CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 marzo 2022, n. 9640
Rapporto di lavoro – Credito vantato dal lavoratore – Somme indebitamente trattenute sullo stipendio a titolo di ritenute fiscali – Natura retributiva
Rilevato che
con la sentenza impugnata, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Catania, la “E. S.p.A.” è stata condannata al pagamento, in favore di V. V., della somma di € 6.245,45, pari al 90% delle ritenute fiscali operate dalla società datrice, quale sostituto di imposta, negli anni 1990/1992, e non versata all’erario, in virtù del sistema di definizione automatica previsto, in occasione del sisma del dicembre 1990 in Sicilia orientale, dall’art. 9, comma 17, della I. n. 289 del 2002;
per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la società, affidato a tre motivi;
V. V. è rimasto intimato;
il P.G. non ha formulato richieste.
Considerato che
con il primo motivo la società ricorrente – denunciando violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – si duole che il giudice di appello, non tenendo conto del mutato quadro normativo – per effetto della Decisione della Commissione Europea del 14/08/2015, che ha fatto venir meno il diritto del datore di lavoro di beneficiare del condono -, abbia accolto la domanda restitutoria sul presupposto che il lavoratore ha diritto di ricevere dal datore la trattenuta che per legge deve essere versata all’erario, rientrando la questione nella giurisdizione del giudice tributario;
con il secondo motivo – denunciando violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – lamenta che il predetto giudice, a fronte della originaria pretesa del lavoratore volta al conseguimento dell’intera retribuzione, sia pervenuto all’accoglimento della domanda sul presupposto che il lavoratore avesse diritto di ricevere dal datore la trattenuta che per legge deve essere versata all’erario, con conseguente mutamento della “causa petendi”, non richiesto né autorizzato, e violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato;
con il terzo motivo – denunciando violazione dell’art. 9, comma 17, della I. n. 289 del 2002 e dell’art. 1, comma 665, della I. n. 190 del 2014, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – si duole che la Corte territoriale non abbia considerato, da un lato, che l’art. 1, comma 165, della I. n. 190 del 2014, ha inequivocabilmente individuato i destinatari del sistema di definizione automatica nei soggetti colpiti dal sisma destinatari dei provvedimenti in materia di versamento; dall’altro, che il predetto sistema è stato ritenuto illegittimo dalla citata Decisione della Commissione europea; lamenta, infine, che l’Agenzia delle Entrate, con provvedimento in data 26/09/2017, n. 195405, ha determinato la riduzione del rimborso nella misura del 50%, con la conseguenza che il lavoratore – il quale non è soggetto “colpito dal sisma”, non ha inoltrato alcuna istanza di rimborso all’erario entro la scadenza e avrebbe diritto, secondo le ultime disposizioni dell’Agenzia delle Entrate, solo al 50% – “non può ripetere dal datore di lavoro le somme trattenute in busta e non ancora versate all’erario”.
Ritenuto che
il primo motivo va rigettato, poiché il giudice del gravame ha accolto la domanda non sul presupposto che il lavoratore abbia diritto di ricevere dal datore la trattenuta che per legge dev’essere versata all’erario, bensì su quello della persistente natura retributiva delle somme chieste in restituzione (v., sul punto, Cass. 28/05/2019, n. 14502, che, proprio in tema di definizione agevolata prevista dalla I. n. 289 del 2002, ha statuito che «Il credito vantato dal lavoratore nei confronti del datore di lavoro per le somme indebitamente trattenute sullo stipendio a titolo di ritenute fiscali ha natura retributiva e, conseguentemente, ad esso si applica l’intera disciplina afferente al rapporto di lavoro»);
va per conseguenza rigettato anche il secondo motivo, poiché il giudice del gravame ha accordato le somme chieste in restituzione sul presupposto che esse avessero natura retributiva, proprio in conformità alla pretesa azionata dal lavoratore;
anche il terzo motivo va disatteso, poiché nella citata pronunzia n. 14502 del 2019 di questa Corte – successiva al delinearsi del nuovo quadro normativo di riferimento illustrato in ricorso – è ribadito che «l’obbligato principale nei confronti del Fisco resta, dunque, sempre il percettore del reddito, indipendentemente dal fatto che l’esazione del tributo avvenga (in tutto o in parte) mediante il sistema della ritenuta alla fonte; (…) coerentemente, ove intervengano meccanismi di definizione agevolata della posizione fiscale, da un lato, è il sostituito (“id est”: il lavoratore) il principale beneficiario della stessa, come peraltro espressamente riconosciuto da questa Corte proprio in relazione alla specifica normativa qui in discussione (“ex plurimis”, Cass. 17472 e 17473 del 2017; Cass. nr. 7509 del 2018; Cass. nr. 3641 del 2019), dall’altro, il sostituto (“id est”: il datore di lavoro), non più tenuto a versare al Fisco, in ragione del medesimo meccanismo di definizione agevolata, le somme trattenute, deve restituirle al lavoratore, non avendo più idoneo e valido titolo giuridico per trattenere il residuo (negli stessi termini ed in relazione a medesima fattispecie, Cass. nr. 26873 del 2017, in motiv., punto 2.a.»);
il motivo in questione, peraltro – oltre a contenere un non pertinente richiamo finale alla previsione sui rimborsi -, è incentrato sul presupposto che il datore, per effetto della sopra menzionata Decisione della Commissione UE, sia tenuto a versare all’erario il restante 90% del dovuto; tuttavia la predetta Decisione ha escluso l’obbligo delle autorità italiane di provvedere al recupero degli aiuti già fruiti dalle imprese aventi sedi operative nell’area colpita dalla calamità, sicché resta valido il principio secondo cui, una volta estinta l’obbligazione tributaria – come nel caso – con il versamento del 10%, l’importo trattenuto, non divenendo di proprietà del datore (e v., da ultimo, Cass. 27/01/2022, n. 2535) e non essendo dovuto all’erario, va restituito al lavoratore;
nulla per le spese, essendo il lavoratore rimasto intimato;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; nulla sulle spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1- bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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