, costituisce circostanza indiscussa, per essere, piuttosto, l’utilizzo improprio degli stessi oggetto di contestazione;
– priva di pregio è, altresì, l’altra eccezione d’inammissibilità che la società in controricorso riferisce ad entrambi i motivi in base alla considerazione che l’Agenzia tenderebbe ad ottenere la rivalutazione dei fatti; invero, la ricorrente non ha contestato la ricostruzione dei fatti offerta in sentenza: quel che ha contestato è l’identificazione delle nozioni giuridiche (soprattutto di quella di “abuso di diritto”),
che delineano la portata precettiva delle disposizioni unionali applicate. L’inquadramento dei fatti accertati dal giudice di merito nello schema legale corrispondente si risolve nell’applicazione di norme giuridiche e può per conseguenza formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità sia per quel che concerne la descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia, infine, con riferimento alla individuazione delle implicazioni, sul piano degli effetti, conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo (in termini, Cass., ord. 5 dicembre 2017, n. 29111; Cass., sentenza 6 aprile 2018, n. 8473);
– l’Agenzia ha quindi criticato la sussunzione dei fatti come accertati nelle disposizioni di riferimento, in quanto sostiene che la fattispecie concreta è stata giudicata sotto una norma che a essa non si addice; sicché correttamente ha denunciato la violazione e falsa applicazione delle norme comunitarie e dei principi elaborati dalla Corte di giustizia e da questa Corte in tema di abuso del diritto;
– i motivi – da trattare congiuntamente per connessione- sono fondati nei limiti di seguito indicati;
– questa Corte ha già affermato (Cass. n. 8041 del 2017; n. 2067; 2068 e 2069 del 2017) che “in applicazione dei principi rivenienti dalla sentenza della Corte di giustizia dell’UE del 14 aprile 2016, causa C131/14, Cervati e Malvi, se in via astratta di principio il diritto dell’UE (e, in particolare, le norme rilevanti ivi indicati dei regolamenti 565/2002 e 2988/95) non osta a un meccanismo mediante il quale un importatore tradizionale, che non disponga di un titolo nell’ambito del contingente GATT, si rivolga a un altro operatore comunitario che, acquistata la merce da un fornitore extracomunitario, la ceda allo stato estero ad altro importatore il quale, senza trasferire il proprio titolo, immetta la merce nel mercato dell’UE e poi la rivenda all’importatore tradizionale, compete in ogni caso al giudice nazionale verificare in concreto che detto meccanismo non si connoti come abuso del diritto. Tale abuso va accertato verificando che: a) anzitutto, in relazione alle esigenze che il meccanismo, dal punto di vista dell’elemento oggettivo rivelatore di una pratica abusiva: – non comporti un’influenza indebita di un operatore sul mercato e, in particolare, un’elusione, da parte degli importatori tradizionali, del divieto di superamento di quantità superiore alla quantità di riferimento dell’importatore di cui trattasi; – non comporti violazione dell’obiettivo: – secondo cui le domande di titoli devono essere connesse ad un’attività commerciale effettiva, e non meramente apparente; – che ogni fase del meccanismo si svolga a ¡fronte di un prezzo corrispondente al prezzo di mercato (in tal senso ogni operatore coinvolto deve percepire una remunerazione adeguata per l’importazione, la vendita o la rivendita della merce di cui trattasi, che gli consenta di mantenere la posizione assegnatagli nell’ambito della gestione del contingente); – e che l’importazione a dazio agevolato venga effettuata mediante titoli legalmente ottenuti dal loro intestatario; b) in secondo luogo, una volta accertato il sussistere dell’elemento oggettivo sub a), in relazione all’esigenza che sussista l’elemento soggettivo di conferire al secondo acquirente nell’unione un vantaggio indebito: – l’importazione sia stata finalizzata a conferire un tale vantaggio indebito a detto secondo acquirente; – le operazioni siano prive di qualsiasi giustificazione economica e commerciale per l’importatore nonché per gli altri Operatori intervenuti nel meccanismo (dato riscontrabile dal giudice nazionale, ad esempio, a seconda di se il prezzo di vendita della merce sia fissato a un livello tale da permettere o meno all’importatore e agli altri operatori intervenuti nel meccanismo di trarre un guadagno considerato normale o abituale, nel settore interessato, per il tipo di merce e di operazione in questione);”
– nella specie, la CTR non si attenuta ai suddetti principi, sussistendo senza dubbio – per quanto concerne l’applicazione e l’interpretazione . delle norme rilevanti – una divaricazione tra il contenuto della sentenza impugnata della Commissione tributaria regionale della Liguria e gli anzidetti principi di diritto e criteri valutativi di matrice giurisprudenziale unionale;
– in conclusione, va accolto il ricorso per quanto di ragione; con cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, per un riesame della vicenda alla luce dei principi sopra enunciati;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, anche per il governo delle spese del giudizio di legittimità.