CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 ottobre 2018, n. 26731
Tributi – Imposta di registro, ipotecaria e catastale – Accertamento – Beni immobili – Art. 52, co. 4, del DPR n. 131/1986
Ragioni della decisione
costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis- c.p.c., come integralmente sostituito dal comma 1, lett. e), dell’art. 1 – bis del d.l. n. 168/2016, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 197/2016, osserva quanto segue;
La CTR della Campania – sezione staccata di Salerno – con sentenza n. 10942/4/2015, depositata il 3 dicembre 2015, non notificata, accolse l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della sig.ra M.I.V.B. avverso la decisione della CTP di Salerno, che aveva accolto il ricorso proposto dalla contribuente avverso avviso di liquidazione, con il quale l’Ufficio aveva liquidato gli importi ritenuti dovuti per imposta di registro, ipotecaria e catastale in relazione a sentenza di usucapione pronunciata dal Tribunale di Salerno — sezione distaccata di Amalfi.
Avverso la sentenza della CTR la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 52 del d.P.R. n. 131/1986 (TUR), in combinato disposto con l’art. 7 della l. n. 212/2000, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto l’atto impugnato dalla contribuente sufficientemente motivato, quantunque esso non recasse l’indicazione della base imponibile e delle aliquote applicate.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ancora violazione e falsa applicazione dell’art. 52 del d.P.R. n. 131/1986 (TUR), in combinato disposto con l’art. 7 della I. n. 212/2000, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto infondata la censura con la quale la ricorrente aveva dedotto la nullità dell’atto impugnato per omessa allegazione della sentenza, sul presupposto che la stessa, di cui era indicato il numero di cronologico, fosse stata resa in giudizio del quale era stata parte la ricorrente ed il cui dispositivo era stato comunicato al difensore costituito.
3. Il primo motivo è manifestamente fondato.
Non è controverso, in fatto, che l’avviso di liquidazione in oggetto sia privo dell’indicazione della base imponibile e delle aliquote applicate in relazione ai tributi con esso liquidati, dandone atto la stessa sentenza impugnata ed avendo comunque parte ricorrente assolto l’onere di autosufficienza, allegando al ricorso detto avviso di liquidazione ed indicandone tempo e luogo di produzione nel giudizio di merito.
Del resto, la stessa Amministrazione controricorrente fa riferimento a circostanze estranee al contenuto dell’atto onde supportarne il profilo motivazionale, come l’attribuzione del valore venale del bene trasferito sulla base di verbale di assemblea straordinaria di società di aumento di capitale sociale che recepiva relazione di stima di esperto nominato dalle parti, a seguito d’invito rimasto inevaso a far pervenire dichiarazione di valore del bene oggetto di trasferimento.
3.1. Ciò posto, la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto sufficiente per confermare la legittimità dell’atto impugnato il richiamo in esso agli estremi della sentenza, non allegata all’avviso di liquidazione, resa in giudizio in cui la contribuente era stata parte e della quale era stato comunicato il solo dispositivo, si pone in contrasto con il disposto dell’art. 52, commi 2 e 2 bis del d.P.R. n. 131/1986 e 7 della l. n. 212/2000, così come interpretati dalla giurisprudenza di questa Corte, che ha avuto modo di affermare, proprio con riferimento ad atto presupposto costituito da sentenza, il principio secondo il quale, «In tema di riscossione tributaria, la necessità di specifica motivazione dell’avviso di liquidazione emesso non si traduce nel mero richiamo degli atti prodromici , ma richiede anche la determinazione del tributo dovuto e l’indicazione degli elementi matematici posti alla base di tale quantificazione, onde consentire al contribuente la verifica della correttezza del calcolo operato dall’Amministrazione finanziaria» (cfr. Cass. sez. 5, 29 novembre 2016, n. 24220), avuto riguardo anche al fatto che non è possibile integrare la carenza motivazionale dell’atto recante la pretesa dell’Amministrazione con ulteriori elementi dedotti solo in sede giudiziale (cfr. Cass. sez. 6-5, ord. 21 maggio 2018, n. 12400).
La sentenza impugnata va dunque cassata in accoglimento del primo motivo, assorbito il secondo.
4. Non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, la causa può dunque essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, comma 2, ultima parte, c.p.c., con raccoglimento dell’originario ricorso della contribuente.
5. Avuto riguardo all’andamento del giudizio possono essere compensate tra le parti le spese del doppio grado di merito, ponendosi a carico dell’Amministrazione controricorrente, secondo soccombenza, le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso in relazione al primo motivo, assorbito il secondo.
Cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie l’originario ricorso della contribuente.
Dichiara compensate tra le parti le spese del doppio grado di merito e condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00 oltre al contributo unificato, ed agli accessori di legge, se dovuti.
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