CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 agosto 2020, n. 18024
Tributi – IVA – Errata applicazione dell’IVA sulla cd. TIA1 – Istanza di restituzione al Comune – Legittimità – Prinicipio di neutralità dell’imposta – Rapporti tra cedente e cessionario
Considerato che
la V. s.p.a., quale gestore del servizio di igiene ambientale del Comune di Venezia, proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale che l’aveva condannata a restituire alla F. Hotels s.r.I. gli importi corrisposti a titolo d’IVA sulla tariffa di igiene ambientale di cui all’art. 49 del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, c.d. TIA 1, da considerare non corrispettivo di servizi, ma tributo e come tale non assoggettabile alla suddetta imposta indiretta; la Corte di appello dichiarava inammissibile il gravame osservando che la detrazione dell’IVA non dovuta non faceva venir meno il diritto al rimborso in quanto fondato sull’oggettivo indebito e come tale non prescritto;
avverso questa decisione ricorre per cassazione la V. s.p.a. formulando un motivo, avversato da controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria.
Rilevato che:
con l’unico motivo si prospetta la violazione o falsa applicazione degli artt. 2033 cod. civ. e 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, poiché la Corte di appello avrebbe erroneamente negato che la pacifica detrazione delle somme in discussione, non esclusa dall’amministrazione fiscale, inibisse il diritto al correlativo rimborso, essendo venuta meno l’effettività del pagamento presupposta dalla domanda di ripetizione;
Vista la proposta formulata del relatore ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.;
Rilevato che:
il motivo di ricorso è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis, cod. proc. civ. (Cass., Sez. U., 21/03/2017, n. 7155);
in tema di IVA, questa Corte ha chiarito che, ai sensi dell’art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972, e in conformità con l’art. 17 della direttiva del Consiglio del 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, nonché con gli artt. 167 e 63 della successiva direttiva del Consiglio del 28 novembre 2006 n. 2006/112/CE, non è ammessa la detrazione dell’imposta pagata a monte per l’acquisto o l’importazione di beni o servizi – ovvero per conseguire la prestazione di servizi necessari all’impresa – per il solo fatto che tali operazioni attengano all’oggetto dell’impresa stessa e siano fatturate, poiché è, invece, indispensabile che esse siano effettivamente assoggettabili all’IVA, nella misura dovuta, sicché, ove l’operazione sia stata erroneamente assoggettata all’IVA, restano privi di fondamento il pagamento dell’imposta da parte del cedente, la rivalsa da costui effettuata nei confronti del cessionario e la detrazione da quest’ultimo operata nella sua dichiarazione IVA, con la conseguenza che il cedente ha diritto di chiedere all’amministrazione il rimborso dell’IVA, il cessionario ha diritto di chiedere al cedente la restituzione dell’IVA versata in via di rivalsa, e l’amministrazione ha il potere-dovere di escludere la detrazione dell’IVA pagata in rivalsa dalla dichiarazione IVA presentata dal cessionario (Cass., 13/06/2018, n. 15536, in cui si richiama la pregressa giurisprudenza conforme; cfr., nella numerosa giurisprudenza successiva conforme, Cass., 17/02/2019, n. 4874, Cass., 24/01/2020, n. 1642; cfr. anche Cass., 05/03/2020, n. 6149);
stante quanto sopra, non rileva che l’amministrazione non abbia previamente proceduto a rettifica negando la detrazione, posto che: a) il pagamento indebito dev’essere come visto “neutralizzato” in modo circolare, coerentemente al regime dell’imposta in questione; b) nessuna rettifica potrebbe farsi a fronte di un pagamento del tributo effettuato in ragione della rivalsa, mentre è a séguito della pronuncia qui in scrutinio che dovrà viceversa procedersi alla richiamata neutralizzazione;
l’IVA sulla c.d. TIA 1 non è dovuta trattandosi di tributo (v., da ultimo, Cass., Sez. U., 10/04/2018, n. 8822), come non più in discussione neppure tra le parti dell’odierno giudizio, sicché la pretesa restitutoria è stata correttamente ritenuta fondata;
si argomenta che il rapporto qui in questione è quello tra cedente e cessionario e non quello tra fisco e contribuente;
l’osservazione non è dirimente, poiché, come appena visto, l’erroneo assoggettamento ad IVA esclude la sussistenza di base legale per il relativo pagamento, per la rivalsa e per la detrazione, proprio in applicazione della circolarità correlata alla neutralità dell’imposta indiretta in parola, sicché non vi è all’evidenza alcun dubbio anche sulla conformità della ricostruzione alla sopra richiamata normativa comunitaria, così come sul rispetto dei principi di ragionevolezza e pari trattamento;
il Collegio ritiene di dover ribadire quindi l’orientamento specifico di questa Corte reiteratamente affermato e pertanto da ritenere consolidato, senza che possa ostare un recente precedente isolato, che non si rapporta esplicitamente agli arresti qui seguiti (Cass., 11/02/2020, n. 12927), fondato essenzialmente sull’argomento secondo cui la neutralità dell’imposta verrebbe meno in ipotesi di perdita del gettito fiscale, che, per converso, non appare possa incidere sulla complessiva disciplina, posto che all’affermazione della sussistenza del tributo in parola non può che seguire il ripristino delle corrette posizioni secondo il regime settoriale dell’imposta sul valore aggiunto erroneamente applicato;
spese secondo soccombenza con la chiesta attibuzione;
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali della controricorrente liquidate in euro 3.000,00 oltre a euro 200,00 per esborsi, oltre al 15 per cento di spese forfettarie, oltre accessori legali e con attribuzione agli Avv. V.M. e T.P. in solido. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, se dovuto, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso. Spese distratte in favore dell’avvocato T.P..
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