CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 24883 depositata il 21 agosto 2023
Tributi – Avviso di rettifica dell’accertamento – Dazi antidumping e compensativo – Operazione triangolare – Consegna della merce ad un soggetto diverso dall’importatore – Fatturazione e spedizione (“invoiced and shipped”) all’importatore comunitario – Irrilevanza della materiale consegna della merce esportata all’importatore – Rigetto
Fatti di causa
La CTP di Ancona accoglieva il ricorso proposto dalla N. s.r.l. avverso l’avviso di rettifica dell’accertamento prot. n. (…) e contestuale provvedimento di irrogazione di sanzioni prot. (…), emessi in data 28.09.2012 dall’Ufficio doganale di Ancona, con i quali, a seguito di revisione, erano stati ripresi a tassazione i dazi antidumping e compensativo, in relazione ad alcune importazioni di polietilene tereftalato (PET), proveniente dal fornitore indiano R.I. Ltd, effettuate nell’anno (…).
Con la sentenza indicata in epigrafe, la CTR rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle dogane (ADM), osservando che:
– i Regolamenti CE 192/2007 e 193/2007 stabilivano che alle importazioni del PET dall’India, Indonesia, Malasya, Repubblica di Corea, Taiwan e Thailandia, se provenienti da alcune società identificate mediante determinati codici TARIC, non si applicavano i dazi antidumping e compensativo, in presenza di due condizioni: 1) il prodotto doveva essere fabbricato e spedito (“fatturato e spedito”) direttamente ad una società operante come importatore nella CEE; 2) il prodotto doveva essere accompagnato da valida fattura nella quale la società esportatrice garantiva espressamene il rispetto delle condizioni previste dalla normativa comunitaria;
– secondo l’ADM la N. s.r.l. aveva effettuato nell’anno (…) diverse importazioni in totale esenzione dai dazi antidumping e compensativo, essendo il fornitore la società di diritto indiano R.I. Ltd che rientrava fra quelle indicate nei citati Regolamenti, ma senza rispettare la condizione sub 1), in quanto il prodotto era stato spedito direttamente dall’India alla N. in Ancona, ma fatturato ad una società di diritto inglese con sede a Londra (la E. Ltd), sicché si era in presenza di una operazione triangolare, finalizzata ad eludere il pagamento dei predetti dazi;
– l’Ufficio, tuttavia, non aveva spiegato per quale ragione, diversa da quella di mera forma, vi sarebbe stata violazione o elusione della normativa antidumping, non essendo stati indicati né il vantaggio che la contribuente avrebbe ottenuto indebitamente dall’ipotizzato meccanismo di “triangolazione” né la ragione per la quale la N. non avrebbe potuto importare direttamente il prodotto, atteso che un’operazione può dirsi elusiva, solo se consente di ottenere, con determinati strumenti giuridici appositamente individuati, risultati altrimenti vietati o non consentiti dalla legge;
– l’unica ragione della rettifica desumibile dall’atto di appello, di evitare un aggravio dell’attività di controllo da parte dell’ADM, non poteva da sola giustificare la contestazione di una operazione elusiva;
– nella specie, non si poteva comunque ravvisare alcuna operazione di triangolazione o importazione indiretta, posto che dalla documentazione versata in atti risultava che il fornitore indiano aveva emesso fattura nei confronti della società inglese e quest’ultima, a sua volta, aveva fatturato alla N., avendo la contribuente spiegato il doppio passaggio con la esclusiva necessità di sfruttare il maggior peso economico dell’importatore inglese al fine di ottenere nei confronti del produttore indiano prezzi più favorevoli e avendo poi la società inglese concordato con il fornitore indiano che la consegna della merce avvenisse in un altro Stato membro, diverso dal Regno Unito;
– poiché la merce risultava in ogni caso fatturata e spedita dal fornitore indiano direttamente ad Europoliycom nel territorio doganale dell’UE e, solo successivamente, fatturata dalla società inglese alla N. con una congrua percentuale di ricarico, doveva escludersi che la contribuente avesse potuto ottenere, mediante una supposta operazione di triangolazione, indebiti vantaggi, diversi da quello, del tutto lecito, di beneficiare indirettamente della maggiore forza contrattuale ed economica dell’importatore britannico nel concordare il prezzo di acquisto.
Contro la suddetta decisione proponeva ricorso per cassazione l’ADM deducendo un unico articolato motivo.
