CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 maggio 2020, n. 9496
Tributi – Accertamento – IRPEF e IVA – Accertamento cd. “a tavolino” – Contraddittorio preventivo – Obbligatorio in presenza di tributi armonizzati
Rilevato che
Con sentenza in data 22 maggio 2018 la Commissione tributaria regionale della Toscana accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la decisione di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto da G.P.P. contro gli avvisi di accertamento relativi ad IRPEF e IVA per gli anni 2008-2011. Rilevava la CTR che, nel caso di specie, relativo ad un accertamento c.d. «a tavolino», l’Ufficio non era tenuto ad attivare il contraddittorio preventivo, a rilasciare processo verbale di constatazione e ad osservare il termine dilatorio di sessanta giorni prima della emissione dell’atto impositivo. Riteneva inoltre il giudice di appello che correttamente l’Ufficio avesse ritenuto che i compensi percepiti dal contribuente – esercente l’attività di geometra – quale amministratore di società dovessero essere considerati redditi di lavoro autonomo.
Avverso la suddetta sentenza il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
L’Agenzia delle entrate ha depositato mero atto di costituzione.
Sulla proposta del relatore ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. risulta regolarmente costituito il contraddittorio camerale.
Considerato che
Con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 12 l. n. 212/2000 nonché dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, per non avere la CTR tenuto conto che gli accertamenti avevano per oggetto (anche) un tributo armonizzato (IVA), di tal che l’Amministrazione finanziaria era gravata dell’obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale.
Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per non avere la CTR esaminato il fatto, concernente la tipologia del tributo (IVA), che rendeva necessaria l’attivazione del contraddittorio endoprocedimentale.
I due motivi, esaminabili congiuntamente, sono fondati.
Le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza 9 dicembre 2015, n. 24823, hanno chiarito che l’ambito di applicazione dell’art. 12, comma 7, della l. n. 212/2000 è circoscritto ai soli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali del contribuente, non essendo espressione di un principio generale dell’ordinamento tributario e non trovando quindi applicazione al di fuori delle ipotesi esplicitamente previste. Ciò comporta che l’Ufficio, al di fuori di tali ipotesi, «può emettere l’avviso di accertamento anche in assenza di un processo verbale che attesti la chiusura dell’attività istruttoria, in difetto di norme che impongano un obbligo di verbalizzazione e laddove sia prevista una fase necessaria di contraddittorio procedimentale, che garantisce pienamente la partecipazione e l’interlocuzione del contribuente prima dell’emissione dell’accertamento» (cfr. anche, tra le molte, Cass. sez. 6-5, ord. 26 maggio 2016, n. 10904; Cass. sez. 6-5, ord. 20 aprile 2016, n. 8000; Cass. sez. 6-5, ord. 15 aprile 2016, n. 7600; Cass. sez. 6-5, ord. 14 ottobre 2016, n. 20849).
Le stesse Sezioni Unite hanno posto poi la basilare distinzione, riguardo al tema del contraddittorio endoprocedimentale, a seconda che si tratti o meno di tributi armonizzati, questi ultimi soggetti al diritto dell’Unione europea, chiarendo che «in tema di tributi c.d. non armonizzati, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi cd. armonizzati, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto» (nella successiva giurisprudenza conforme si vedano, tra le altre, Cass. sez. 5, 3 febbraio 2017, n. 2875; Cass. sez. 6-5, ord. 20 aprile 2017, n. 10030; Cass. sez. 6-5, ord. 5 settembre 2017, n. 20799; Cass. sez. 6-5, ord. 11 settembre 2017, n. 21071; Cass. sez. 6-5, ord. 14 novembre 2017, n. 26943; Cass. sez. 6 – 5, ord. 27 luglio 2018 n. 20036; Cass. sez. 6 – 5, ord. 29 ottobre 2018, n. 27420). Nel caso di specie, relativo ad accertamento c.d. «a tavolino», l’obbligo di attivare il contraddittorio endoprocedimentale per i tributi armonizzati (IVA) deve essere verificato in relazione all’assolvimento o meno dell’onere del contribuente di aver prospettato in concreto le ragioni le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato. Va dunque demandato al giudice del rinvio di effettuare la c.d. «prova di resistenza» in relazione alle riprese IVA.
Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 50, comma 1, lett. c-bis) t.u.i.r. Sostiene il ricorrente che il giudice di appello aveva ricondotto nell’ambito del lavoro autonomo il reddito derivante dalla carica di amministratore ricoperta dal contribuente senza tenere conto che l’art. 50, comma 1, lett. c-bis) t.u.i.r., aveva introdotto, con decorrenza 1° gennaio 2001, una nuova disciplina dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di regola assimilati ai redditi di lavoro autonomo.
Il motivo è fondato.
La CTR ha posto a fondamento della propria decisione il disposto dell’art. 5, comma 2, d.P.R. n. 633/1972, secondo cui non si considerano effettuate nell’esercizio di arti e professioni le prestazioni di servizi inerenti i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art. 49 del d.P.R. n. 597/1973 (ratione temporis) resa da soggetti che non esercitano per professione abituale altre attività di lavoro autonomo. Ha rilevato che l’attività svolta dal contribuente non rientrava in tale paradigma normativo in quanto il professionista espletava, per professione abituale, oltre all’attività di presidente del consiglio di amministrazione della P.I. s.r.I., anche l’attività di geometra, sicché entrambe le attività producevano redditi di lavoro autonomo ed erano soggette ad IVA. Osservava, inoltre, che sussisteva affinità tra l’attività professionale di geometra e l’attività di presidente di società operante nel settore edile.
Il giudice di appello, nell’esprimere tali valutazioni, non ha considerato che il parametro normativo di riferimento era invece costituito dalla lett. c-bis) dell’art. 50, comma 1, t.u.i.r., introdotta dalla l. n. 342/2000 con decorrenza dal 1° gennaio 2001, che ha previsto una nuova qualificazione fiscale dei redditi derivanti dai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. Tale disposizione normativa ha, in particolare, stabilito che sono assimilate ai redditi di lavoro dipendente le somme percepite in relazione agli uffici di amministratore di società (con o senza personalità giuridica), sempreché gli uffici non rientrino nell’oggetto della professione di cui all’art. 53, comma 1, t.u.i.r., concernente redditi di lavoro autonomo.
La sentenza impugnata va sul punto cassata, avendo omesso la CTR di valutare, in riferimento alla fattispecie concreta, la portata innovativa della nuova disposizione rispetto alla precedente disciplina normativa.
Resta assorbito il quarto motivo di impugnazione, concernente la dedotta illegittimità delle sanzioni irrogate.
Alla stregua delle considerazioni svolte, in accoglimento dei primi tre motivi di ricorso, assorbito il quarto, la sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, la quale provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso, dichiara assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.