CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 agosto 2018, n. 21142
Imposte dirette – IRPEF – Accertamento – Riscossione – Redditi di partecipazione
Fatti di causa
L’Agenzia delle entrate ricorre, con quattro motivi (che, salvo il terzo motivo, che ne è privo, si concludono con la formulazione di altrettanti quesiti di diritto), nei confronti di S.S., rimasta intimata, avverso la sentenza della Commissione tributaria centrale delle Marche (hinc: CTC) in epigrafe che – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento che recuperava a tassazione, ai fini IRPEF, per l’anno d’imposta 1985, redditi di partecipazione ad una società di capitali, nei confronti della quale erano stati accertati ricavi non contabilizzati e costi fittizi – ha rigettato l’appello dell’Ufficio, confermando la sentenza impugnata, favorevole alla contribuente.
La CTC ha fondato la decisione su questa asserzione: «L’Ufficio infatti non ha fornito elementi per determinare se ed in che misura i maggiori ricavi e la simulazione dei costi imputate alla società abbiano determinato maggiori utili.
Mancando la prova certa di tale presupposto, viene meno anche la presunzione che i maggiori utili siano stati divisi tra i soci e quindi siano stati percepiti dalla contribuente» (cfr. pag. 2 della sentenza impugnata).
Il Procuratore generale L.C. ha depositato conclusioni scritte e ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Ragioni della decisione
1. Primo motivo di ricorso: «Violazione dell’art. 37, co. 1, nr. 2, del D.P.R. nr. 636/1972 in relazione all’art. 360, co. 1, nr. 4, CPC».
L’Ufficio lamenta che la sentenza della CTC sia lacunosa e priva degli elementi essenziali, quali: il contenuto e la motivazione dell’atto impositivo; le difese delle parti dinanzi al giudice di primo grado; la motivazione della sentenza di primo grado; il contenuto del ricorso in appello dell’Amministrazione finanziaria e le controdeduzioni della contribuente; la motivazione della sentenza d’appello; il contenuto del ricorso dell’Ufficio dinanzi alla CTC e le difese di controparte; per tale ragione, secondo la difesa erariale, non sarebbe possibile individuare il thema decidendum.
1.1. Il motivo è infondato.
La sentenza della CTC, seppure assai sintetica, appare sufficientemente chiara e dà conto, tutto sommato, della propria ratio decidendi, riconducibile al difetto di motivazione dell’atto impositivo.
Essa conferma la decisione di secondo grado che, a sua volta, avallava quella di primo grado, di accoglimento del ricorso della contribuente, perché, testualmente: «l’Ufficio non è stato in grado di produrre una idonea documentazione dalla quale fosse possibile ricavare con sufficiente analiticità che il maggior reddito accertato a carico della società partecipata si sia reso definitivo, la natura delle rettifiche operate al conto economico della stessa nonché le circostanze che le hanno giustificate» (cfr. pag. 3 del ricorso per cassazione che riproduce il testo della sentenza della Commissione tributaria di primo grado).
2. Secondo motivo: «Violazione dell’art. 37, co. 1, nr. 2 del D.P.R. nr. 636/1972 in relazione all’art. 360, co. 1, nr. 4, CPC».
Un’altra censura attiene all’error in procedendo in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, a causa del suo contenuto puramente assertivo e per l’omessa esposizione delle ragioni poste a base della decisione.
3. Terzo motivo: «Omessa motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo del giudizio. Art. 360, co. 1, nr. 5, CPC».
In subordine, rispetto al secondo motivo, si fa valere la carenza dell’apparato motivazionale della sentenza della CTC, in virtù: a) del consolidato orientamento della Corte secondo cui, in tema di accertamento delle imposte sui redditi delle società di capitali a ristretta base sociale, è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili; b) della pacifica circostanza che la contribuente era titolare del 50% del capitale sociale della M.A. Srl e che l’altra metà del capitale sociale era nella titolarità del coniuge; c) dell’accertamento, da parte della CTC, dell’esistenza di maggiori ricavi non dichiarati in capo alla società e, dunque, dei presupposti legittimanti la verifica, nei confronti dei soci, della percezione di maggiori dividendi.
4. Quarto motivo: «Violazione degli artt. 2697 C.C., 41, co. 1, lett. C, del D.P.R. nr. 597/1973 e 38, co. 3, del D.P.R. nr. 600/1973 in relazione all’art. 360, co. 1, nr. 3, CPC».
L’ultimo rilievo critico concerne l’error in iudicando della sentenza della CTC che ha affermato che sarebbe stato onere dell’Ufficio dimostrare che i maggiori ricavi non dichiarati della società, a ristretta base sociale, si fossero tradotti (come del resto i minori costi effettivamente sostenuti), in maggiori utili percepiti dai soci come dividendi, senza considerare che, per consolidata giurisprudenza, in tale ipotesi (società a ristretta base sociale), è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili.
5. Questi tre motivi, da esaminare congiuntamente perché connessi, sono fondati.
È il caso di richiamare il consolidato orientamento della Corte, al quale il Collegio intende aderire, secondo cui: «In tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione, ai soci, degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, per essere stati, invece, accantonati dalla società ovvero da essa reinvestiti, non risultando tuttavia a tal fine sufficiente né la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili né il definitivo accertamento di una perdita contabile, circostanza che non esclude che i ricavi non contabilizzati, non risultando né accantonati né investiti, siano stati distribuiti ai soci» (Cass. 8/07/2008, n. 18640; in senso conforme, ex multis: Cass. 18/10/2012, n. 17928; 26/11/2014, n. 25108; 14/12/2016, n. 25808; 16/05/2018, n. 12025).
Nella specie, la CTC non ha fatto corretta applicazione di questi principi di diritto, laddove essa ha reputato contra legem, con affermazione anapodittica, che sarebbe stato onere dell’Amministrazione finanziaria dimostrare che i maggiori ricavi e i minori costi (“la simulazione dei costi” come si legge in sentenza), avessero determinato maggiori utili, con il conseguente venire meno della presunzione di distribuzione dei ricavi extracontabili ai soci dell’ente commerciale a stretta base partecipativa.
Al contrario, osserva la Corte che, ricorrendo una simile evenienza, è onere del socio dimostrare che i maggiori ricavi non dichiarati non sono stati distribuiti agli aderenti alla compagine sociale, perché accantonati o reinvestiti.
6. L’accoglimento del secondo, terzo e quarto motivo comporta la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale delle Marche, in diversa composizione, per il nuovo esame della vicenda, nel rispetto del principio di diritto sopra ricordato, e anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso; rigetta il primo motivo;
cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Commissione tributaria regionale delle Marche, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.
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