La N. resisteva con controricorso, illustrato con memoria.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo, l’Agenzia deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dei Regolamenti CE 192/2007 e 193/2007 del 22/02/2007 per avere la CTR errato nel ritenere rispettata, ai fini del riconoscimento dell’esenzione dai dazi antidumping e compensativo, la condizione dell’esportazione diretta basandosi solo sul fatto che l’intermediario comunitario avrebbe pattuito con il fornitore indiano un diverso luogo di consegna della merce, benché la fornitura del PET indiano, giunta al porto di Ancora, non fosse stata poi spedita alla società inglese, ma consegnata alla N., con la conseguenza che quest’ultima società doveva essere considerata importatore, avendo ricevuto la merce di origine non unionale, posto che la consegna della merce ad un soggetto diverso dall’importatore (e non solo in un luogo diverso dalla sede dell’importatore) determina una triangolazione.
Aggiunge che era irrilevante che l’accordo fra la società inglese E. e la N. prevedesse la clausola DDP (Delivery Duty Paid), in base alla quale il venditore sostiene gli oneri connessi allo sdoganamento della merce, in quanto detta clausola riguardava la sola ripartizione dei rischi e delle spese fra le parti, ma non incideva sul regime doganale; a tale proposito precisa che l’intermediario inglese aveva solo sostenuto gli oneri finanziari, ma non aveva curato le operazioni di sdoganamento, atteso che le dichiarazioni doganali oggetto di rettifica erano state compiute in nome e per conto di N., la cui denominazione era riportata nella casella 8 del Documento Amministrativo Unico – DAU, riservata al destinatario della merce, laddove lo stesso documento menzionava E. nella casella 2, riservata all’esportatore, e non recava il nominativo del fornitore indiano.
2. Il motivo è infondato.
2.1 Secondo gli artt. 2, comma 1, dei Regolamenti CE 192/2007 e 193/2007, “le importazioni del prodotto fabbricato ed esportato direttamente (cioè fatturato e spedito) ad un’impresa operante come importatore nella Comunità dalle imprese di cui al paragrafo 3 (n.d.r.: imprese asiatiche specificamente individuate ed elencate in detto paragrafo, che si sono impegnate a non praticare prezzi molto più bassi di quelli vigenti nel mercato interno) sono esenti dai dazi…, a condizione che siano dichiarate al codice addizionale TARIC appropriato…(…)”.
2.2 Questa Corte ha già avuto modo di affermare, con riferimento ad una fattispecie analoga (Cass. 27/05/2020, n. 9892), che, secondo una interpretazione letterale della citata disposizione, l’unica condizione per l’esenzione daziaria è che ci sia stata la fatturazione e la spedizione (nel testo in lingua inglese “invoiced and shipped”) da una di tali imprese all’importatore comunitario, non richiedendo la norma unionale, come ulteriore requisito, che la merce esportata in via diretta all’importatore avente sede nell’UE debba anche essergli materialmente consegnata. Ne’ appare consentito giungere a detta conclusione in via interpretativa, perché la spedizione e la consegna costituiscono due concetti distinti e non è inusuale che il soggetto al quale la merce viene spedita (ovvero il soggetto che ne è destinatario e che assume l’obbligo del suo sdoganamento nel paese di destino) ne chieda la consegna – reso sdoganato – in un luogo diverso dalla propria sede.
2.3 Se ciò avviene, la ricorrenza in concreto dei presupposti per l’applicazione dell’esenzione (ovvero la verifica del rispetto delle condizioni di cui agli artt. 2 cit.) è una questione di fatto, il cui accertamento è riservato al giudice del merito.
2.4 Nel caso in esame, sia la CTR che la CTP hanno escluso che vi fosse stata un’illegittima triangolazione e che l’importazione fosse stata effettuata dalla N., rilevando che la merce era stata “fatturata e spedita” ad E. Ltd che, a sua volta, quale importatrice, l’aveva poi rivenduta, con maggiorazione del prezzo, alla N., per cui l’affermazione della ricorrente, secondo cui la qualifica di importatore avrebbe dovuto essere attribuita alla N., rivestendo la E. la qualità di mera intermediaria – venditrice allo stato estero – si risolve dunque in una inammissibile censura avverso il predetto accertamento.
2.5 Quand’anche si volesse interpretare il motivo come volto a denunciare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lo stesso sarebbe comunque inammissibile sia ai sensi dell’art. 348ter c.p.c., u.c. – già entrato in vigore alla data di proposizione dell’appello ed applicabile anche al ricorso avverso la sentenza della CTR (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053) -, sia ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto fondato su documenti (il DAU, il contratto stipulato fra E. e N.) che non sono stati specificamente allegati al ricorso e di cui non è stata indicata l’esatta collocazione processuale.
3. In conclusione, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna dell’ADM al pagamento, in favore della N. s.r.l., delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna l’Agenzia delle dogane e dei monopoli al pagamento, in favore della N. s.r.l., delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 10.000,00 per compenso, Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% sul compenso per rimborso forfettario delle spese generali ed accessori di legge.
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