CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 marzo 2018, n. 6983
Fallimento ed altre procedure concorsuali – Fallimento – Concordato fallimentare – Trasferimento attività fallimentari all’assuntore – Limite quantitativo
Fatti di causa
1. Con decreto depositato in data 16 maggio 2013 il Tribunale di Milano ha accolto il reclamo proposto da T. s.r.l. ex art. 26 I. fall., designato quale assuntore e destinatario di tutte le attività fallimentari rispetto al concordato fallimentare omologato in data 6 – 17 luglio 2006 nell’ ambito del fallimento di Immobiliare E. s.r.l., dichiarando che la medesima compagine aveva diritto al trasferimento della liquidità giacente sul conto della procedura fallimentare nella misura eccedente la somma di € 1.200.000, pari a € 234.760,99 alla data del 5 marzo 2013.
2. Ha proposto ricorso per cassazione avverso tale pronuncia il curatore del fallimento Immobiliare E. s.r.l. onde far valere due motivi di impugnazione.
Ha resistito con controricorso T. s.r.l..
Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Ragioni della decisione
3. Il ricorrente ha inteso premettere che il decreto del Tribunale di Milano deve considerarsi ricorribile per Cassazione ai sensi dell’ art. 111, comma 7, Cost. dal momento che ha quantificato con effetti stabili e in via definitiva I’importo che la procedura ha I’obbligo di trasferire all’assuntore in adempimento del concordato fallimentare e ha così influito, con effetti costitutivi, sulle situazioni soggettive degli interessati.
Ciò posto il primo motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 124 I. fall, nel testo applicabile ratione temporis, a mente del quale la proposta di concordato fallimentare doveva necessariamente prevedere l’indicazione della percentuale offerta ai creditori chirografari, indicazione che costituiva un preciso obbligo a carico dell’assuntore nei confronti dei creditori.
Il decreto impugnato, facendo erronea applicazione della più recente disciplina del concordato fallimentare in tema di piena libertà di contenuto della proposta, non aveva considerato che nel caso di specie la proposta di concordato aveva promesso una percentuale di soddisfacimento del 50% e che la sentenza di omologa del concordato aveva spiegato che i creditori chirografari sarebbero stati soddisfatti nella misura del 52% e aveva conseguentemente ritenuto che la determinazione delle obbligazioni a carico del fallimento potesse prescindere dal loro contenuto.
Con il secondo motivo la sentenza impugnata è stata censurata, per vizio di motivazione ai sensi dell’ art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., perché il decreto impugnato aveva ordinato il pagamento della somma di € 234.760,99 quale differenza fra tutte le entrate registrate dall’ apertura del fallimento e I’ importo di € 1.200.000 promesso in pagamento dall’ assuntore senza tener conto del dato pacifico costituito dal pregresso pagamento della somma di € 30.414,68.
4. Entrambi i motivi di ricorso risultano inammissibili.
Le parti hanno dibattuto in sede di merito e continuano a controvertere in questa sede circa I’ interpretazione da attribuire alla sentenza di omologa, valorizzando I’ una la percentuale di soddisfo in essa prevista (intendendola come vincolante), I’ altra il rispetto del limite quantitativo di € 1.200.000 (qualificando lo stesso come preponderante rispetto alla percentuale indicata).
Risulta così evidente che i diritti di entrambe le parti – ivi compreso, per quanto attiene la questione qui controversa, quello al trasferimento in favore dell’ assuntore delle somme eccedenti il limite quantitativo indicato nella proposta e nella sentenza di omologa – sono stati regolati in via definitiva non tanto dal provvedimento del Giudice delegato e del Tribunale in sede di reclamo, quanto piuttosto dalla sentenza di omologa.
Il provvedimento impugnato in questa sede rappresenta invece un atto di carattere esecutivo al pari di quello precedente, a sua volta reso dal giudice delegato nell’ esercizio del potere/dovere di sorvegliare sull’ esecuzione del concordato previsto dall’ art. 136 I. fall., è espressione dell’ attività di sorveglianza e di controllo sull’ esecuzione del concordato ed è privo pertanto di carattere decisorio, dato che è insuscettibile d’ influire con efficacia di giudicato sulle situazioni soggettive di natura sostanziale dei soggetti interessati (fallito, assuntore del concordato e creditori), che sono state incise dalla sola sentenza d’ omologazione, la quale costituisce I’ unico titolo giuridico regolante il trasferimento dei beni di cui al concordato.
Ne consegue che il decreto del G.D. emesso in attuazione delle statuizioni contenute nel provvedimento di omologazione non ha natura decisoria e, dopo il reclamo ex art. 26 I. fall., non è impugnabile ai sensi dell’ art. 111, comma 7, Cost. (“Poiché il trasferimento dei beni all’ assuntore del concordato fallimentare trova titolo diretto ed immediato nella relativa sentenza di omologazione, mentre i successivi decreti del giudice delegato – ivi compresi quelli contenenti la specifica descrizione di tali beni necessaria ai fini della trascrizione del suddetto titolo, nonché I’ ordine di cancellazione delle iscrizioni gravanti sui cespiti ai sensi dell’ art. 136, terzo comma, legge fall. – hanno carattere meramente esecutivo, in quanto resi nell’ esercizio del suo potere dovere di sorveglianza sull’ attuazione del concordato, e sono privi di carattere decisorio, non potendo influire con efficacia di giudicato sulle situazioni soggettive di natura sostanziale degli interessati, incise solo dalla menzionata sentenza, ne deriva che tali decreti non sono impugnabili con ricorso straordinario per cassazione” Sez. 1, n. 6643/2013).
In altri termini il decreto del tribunale fallimentare in merito alla misura dei crediti da soddisfare e delle somme da attribuire all’assuntore, non potendo avere ad oggetto questioni decise con la sentenza di omologazione, le quali devono trovare la loro soluzione in sede contenziosa nelle forme ordinarie, non è idoneo a pregiudicare in modo definitivo e con carattere decisorio i diritti soggettivi delle parti (Sez. 1, n. 3921/2009; Sez. 1, Sentenza n. 16598/2008).
5. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Non è accoglibile, da ultimo, la domanda presentata dal controricorrente perché la controparte sia condannata al risarcimento dei danni per lite temeraria ex art. 96 c.p.c. per aver agito nella consapevolezza dell’ infondatezza della propria domanda.
A tal fine non è sufficiente la deduzione ad opera di una parte di assunti ritenuti errati dall’ organo giudicante, ma è necessaria, trattandosi di una sanzione per I’ inosservanza del dovere di lealtà e probità cui ciascun soggetto processuale è tenuto, la consapevolezza dell’ infondatezza delle tesi giuridiche addotte, che deve essere dedotta e dimostrata dalla parte istante (Sez. 3, n. 1562/2010).
Un simile onere probatorio non è stato adeguatamente assolto dal controricorrente, il quale ha allegato ragioni riguardanti il merito della controversia che non hanno rilievo alcuno in questa sede e dunque non sono idonee a dimostrare il carattere doloso dell’ iniziativa avversaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere alla controparte le spese di lite, che liquida in complessivi € 6.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’ art. 13, comma 1 – quater, d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13.
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