CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 agosto 2018, n. 21067
Imposte indirette – IVA – Riscossione – Avviso di pagamento – Immissione virtuale di merce extra UE
Rilevato che
– la C.C.T. R.I. s.r.l. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata il 10 gennaio 2013, di reiezione dell’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso della contribuente per l’annullamento di un avviso di pagamento con cui era stato contestato l’omesso versamento dell’I.V.A. all’importazione in relazione all’immissione solo virtuale di merce extra UE nel deposito fiscale gestito dalla S. A. s.p.a. e al conseguente indebita fruizione del trattamento agevolativo della sospensione del pagamento dell’imposta;
– dall’esame della sentenza impugnata si evince che il giudice di appello, confermando la decisione della Commissione provinciale, ha ritenuto insussistente l’eccezione di incompetenza dell’Ufficio Doganale che aveva emesso l’atto impositivo e, nel merito, rilevata la differenza tra l’I.V.A. all’importazione e l’I.V.A. nazionale, ha escluso che ricorressero le condizioni per la fruizione del regime agevolativo di sospensione dell’I.V.A. all’importazione in difetto della materiale introduzione dei beni nel deposito fiscale;
– il ricorso è affidato a due motivi;
– resiste con controricorso l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli;
– la ricorrente deposita memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.;
Considerato che
– occorre preliminarmente rilevare che la ricorrente ha depositato la memoria in data 14 marzo 2018, tardivamente, dunque, rispetto alla scadenza prevista dall’art. 380-bis.1, c.p.c.;
– con il primo motivo di ricorso il contribuente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 50 bis, d.l. 30 agosto 1991, n. 331, conv. dalla I. 29 ottobre 1993, n. 427, e 16, d.l. 29 novembre 2008, n. 185, conv. dalla I. 28 gennaio 2009, n. 2, nonché l’omessa, erronea o contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che le merci in oggetto non fossero state introdotte nel deposito doganale;
– con riferimento alla violazione di legge evidenzia che l’imposta era stata correttamente assolta all’estrazione, che la pretesa di un nuovo pagamento avrebbe dato luogo ad una duplicazione dell’imposta medesima e che, comunque, la merce doveva considerarsi introdotta nel deposito a seguito della sua consegna al depositario, a nulla rilevando la omessa materiale immissione nel luogo fisico;
– sottolinea, poi, in ordine al vizio motivazionale prospettato, il difetto della prova della mancata introduzione della merce nel deposito doganale e la mancata considerazione degli elementi emergenti dai provvedimenti da cui il giudice penale aveva escluso ogni coinvolgimento del legale rappresentante della società contribuente dal reato di contrabbando doganale;
– con il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 7, quarto comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché l’omessa, erronea o contraddittoria motivazione, nella parte in cui la sentenza impugnata ha desunto la prova della mancata introduzione delle merci nel deposito doganale dalle dichiarazioni rese dagli autotrasportatori nel corso delle indagini penali, poi trasfuse nel processo verbale di constatazione posto a fondamento dell’atto impositivo;
– occorre, per motivi di ordine logico, esaminare prioritariamente tale secondo motivo di ricorso, nonché il vizio motivazionale prospettato con il primo motivo di ricorso;
– tali censure sono, quanto ai vizi motivazionali, inammissibili, e, quanto alla violazione di legge denunciata, infondate;
– infatti, l’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., così come riformulato dall’art. 54, d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. nella I. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all‘omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (cfr. Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053);
– ne consegue che non è più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo giustificativo della decisione adottata sulla base di elementi fattuali ritenuti dal giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (cfr. Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940);
