CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 marzo 2019, n. 8264
Imposte dirette – IRPEF – Contenzioso tributario – Procedimento – Ricorso per cassazione – Motivi – Vizio denunciabile
Rilevato che
– in controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento ai fini IRPEF emesso nei confronti del contribuente con riferimento all’anno d’imposta 2008, l’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione con tre motivi, cui replica l’intimato con controricorso, avverso la sentenza della CTR che aveva affermato di condividere le argomentazioni del giudice di prime cure e, comunque, dichiarato inammissibile, perché tardivo, l’appello proposto dalla predetta amministrazione finanziaria avverso la sfavorevole sentenza di primo grado.
– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio;
Considerato che
1. Il primo motivo, con cui è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., 36 d.lgs. n. 546 del 1992, è incentrato sul vizio di motivazione assoluta della sentenza impugnata, sub specie di motivazione apparente, in relazione alla dichiarazione di inammissibilità dell’appello perché tardivamente proposto.
2. Il secondo motivo è incentrato sulla violazione dell’art. 1 della legge n. 742 del 1969, 51 d.lgs. n. 546 del 1992 e 327 cod. proc. civ., per non avere i giudici di appello tenuto conto, ai fini del termine di impugnazione, della sospensione feriale di detto termine.
3. Il terzo motivo, con cui è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., 35 e 36 d.lgs. n. 546 del 1992, è incentrato ancora sul vizio di motivazione apparente della sentenza impugnata ma in relazione alla statuizione d’appello di conferma della sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso della parte contribuente.
4. I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi tra loro, sono fondati e vanno accolti.
5. Al riguardo va ricordato che il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (Cost., art. 111, sesto comma), e cioè dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata; l’obbligo del giudice «di specificare le ragioni del suo convincimento», quale «elemento essenziale di ogni decisione di carattere giurisdizionale» è affermazione che ha origine lontane nella giurisprudenza di questa Corte e precisamente alla sentenza delle sezioni unite n. 1093 del 1947, in cui la Corte precisò che «l’omissione di qualsiasi motivazione in fatto e in diritto costituisce una violazione di legge di particolare gravità» e che <de decisioni di carattere giurisdizionale senza motivazione alcuna sono da considerarsi come non esistenti» (in termini, Cass. n. 2876 del 2017; v. anche Cass., Sez. U., n. 16599 e n. 22232 del 2016 e n. 7667 del 2017 nonché la giurisprudenza ivi richiamata).
5.1. Alla stregua di tali principi consegue che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e che presentano una «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire «di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato» (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un «ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo», logico e consequenziale, «a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi» (Cass. cit.; v. anche Cass., Sez. un., n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata).
5.2. Deve quindi ribadirsi il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui la motivazione è solo apparente — e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo — quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 2016, Rv. 641526-01; conf. Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 14927 del 2017).
5.3. Va altresì ricordato che «La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.
Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione» (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
6. La motivazione della sentenza impugnata rientra paradigmaticamente nelle gravi anomalie argomentative individuate in detti arresti giurisprudenziali, dunque, concretizzando un chiaro esempio di “motivazione apparente”, ponendosi sicuramente al di sotto del “minimo costituzionale”.
6.1. La CTR, infatti, ha dichiarato inammissibile l’appello agenziale affermando che lo stesso «da documentazione allegata, è stato notificato oltre il termine previsto (artt. 46 e 58 della legge 04 luglio 2009, n. 69) dalla pubblicazione della sentenza». Orbene, tali considerazioni/affermazioni non estrinsecano il percorso argomentativo che ha indotto i giudici di appello a tale convincimento e pertanto nel loro — limitato — ordito realizzano un tipico esempio di “motivazione apparente”, così come denunciato nella censura de qua, posto che non è dato comprendere quale documentazione la CFR ha esaminato e la valenza probatoria della stessa.
Tale conclusione è condivisa anche dai controricorrenti i quali hanno espressamente affermato che «non conosciamo le motivazioni che hanno indotto i giudici della CTR a ritenere tardivo il predetto appello» (controricorso pag. 3), che, tenuto conto del deposito della sentenza di primo grado, effettuato in data 11/09/2014, l’appello spedito a mezzo posta in data 12/03/2015 e pervenuto al destinatario in data 16/03/2015 (per come ammesso dagli stessi controricorrenti) era senz’altro tempestivo ove fosse stato considerato il periodo di sospensione feriale del termine di impugnazione.
7. Il terzo motivo di ricorso è invece inammissibile alla stregua del principio giurisprudenziale secondo il quale «Qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata» (Cass., Sez. U, Sentenza n. 3840 del 20/02/2007, Rv. 595555 — 01; conf. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 17004 del 20/08/2015, Rv. 636624 — 01, nonché Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 30393 del 19/12/2017, Rv. 646988 – 01).
8. Conclusivamente, quindi, vanno accolti il primo e secondo motivo di ricorso, dichiarato inammissibile il terzo, la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata alla competente CTR perché riesamini la vicenda processuale alla stregua dei suesposti principi, fornendo congrua motivazione, e provveda altresì a regolamentare le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo e secondo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale del Lazio, Sezione staccata di Latina, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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