CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 giugno 2019, n. 16647
Rapporto di lavoro subordinato – Indici della subordinazione – Sussistenza – Accertamento
Rilevato che
La Corte di appello di Napoli con la sentenza n. 916/2017 aveva accolto l’appello proposto da C. E. M. avverso la decisione con la quale il tribunale di S. Maria C.V. aveva rigettato la domanda dallo stesso proposta nei confronti di CNA M. S. diretta all’accertamento del rapporto di lavoro subordinato dal settembre 1997 al gennaio 1999 con CNA e dal febbraio 1999 all’aprile 2001 con CNA M. S. con inquadramento nel 2^ livello CCNL settore commercio.
La Corte territoriale, dopo aver premesso che in sede di gravame era stata reiterata la sola domanda relativa al riconoscimento del rapporto nei confronti della CNA M. S. e che dunque le ulteriori domande dovevano ritenersi abbandonate, così come pure la domanda riconvenzionale, aveva valutato, sulla base delle risultanze istruttorie raccolte, che tra il C. e la Cna M. S. era risultato sussistente un rapporto lavorativo connotato dagli indici tipici della subordinazione, così conseguentemente condannando la predetta datrice di lavoro a pagare al C. la somma di E. 20.562,07 comprensive di TFR, oltre interessi e rivalutazione.
Avverso detta decisione la società aveva proposto ricorso affidato a due motivi cui resisteva con controricorso il Crea.
Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
Parte ricorrente depositava successiva memoria .
Considerato che
l) -Con il primo motivo è dedotta la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 co.l n. 4 c.p.c., per essersi pronunciata, la corte territoriale, oltre i limiti della domanda. Rileva a riguardo la parte ricorrente che la domanda originaria era fondata sul presupposto del rapporto di lavoro con la società dal maggio 1999, come dalla stessa riconosciuto, e sulla richiesta delle conseguenti differenze retributive non interamente pagate dalla società. Risultava quindi viziata da ultrapetizione il riconoscimento del rapporto di lavoro con decorrenza dal febbraio 1999.
Il motivo risulta inammissibile in quanto carente di specificazione ed autosufficienza. Deve a riguardo rilevarsi che, a fronte dell’affermazione della corte territoriale, secondo cui l’appello aveva ad oggetto l’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato dal febbraio 1999 all’aprile 2001, come da conclusioni dell’atto di appello (pag. 2 sentenza), la parte ha solo enunciato il vizio di ultrapetizione, omettendo di trascrivere il ricorso in appello, sicché non sono rappresentati gli elementi per la valutazione di veridicità dell’asserzione, prioritari rispetto alla successiva determinazione circa la fondatezza dell’assunto.
Il motivo risulta altresì inammissibile perché contiene all’interno più prospettazioni sotto forma di ipotesi subordinate che non consentono di individuare l’esatto contenuto della censura e del vizio denunciato. Questa Corte ha chiarito che “nel ricorso per cassazione, i motivi di impugnazione che prospettino una pluralità di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme asseritamente violate sono inammissibili in quanto, da un lato, costituiscono una negazione della regola della chiarezza e, dall’altro, richiedono un intervento della Corte volto ad enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure” (Cass. n. 18021/2016). Nel caso di specie, sono enucleati in un unico motivo molteplici profili di vizi, non singolarmente enunciati rispetto al rispettivo punto decisorio della decisione.
Deve peraltro osservarsi che può ritenersi ammissibile il ricorso per cassazione nel quale si denunzino con un unico articolato motivo d’impugnazione vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto (come nel caso di specie), qualora, però, sia reso palese su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica. (Cass. n.20335/2017). Ciò non è invece accaduto nel caso in esame.
2) Con il secondo motivo è denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 co. l n. 5 c.p.c.). Parte ricorrente lamenta la mancata valutazione di una serie di documenti attestativi dell’avvenuto pagamento delle somme oggetto di condanna.
Il motivo risulta inammissibile poiché non è specificato ove, come e quando i detti documenti siano stati posti all’attenzione della corte di appello e come questi abbiano formato oggetto di contraddittorio (Cass. n. 7472/2017).
Anche in questo caso il motivo risulta altresì inammissibile perché contiene all’intero dell’unico motivo più prospettazioni sotto forma di ipotesi subordinate che non consentono di individuare l’esatto contenuto della censura e del vizio denunciato.
Il ricorso è manifestamente inammissibile.
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E. 3.000,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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