– il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà, dunque, luogo ad un vizio denunciabile con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (così, Cass. 10 giugno 2016, n. 11892);
– nel caso in esame, il giudice di appello ha proceduto all’esame della documentazione probatoria prodotta dall’Ufficio (in particolare, dichiarazioni degli autotrasportatori e fatture che indicano il numero del container e il percorso effettuato), giungendo alla conclusione della sua idoneità a dimostrare l’assunto della parte;
– sotto altro aspetto, spetta al giudice del merito, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge, per cui non può sindacarsi la valutazione delle prove dal medesimo effettuata;
– è, invece, fondata, nei limiti che seguono, la doglianza relativa alla violazione di legge prospettata con il primo motivo di ricorso;
– in tema di depositi fiscali ai fini I.V.A., previsti dall’art. 50-bis del d.l. n. 331 del 1993, convertito, con modificazioni, nella I.n. 427 del 1993, l’esenzione dall’I.V.A. all’importazione per l’ammissione in libera pratica di beni non comunitari presuppone l’effettivo immagazzinamento della merce, essendo la materialità del deposito, anche se non esplicitamente prevista dalla norma, insita nella stessa nozione civilistica del termine e richiesta dalla corrispondente disciplina comunitaria (artt. 98-110 del Regolamento CEE n. 2913/92 del Consiglio del 12 ottobre 1992, istitutivo del codice doganale comunitario, applicabile ratione temporis), con la conseguenza che, in mancanza di tale presupposto, l’I.V.A. all’importazione è dovuta, in via solidale, da tutti i soggetti che abbiano concorso all’irregolare introduzione della merce (art. 38, d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43), compreso il gestore del deposito, il quale è responsabile a tale titolo, a prescindere dal fatto che l’art. 50-bis lo renda comunque responsabile del mancato assolvimento dell’I.V.A. interna (cfr. Cass., ord., 8 settembre 2015, n. 17814; Cass., ord., 29 luglio 2015, n. 16109; Cass. 19 maggio 2010, n. 12263);
– la giurisprudenza unionale ha confermato la piena compatibilità della legislazione e della giurisprudenza interna in tema di obbligatorietà dell’inserimento effettivo della merce nel deposito I.V.A., riconoscendo ai singoli Stati la possibilità di determinare le modalità con le quali fare operare il sistema del deposito fiscale dal quale derivare il beneficio dell’esenzione del pagamento dell’I.V.A. ai sensi dell’art. 16, paragrafo 1, della sesta direttiva CEE (vedi, Corte Giust., 17 luglio 2014, Equoland; Corte Giust., 18 dicembre 2008, Sopropé).
– con riguardo, specificamente, alla normativa nazionale la richiamata decisione del 17 luglio 2014, Equoland, ha aggiunto che «… il legislatore italiano ha previsto che, al fine di poter beneficiare dell’esenzione dal pagamento dell’i.v.a all’importazione, il soggetto passivo abbia l’obbligo di introdurre fisicamente la merce importata nel deposito fiscale, poiché si presume che tale presenza fisica garantisca la successiva riscossione dell’imposta», obbligo che ha carattere formale ma è rilevante in quanto « … è atto a permettere di conseguire efficacemente gli obiettivi perseguiti», senza eccedere «quanto necessario per conseguire i suddetti obiettivi»;
– diversa valutazione, invece, è stata operata quanto all’assolvimento dell’I.V.A. nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile mediante autofatturazione che – secondo la Corte di Giustizia, a prescindere dai profili strettamente sanzionatori ivi specificamente considerati, qui non rilevanti – « … consente di contrastare l’evasione e l’elusione fiscale», sicché la richiesta «di un nuovo pagamento dell’I.V.A. già assolta, senza che tale secondo pagamento conferisca un diritto di detrazione, non può considerarsi conforme al principio di neutralità dell’I.V.A.»;
– l’introduzione solo virtuale della merce importata nel deposito fiscale comporta, quindi, che l’Iva è dovuta al momento dell’importazione, sicché il pagamento mediante il meccanismo dell’inversione contabile costituisce un adempimento tardivo dell’imposta sul valore aggiunto;
