CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 luglio 2018, n. 20043

Tributi – Avvisi di accertamento ai fini IVA – Utilizzo di fatture per operazioni inesistenti

Rilevato che

– in controversia relativa ad impugnazione di due avvisi di accertamento ai fini IVA per gli anni d’imposta 2005 e 2006, notificati rispettivamente in data 6 e 7 marzo 2012, con cui l’amministrazione finanziaria contestava a G.C. l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, con la sentenza in epigrafe la CTR della Lombardia rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sfavorevole sentenza di primo grado e confermava l’annullamento degli atti impositivi sostenendo la non applicabilità alla fattispecie del raddoppio dei termini di  accertamento per essere stata effettuata la comunicazione della notitia criminis successivamente alla scadenza ordinaria dei termini di accertamento;

– per la cassazione della sentenza di appello ricorre con unico motivo l’Agenzia delle entrate, cui replica l’intimata con controricorso e ricorso incidentale condizionato, cui l’Agenzia a sua volta replica con controricorso;

– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ. risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale il C. ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis, secondo comma, ultima parte, c.p.c.

– il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata;

Considerato che

– è fondato e va accolto, benché nei limiti di cui appresso si dirà, il motivo di ricorso con cui la difesa erariale, deducendo ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973, lamenta che la CTR aveva erroneamente ritenuto non applicabile alla fattispecie il raddoppio dei termini di accertamento per essere stata effettuata la comunicazione della notitia criminis dopo la scadenza dei termini di decadenza ordinari, in virtù dell’erronea applicazione retroattiva della disciplina introdotta dalla disposizione di cui alla legge n. 208 del 2015, sopra citata;

– secondo il consolidato orientamento di questa Corte «In tema di accertamento tributario, i termini previsti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per VIVA, nella versione applicabile “ratione temporis”, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza», come peraltro stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza 25 luglio 2011, n. 247, «senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016 e già notificati, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della l. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, che fa salvi gli effetti degli avvisi già notificati» (Cass. n. 16728 del 2016; conf. Cass. n. 26037 del 2016);

— che nelle citate pronunce la Corte ha avuto cura di precisare: a) che «non di raddoppio dei termini in senso proprio si tratta, bensì di un nuovo termine di decadenza», applicabile in ipotesi di sussistenza di seri indizi di reità, che è un dato obiettivo non lasciato alla discrezionalità del funzionario dell’ufficio tributario ma che deve essere accertato dal giudice; b) che tale raddoppio non è escluso dalla configurabilità di una causa di estinzione del reato come la prescrizione, né dalla intervenuta archiviazione della denuncia, non rilevando «né l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’articolo 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, anche in considerazione del doppio binario tra giudizio penale e procedimento e processo tributario (in termini, Cass. 15 maggio 2015, n. 9974)» (Cass. n. 16728/16, cit.); c) che su tale assetto nessun effetto spiega la sequenza di modifiche che hanno riguardato la disciplina dei termini prescritti per l’accertamento (legge n. 208 del 2015, art. 1, commi da 130 a 132, nonché d.lgs. n. 128 del 2015, art. 2) in quanto, qualora gli avvisi di accertamento relativi a periodo d’imposta precedenti a quello in corso alla data 31 dicembre 2016 siano stati già notificati — come nel caso in esame, in cui l’atto impositivo risulta notificato in data 08/01/2014 — si applica la disciplina dettata dall’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015 (che non è stato modificato dalla successiva legge n. 208 del 2015), che fa  espressamente salvi gli effetti degli avvisi di accertamento notificati alla data di entrata in vigore del predetto decreto;

 pertanto, con riferimento ad avvisi di accertamenti emessi e notificati nell’anno 2012, come nella fattispecie, è del tutto indifferente la data in cui viene effettuata la comunicazione di notizia di reato, e persino l’omissione di quella comunicazione, perché quello che invece assume rilevanza ai predetti fini è la circostanza, sub specie sussistente e, comunque, non contestata, che le violazioni tributarie accertate integrino fatti anche penalmente rilevanti;

— per tale ragione il raddoppio dei termini di accertamento non opera con riferimento all’IRAP, pure oggetto di accertamento, posto che, «non essendo l’IRAP un’imposta per la quale siano previste sanzioni penali è evidente che in relazione alla stessa non può operare la disciplina del “raddoppio dei termini” di accertamento quale applicabile ratione temporis (cfr. Cass. n. 20435/2017; n. 4775/2016 n. 26311 del 2017, n. 23629 del 2017, n. 4758 e n. 14440 del 2018);

— il motivo di ricorso in esame va, pertanto, rigettato quanto alla ripresa a fini IRAP ed accolto quanto alle altre imposte; la sentenza impugnata va, quindi, cassata con rinvio alla competente CTR per l’esame delle questioni inerenti le predette imposte, rimaste assorbite;

– va invece dichiarato inammissibile il ricorso incidentale con cui il controricorrente ha riproposto le medesime domande proposte in grado di appello e ritenute assorbite dalla CTR; infatti, il ricorso incidentale per cassazione, anche se — come nel caso di specie — qualificato come condizionato, presuppone la soccombenza e non può, quindi, essere proposto dalla parte che sia risultata completamente vittoriosa nel giudizio di appello, che non ha l’onere di riproporre le domande e le eccezioni non accolte o non esaminate dal giudice d’appello, poiché l’eventuale accoglimento del ricorso principale comporta la possibilità che dette domande o eccezioni vengano riesaminate in sede di giudizio di rinvio (Cass., sent. n. 134 del 05/01/2017, Rv. 642189-01);

– la competente CM. provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità;

P.Q.M.

accoglie il ricorso principale nei termini di cui in motivazione, dichiara inammissibile quello incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.