CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 marzo 2019, n. 8024
Inps – Gestione commercianti – Cartella esattoriale – Pagamento dei contributi – Socio accomandatario – Prova dello svolgimento dell’attività commerciale
Rilevato che
1. con sentenza del 17 agosto 2013, la Corte di Appello di Venezia confermava la decisione del Tribunale in sede di accoglimento delle opposizioni proposte, con separati ricorsi, da G.G. a cinque cartelle esattoriali con le quali l’INPS, in proprio e nella indicata qualità, gli aveva chiesto il pagamento di contributi e relative somme aggiuntive dovuti alla Gestione Commercianti per gli anni 2006-2007;
2. ad avviso della Corte territoriale la G.D. s.a.s. di cui il G. era socio accomandatario non esercitava un’attività commerciale essendosi limitata a percepire il canone riveniente dall’affitto del capannone di cui era proprietaria e, quindi, l’attività svolta dal predetto quale socio accomandatario necessariamente non poteva aveva un minimo di consistenza e di abitualità come attività commerciale;
3. per la cassazione di tale decisione propone ricorso l’istituto, in proprio e nella qualità di procuratore speciale della S.C.C.I. s.p.a., affidato ad un unico motivo cui resiste con controricorso il G.;
Considerato che
4. con l’unico motivo di ricorso viene dedotta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1, commi 202, 203 e 208, legge 27 dicembre 1996 n. 662 ( ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc. civ.) assumendosi: che, contrariamente a quanto sostenuto nella impugnata sentenza, il socio accomandatario era per ciò stesso, in quanto soggetto abilitato a compiere atti in nome della società, tenuto alla iscrizione nella Gestione Commercianti perché l’esercizio dell’attività commerciale in modo abituale e prevalente era “in re ipsa”, ossia immediatamente e direttamente correlato all’essere socio con poteri di gestione della società; che l’attività di riscossione di canoni di locazione di immobile, rientrando in quella più ampia di gestione del patrimonio immobiliare, aveva natura commerciale;
5. il motivo è infondato in quanto presupposto imprescindibile per l’iscrizione alla gestione commercianti è – per il disposto dalla legge 23 dicembre 1996 n. 662, art. 1 comma 203 – la prova dello svolgimento di un’attività commerciale che, nella specie, risulta essere stato escluso con un accertamento in fatto da parte della Corte territoriale supportato da una motivazione adeguata ed immune dai denunciati vizi; nell’impugnata sentenza, infatti, è stato rilevato che la G.D. s.a.s. di cui il G. era socio accomandatario non svolgeva alcuna attività diretta all’acquisto ed alla gestione di beni immobili limitandosi alla riscossione del canone relativo alla locazione del capannone di cui era proprietaria;
6. tale decisione è il linea con il principio già espresso da questa Corte secondo cui la società di persone che svolga una attività destinata alla locazione di immobili di sua proprietà ed a percepire i relativi canoni di locazione non svolge un’attività commerciale ai fini previdenziali a meno che detta attività non si inserisca in una più ampia di prestazione di servizi quale l’attività di intermediazione immobiliare (Cass. n. 3145 dell’11 febbraio 2013 e ribadito inCass. n. 9964 del 23 aprile 2018,Cass. n.17643 del 6 settembre 2016 tra le numerose); peraltro, è evidente che dovendosi considerare lo svolgimento in concreto di un’attività commerciale non rileva il contenuto dell’oggetto sociale;
7. per completezza, è anche il caso di ricordare il principio affermato da questa Corte (Cass. n. 3835 del 26 febbraio 2016) secondo cui ai sensi dell’art. 1, comma 203, L. n. 662/1996, che ha modificato l’art. 29 L. 3 giugno 1975 n. 160, e dell’art. 3 L. 28 febbraio 1986 n. 45, nelle società in accomandita semplice la qualità di socio accomandatario non è sufficiente a far sorgere l’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali, essendo necessaria anche la partecipazione personale al lavoro aziendale, con carattere di abitualità e prevalenza, la cui ricorrenza deve essere provata dall’istituto assicuratore, prova che, nel caso in esame, secondo la Corte di Appello non è stata fornita essendo emerso che il G. si limitava a riscuotere il canone di locazione dell’immobile di cui la società era proprietaria;
8. pertanto, il ricorso va rigettato;
9. le spese del presente giudizio, seguono la soccombenza, e sono liquidate nella misura di cui al dispositivo;
10. sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, deld.P.R.30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi);
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto del sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.