CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 febbraio 2021, n. 5073

Tributi – Accertamento – Socio di società a responsabilità limitata a ristretta base sociale – Presunzione di distribuzione di utili extrabilancio

Considerato in fatto

1. S.G., socio al 27% della società L.E. srl, proponeva ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli avverso l’avviso con il quale l’Agenzia delle Entrate, sulla base del maggior reddito accertato nei confronti della società e della ristretta base sociale di detta società (con conseguente presunzione di distribuzione di utili extrabilancio ai soci) accertava il maggior reddito del socio con conseguente ripresa fiscale per Irpef ed addizionali con riferimento all’anno di imposta 2003.

2. La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso e la decisione favorevole per il ricorrente veniva confermata dalla Commissione tributaria Regionale della Campania; su ricorso dell’Ufficio la Corte di Cassazione con sentenza nr 20301/2061 annullava con rinvio; riassunto il processo la CTR rigettava l’originario ricorso proposto dal contribuente (e quindi accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate) rilevando che il giudizio penale originato dalla querela sporta dal contribuente non aveva alcuna rilevanza con la questione oggetto di controversia che concerneva la presunzione di ripartizione degli utili tra i soci di una società a ristretta base sociale.

5. Avverso la sentenza della CTR S.G. ha proposto ricorso per Cassazione affidandosi a due motivi, Agenzia delle Entrate si è costituita depositando controricorso.

Ritenuto in diritto

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 38 del DPR 600/1973 e degli artt. 41 e 44 dPR nr. 917/1986 in relazione all’art. 360 comma 1° nr. 3 cpc per essersi la CTR, nel negare ogni interferenza tra il processo penale con la questione della estraneità del socio alle vicende societarie, discostata dalla normativa di settore e dai principi giurisprudenziali affermati in materia

1.2 Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 36, 2° comma nr. 4 d.lvo 546/1992, art. 118 disp. att. cpc e 111 Cost. per avere i giudici di seconde cure reso una motivazione illogica ed apparente.

2. Il primo motivo è infondato

2.1 In forza di un principio ribadito in più occasione dai giudici della Suprema Corte l’accertamento di utili extracontabili in capo alla società di capitali a ristretta base sociale consente di inferire la loro distribuzione tra i soci in proporzione alle loro quote di partecipazione salva la facoltà per gli stessi di fornire la prova contraria costituita dal fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano, invece, accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti (cfr tra le tante Cass. 26248/2010, Cass. 8473/2014 e da ultimo 27049/2019). In particolare, si è precisato che la presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati non viola il divieto di presunzione di secondo grado poichè il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale (Cass. 22 aprile 2009, n. 9519).

2.2 A tale insegnamento si è uniformato anche il giudice rescindente affermando che « nel caso di società di capitali a ristretta base sociale (quale è da ritenersi quella in questione, la cui compagine è formata da cinque soci, di cui due tra loro parenti), è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano stati invece accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti».La Corte, annullando la sentenza impugnata dall’Agenzia delle Entrate ha precisato che « la CTR non si è attenuta a detti principi, avendo invero valorizzato una circostanza (l’eventuale estraneità del contribuente all’alterazione dei bilanci ed ai fatti illeciti dallo stesso denunziati) relativa al modo con cui si erano formati gli utili extrabilancio ma assolutamente estranea alla su esposta presunzione di distribuzione (utili extrabilancio accertati nei confronti della società in altro giudizio con sentenza che si assume passata in giudicato: circostanza quest’ultima affermata dall’Agenzia e non contestata dal contribuente)».

2.3 La CTR in sede di rinvio, accertata l’esistenza di ricavi occulti e la ristretta base sociale della compagine societaria, ha  ritenuto inesistente ogni rapporto di pregiudizialità tra il processo penale, del quale non si conosceva l’esito e la questione dell’estraneità del contribuente alle vicende societarie, che è risultata circostanza non provata nel corso del giudizio.

2.4 Le argomentazioni dell’impugnata sentenza sono coerenti con il principio di diritto enunciato dal giudice rescindente.

3. Il secondo motivo è parimenti infondato.

3.1 Ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li  indichi senza un’approfondita disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. E’ noto che in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. in n. 134 del 2012, è denunciabile in cassazione l’anomalia motivazionale che si concretizza nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, quale ipotesi che non rende percepibile l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e, di conseguenza, non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. In particolare, il vizio motivazionale previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., nella formulazione introdotta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134/2012, applicabile ratione temporis, presuppone che il giudice di merito abbia esaminato la questione oggetto di doglianza, ma abbia totalmente pretermesso uno specifico fatto storico, e si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile”, mentre resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. E così, ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c., quando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indica tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento ( cfr. Cass. S.U. nr 8054/2014)

3.1 Nella fattispecie la motivazione della sentenza non è connotata da tali deficienze che la pongono al di sotto del minimo costituzionale in quanto vengono sufficientemente spiegate le ragioni della legittimità dell’impugnato avviso di accertamento.

4. Conclusivamente il ricorso va rigettato.

5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso .

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano in € 5.600,00 compensi oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto  per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13.