CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 febbraio 2019, n. 6003
Rapporto di lavoro – Superiore qualifica – Differenze retributive – Lavoro straordinario
Rilevato
che la Corte di appello di Venezia, con la sentenza n. 265/2014, per quello che interessa in questa sede, in parziale riforma della pronuncia di primo grado n. 223/2011 emessa dal Tribunale della stessa città, oltre a confermare la statuizione di condanna della Società Sportiva Dilettantistica R.N. srl al pagamento, in favore del dipendente N.C., della somma di euro 9.884,62 oltre accessori, a titolo di lavoro straordinario svolto dal maggio 2007 fino alla cessazione del rapporto, ha condannato altresì la società al pagamento delle differenze retributive maturate a seguito dell’incidenza della superiore qualifica riconosciuta di operano di 5° livello CCNL di categoria sulla retribuzione ordinaria, sulla 13.a e 14.a mensilità e sul TFR; inoltre, sempre in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato la società al pagamento della sola metà delle spese di giudizio, compensandole per la restante parte;
che avverso la decisione di II grado ha proposto ricorso per cassazione la Società Sportiva Dilettantistica R.N. srl affidato a tre motivi;
che ha resistito con controricorso N.C.;
che il PG non formulato richieste scritte.
Considerato
che, con il ricorso per cassazione, in sintesi, si censura:
1) ex art. 360 n. 3 e n. 4 cpc: la violazione dell’art. 112 cpc -la non corrispondenza tra chiesto e pronunciato – l’inammissibilità di domande nuove in appello, perché, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte territoriale, non era stata formulata dal N. una domanda di condanna generica, relativamente all’incidenza della superiore qualifica sulla retribuzione ordinaria, 13.a, 14.a e TFR, ma altro tipo di richiesta (in cui era stata introdotta anche l’indennità di mancato preavviso non oggetto del giudizio di primo grado), che non poteva certo essere scissa come invece ritenuto erroneamente dai giudici di seconde cure;
2) ex art. 360 n. 3 e n. 5 cpc: la “violazione applicazione del CCNL applicabile in materia – errata valutazione degli esiti istruttori – motivazione erronea su fatto decisivo – mancato accoglimento dell’impugnazione incidentale”, per avere errato la Corte di merito nel valutare le risultanze istruttorie che non dimostravano il riconoscimento, in favore del N., dello svolgimento di orari straordinari rispetto a quelli contrattuali, tantomeno supplementari o festivi; 3) ex art. 360 n. 3 cpc – la mancata compensazione integrale delle spese di lite, ma solo nella misura del 50%, per omessa motivazione sul punto da parte della Corte di merito;
che il primo motivo è inammissibile: l’interpretazione della domanda giudiziale costituisce attività riservata al giudice di merito ed è sindacabile in sede di legittimità solo sotto il profilo del vizio di motivazione (cfr. in termini Cass. 16.11.2018 n. 29609); inoltre, in tema di interpretazione delle domande giudiziali, il giudice non è condizionato dalle parole utilizzate dalla parte e deve tenere conto dell’intero contesto dell’atto, senza alterarne il senso letterale ma, allo stesso tempo, valutandone la formulazione testuale ed il contenuto sostanziale in relazione all’effettiva finalità che la parte intende perseguire (Cass. 20.7.2018 n. 19435): nel caso di specie la Corte di merito non si è discostata da tali principi e, con motivazione congrua e corretta, ha interpretato la originaria domanda del N. specificando che la stessa era composta da una richiesta di condanna specifica, quanto all’incidenza del 5° livello vantato in relazione all’orario straordinario e da una domanda generica di adeguamento delle retribuzioni ordinarie, della 13.a e 14.a e del TFR (escludendo ogni pronuncia sull’indennità di mancato preavviso) dovuta al superiore livello. Non è ravvisabile, pertanto, alcun vizio in procedendo o di ultra petizione (peraltro non sussumibile nella tipologia della censura denunziata cfr. Cass. 23.8.2018 n. 20718) ma un accertamento in concreto della volontà della parte istante logicamente argomentato;
che il secondo motivo è parimenti inammissibile: in realtà, con la doglianza formulata sia sotto il profilo della violazione del CCNL che sotto l’aspetto del difetto di motivazione, si chiede in sostanza un mero ed inammissibile riesame delle circostanze di causa, ampiamente esaminate dalla Corte di merito, che ha congruamente accertato lo svolgimento, da parte del lavoratore, di orari straordinari rispetto a quelli contrattuali; a tal fine giova ribadire la preclusione, nel giudizio di cassazione, dell’accertamento dei fatti ovvero della loro valutazione ai fini istruttori ai sensi del novellato comma 1 n. 5 cpc (per tutte Cass. Sez. Un. 7.4.2014 n. 8053; Cass. 10.2.2015 n. 2498);
che il terzo motivo presenta, infine, profili di infondatezza e di inammissibilità. E’ infondato perché una statuizione in materia di spese processuali viola gli artt. 91 e 92 cpc unicamente nel caso in cui le spese medesime siano poste a carico della parte totalmente vittoriosa, poiché ciò implicherebbe una violazione della regola della soccombenza (Cass. n. 8540 del 2005; Cass. n. 9840 del 1996): tale ipotesi non ricorre nel caso si specie e la Corte di merito ha dato adeguata motivazione sulla correttezza della sentenza di primo grado che ha rilevato una situazione di soccombenza reciproca parziale. E’, invece, inammissibile perché la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbano ripartirsi e compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92 comma 2 cpc rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità. Non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità tra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (cfr. Cass. 20.12.2017 n. 30592; Cass. 31.1.2014 n. 2149);
che, alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato;
che al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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