– tale versamento tardivo, tuttavia, in mancanza di un tentativo di frode o di danno al bilancio dello Stato, è suscettibile di integrare solo una violazione formale, che non può rimettere in discussione il diritto a detrazione del soggetto passivo;
– ne deriva, secondo la Corte di Giustizia, che, in considerazione del ruolo preponderante del diritto a detrazione nel sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto, diretto a garantire la perfetta neutralità fiscale di tale imposta rispetto a tutte le attività economiche, una sanzione tale da tradursi in un diniego del diritto a detrazione non è conforme alla sesta direttiva in mancanza di frode o danno per il bilancio dello Stato;
– i principi sopra esposti sono sicuramente rilevanti nella vicenda in esame, in cui si controverte della rettifica relativa all’I.V.A. all’importazione a carico dell’importatore che si era limitato ad inserire virtualmente la merce immessa in libera pratica nel deposito I.V.A.;
– orbene, in applicazione degli enunziati principi, deve ritenersi che, in mancanza della regolare introduzione nel deposito I.V.A., la merce doveva considerarsi quale oggetto di un’importazione definitiva ai sensi dell’art. 67, d.P.R. n. 633 del 1972, giustificando, pertanto, ai sensi dell’art. 78 del Regolamento CEE n. 2913/1992 e dell’art. 11, d.lgs. 8 novembre 1990, n. 374, l’operato dell’Ufficio in punto di rettifica della dichiarazione di immissione;
– siffatta conclusione non è incisa dall’invocato art. 16, comma 5-bis, del d.l. n. 185 del 2008, conv. dalla I.n. 2 del 2009, secondo cui «la lettera h) del comma 4 dell’articolo 50-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, si interpreta nel senso che le prestazioni di servizi ivi indicate, relative a beni consegnati al depositarlo, costituiscono ad ogni effetto introduzione nel deposito I.V.A.», in quanto la società contribuente non ha allegato di avere svolto tali prestazioni di servizi venendo in discussione unicamente la mancata osservanza della previsione di cui alla lett. b) del comma 4 dell’art. 50-bis;
– l’accoglimento del motivo va, dunque, temperato in relazione al dedotto assolvimento dell’I.V.A. mediante autofattura «emessa all’atto dell’estrazione della merce dal deposito», ossia all’asserito assolvimento dell’I.V.A. interna con il meccanismo del reverse charge sull’omesso versamento dell’I.V.A. all’importazione, che la Corte di Giustizia ha affermato integrare modalità idonea a soddisfare l’obbligo impositivo (cfr., oltre alle pronunce citate in precedenza, Cass. 17 maggio 2017, n. 12231);
– spetterà dunque al giudice del rinvio verificare se l’autofatturazione dell’I.V.A. interna all’atto dell’estrazione della merce solo virtualmente inserita nel deposito I.V.A., con registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite del soggetto passivo, sia stata in concreto idonea a determinare l’assolvimento, sia pur tardivo, dell’I.V.A. all’importazione;
– ciò inoltre comporta – sempre alla luce della predetta pronuncia della Corte di Giustizia, per la quale in tale ipotesi la parte è incorsa in una violazione solo formale, che ben può essere sanzionata, in relazione allo scarto temporale tra la dichiarazione e l’autofatturazione con una specifica sanzione per il ritardo, in misura non fissa, consistente anche nel computo degli interessi di mora – che anche la determinazione degli interessi (e delle sanzioni) debba essere necessariamente ancorata all’effettivo soddisfacimento della pretesa impositiva;
– in accoglimento del ricorso nei termini di cui in motivazione la sentenza va cassata con rinvio, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, nei sensi di cui in motivazione, relativamente al vizio di violazione di legge, e dichiara inammissibile lo stesso, relativamente al vizio motivazionale; dichiara inammissibile il secondo motivo, relativamente al vizio motivazionale, e lo respinge, relativamente alla violazione di legge; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria della Campania in diversa composizione.
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